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Bonus edilizi: possibili due ulteriori cessioni dopo la prima

È in vigore dal 26 febbraio 2022 il Dl 25 febbraio 2022 n. 13, pubblicato nella G.U. di venerdì scorso e recante misure di contrasto alle frodi nel settore dei bonus edilizi e di altri crediti di imposta, nonché l’inasprimento delle sanzioni penali e amministrative per i tecnici che rilasciano false attestazioni, l’ampliamento dei termini di utilizzo di quei crediti di imposta che si ritrovassero sottoposti a sequestro penale e, infine, l’introduzione della pre-condizione dell’applicazione dei contratti collettivi di lavoro per poter beneficiare di taluni bonus edilizi.

L’art. 1 comma 1 del Dl 13/2022 abroga il comma 1 dell’art. 28 del Dl 4/2022, il quale aveva a sua volta modificato il comma 1 dell’art. 121 del Dl 34/2020, vietando ogni ipotesi di cessione dei bonus edilizi successiva alla prima cessione effettuata direttamente dal beneficiario, o, previo sconto in fattura, dal fornitore.

Contestualmente, però, il comma 2 del medesimo art. 1 riscrive integralmente le lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 121 del Dl 34/2020, confermando che va “in soffitta” la disciplina ante Dl 4/2022 che consentiva illimitate cessioni dei bonus edilizi a favore di qualsiasi cessionario, ma consentendo per lo meno, dopo la prima cessione “verso chiunque”, da parte del beneficiario, o, previo sconto in fattura, del fornitore, ulteriori due cessioni, le quali possono però avvenire esclusivamente a favore dei “soggetti vigilati” (banche e intermediari finanziari, società appartenenti al gruppo bancario e imprese di assicurazione).

Ad esempio, il fornitore che applica lo sconto in fattura potrà cedere il credito di imposta anche a un “soggetto non vigilato” (come un’altra impresa industriale o commerciale), il quale potrà poi cederlo a sua volta esclusivamente a un “soggetto vigilato”, con una ulteriore facoltà di cessione da parte di quest’ultimo a favore di altro “soggetto vigilato”.

Viene altresì inserito nell’art. 121 del Dl 34/2020 un nuovo comma 1-quater che dispone la “targatura informatica” dei crediti di imposta, per consentire ai cessionari di poterne conoscere l’origine (mettendoli così nelle condizioni di non potersi sottrarre dall’obbligo di valutarne la “qualità” secondo la diligenza dovuta anche nei passaggi successivi al primo), con conseguente impossibilità di procedere a cessioni parziali, ma questa ulteriore novità troverà applicazione solo ai crediti di importi che sorgeranno nei cassetti fiscali a fronte di opzioni comunicate all’Agenzia delle Entrate a partire dal 1° maggio 2022.

L’art. 2 del Dl 13/2022 reca, oltre che alcune modifiche al codice penale, un significativo inasprimento delle responsabilità dei tecnici abilitati che rilasciano le asseverazioni superbonus e le attestazioni di congruità sulle spese oggetto di opzioni ex art. 121 del Dl 34/2020, i quali, ove espongano informazioni false, oppure omettano di riferire informazioni rilevanti, sui requisiti tecnici dell’intervento, sulla sua effettiva realizzazione o sulla congruità delle relative spese, vengono a essere puniti “con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro” (con ulteriore aumento di pena “se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri”).

Sempre l’art. 2 del Dl rende poi più stringente il massimale della copertura assicurativa di cui deve essere dotato il professionista che rilascia le asseverazioni superbonus, prevedendo che esso debba essere almeno pari agli importi di ciascun intervento con riguardo al quale rilascia attestazioni e asseverazioni (con riferimento all’ambito degli interventi di efficienza energetica, funzionava in verità già così, stante le disposizioni del Dm 6 agosto 2020 “Asseverazioni”, ma ora dovrà evidentemente funzionare in questo modo anche per l’ambito degli interventi di riduzione del rischio sismico).

L’art. 3 stabilisce che, nel caso di sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria dei crediti di imposta, il loro utilizzo in compensazione può avvenire anche oltre il 31 dicembre di ogni anno, con un allungamento del periodo pari alla durata del sequestro (c.d. “norma salva Poste”).

L’art. 4 del Dl dispone infine che, per taluni lavori edili di importo superiore a 70.000 euro, la generalità dei bonus edilizi possa essere riconosciuta solo se nell’atto di affidamento dei lavori è indicato che i lavori edili sono eseguiti da datori di lavoro che applicano i contratti collettivi del settore edile, con obbligo di controllo di tale annotazione da parte dei professionisti incaricati di rilasciare il visto di conformità.

Quest’ultima disposizione entra in vigore decorsi 90 giorni dalla data di entrata in vigore del Dl (ossia dal 27 maggio 2022) e si applica “ai lavori edili ivi indicati avviati successivamente a tale data”, mentre le restanti disposizioni sono entrate in vigore il 26 febbraio (data di entrata in vigore del decreto).

(MF/ms)
 




Sterilizzate anche le perdite 2021

Un emendamento al Ddl. di conversione del Dl 228/2021 (c.d. decreto “Milleproroghe”) – approvato dalle Commissioni riunite in sede referente Bilancio e Affari costituzionali della Camera – stabilisce che per le perdite civilistiche emerse nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2021 “non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile”.

Gli adempimenti ivi previsti sono posticipati all’assemblea che approva il bilancio 2026.

L’emendamento non fa altro che sostituire, nel primo comma dell’art. 6 del Dl 23/2020 convertito, l’attuale riferimento al 31 dicembre 2020 con quello al 31 dicembre 2021. 

Rispetto a tale ultima disposizione appare rimasta isolata la posizione assunta dalla circ. Assonime n. 3/2021, § 4, secondo la quale, a prescindere dalla lettera della norma, sarebbe preferibile una interpretazione che ritenga qualsiasi eventuale incremento delle perdite negli esercizi successivi al 2020, sia esso autonomamente rilevante o meno, assorbito dalla disciplina di posticipazione delle misure di riduzione e ricapitalizzazione dettata dall’art. 6, determinando l’attivazione dei rimedi a tutela del capitale soltanto alla chiusura del quinto esercizio successivo.

A favore di tale soluzione deporrebbe, a giudizio dell’Associazione, il fatto che la previsione intende attribuire alle società un idoneo percorso temporale per uscire dallo stato di difficoltà, non affidando la tutela del ceto creditorio e il potenziale recupero di redditività della gestione ad una meccanica applicazione della disciplina del codice, ma ad una attività gestionale sì ordinaria, ovvero non meramente conservativa, ma responsabilizzata anche alla luce dei nuovi obblighi sanciti dal riformato art. 2086 c.c.

Come segnalato dalla dottrina in modo quasi unanime, invece, la disciplina di cui all’art. 6 del Dl 23/2020 convertito, così come ancora attualmente disegnata, non troverebbe applicazione alle perdite maturate nel 2021 (e negli esercizi successivi), con la conseguenza che le perdite maturate nel 2021 e che “autonomamente” portano il capitale sotto il minimo, devono essere ripianate “senza indugio”, mentre quelle che non intacchino il capitale sociale avrebbero il 2022 come anno di grazia, con obbligo di ripianamento nel 2023.

Si veda, ad esempio, la massima T.A.7 del Comitato Triveneto dei Notai che afferma: “verificandosi negli esercizi successivi a quello 2020 perdite che, da sole o sommate a quelle di esercizi precedenti all’esercizio 2020 (dovendosi sempre escludere dal calcolo il risultato negativo dell’esercizio che comprende il 31 dicembre 2020 se il loro ripianamento è stato rinviato), eccedono di oltre un terzo il capitale sociale riducendolo al di sotto del minimo legale, troveranno piena applicazione le disposizioni contenute negli artt. 2447, 2482-ter e 2484, comma 1, n. 4, c.c.”.

Tutto ciò, si sottolineava, in assenza di un nuovo intervento normativo.

Intervento che è ora in procinto di concretizzarsi e che, se dovesse trovare conferma definitiva, comporterebbe tutte le conseguenze indicate dal citato art. 6 del Dl 23/2020 convertito.

E, quindi, il termine entro il quale la perdita 2021 dovrà risultare diminuita a meno di un terzo, ex artt. 2446 comma 2 e 2482-bis comma 4 c.c., sarà posticipato al quinto esercizio successivo (esercizio 2026); l’assemblea che approverà il bilancio di tale esercizio dovrà ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate (art. 6 comma 2 del Dl 23/2020 convertito).

Nelle ipotesi previste dagli artt. 2447 o 2482-ter c.c. l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, potrà deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura del quinto esercizio successivo (esercizio 2026).

L’assemblea che approverà il bilancio di tale esercizio dovrà procedere alle deliberazioni di cui agli artt. 2447 o 2482-ter c.c. Fino alla data di tale assemblea, non opererà la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484 comma 1 n. 4 e 2545-duodecies c.c. (art. 6 comma 3 del Dl 23/2020 convertito).

Le perdite in questione dovranno essere distintamente indicate nella Nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell’esercizio (art. 6 comma 4 del Dl 23/2020 convertito).

Si tenga presente, infine, che le perdite da considerare saranno quelle emerse “nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2021”.

L’arco temporale preso in considerazione dalla norma, per quanto coincidente per tutte le società con un unico esercizio sociale, non è uguale per ciascuna di esse, ma dipende dalle scelte statutarie individuali sulla data di chiusura dell’esercizio (cfr. la massima Comitato Triveneto dei Notai T.A.2).

Saranno, di conseguenza, da considerare non solo gli esercizi che hanno chiuso al 31 dicembre 2021, ma anche quelli a cavallo d’anno che comprendano la suddetta data (in primis 1 luglio 2021 – 30 giugno 2022).

(MF/ms)
 




Intrastat: in scadenza il primo invio con la nuova disciplina

Domani, 25 febbraio, scade il termine per la trasmissione degli elenchi Intrastat relativi al mese di gennaio 2022.

Si tratta del primo invio nel quale si rendono applicabili le numerose novità previste per l’adempimento con la determinazione Agenzia delle Dogane n. 493869 del 23 dicembre 2021.

A tal fine, è stato adeguato anche il programma informatico, disponibile sul sito della stessa Agenzia, per la compilazione, il controllo formale e l’invio telematico degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari di beni e servizi.

Tra gli aspetti di maggiore impatto della nuova disciplina, a seguito della determinazione n. 493869/2021, si segnala la modifica della soglia di esonero per la presentazione, su base mensile, del modello INTRA-2 bis.

La soglia è, difatti, stata incrementata da un importo di 200.000 euro a 350.000 euro, per gli acquisti effettuati in almeno uno dei quattro trimestri precedenti.

Il nuovo limite massimo per la presentazione mensile del modello INTRA-2 bis va, dunque, monitorato su base trimestrale.

Esso si applica, come detto, a partire dalle operazioni effettuate nel 2022, fermo restando che le informazioni contenute nel modello INTRA-2 bis sono rese per finalità statistiche.

Rimane confermata la soglia pari a 100.000 euro per la presentazione, su base mensile, del modello INTRA-2 quater, relativamente alle prestazioni di servizi intracomunitarie “generiche”, i cui committenti siano soggetti passivi stabiliti in Italia.

È, invece, abolito l’obbligo di presentare gli elenchi riepilogativi acquisti (INTRA-2) su base trimestrale, sia con riferimento ai beni che ai servizi.

Tra le altre novità che investono gli elenchi INTRA acquisti (al pari degli elenchi relativi alle vendite) si evidenziano:

  • la possibilità di avvalersi del codice convenzionale “99500000”, per le spedizioni di valore inferiore a 1.000 euro, senza necessità di disaggregare il dato della nomenclatura combinata;
  • la suddivisione dei dati relativi alla natura della transazione in due colonne A e B.
Si precisa che la compilazione della colonna B è obbligatoria soltanto se il valore degli acquisti supera i 20 milioni di euro. In quest’ultimo importo sono computate tutte le movimentazioni, inclusi gli invii di beni in conto lavorazione o in forza di contratti di “call-off stock”.

Di particolare rilievo, in base alle istruzioni aggiornate lo scorso dicembre, è l’identificazione del momento in cui il modello INTRA-2 va presentato.

Per quanto concerne gli acquisti intracomunitari di beni, essi vanno inseriti negli elenchi INTRASTAT in relazione:

  • al periodo in cui i beni acquistati entrano nel territorio italiano;
  • al mese (di calendario) nel corso del quale si verifica il fatto generatore, per le merci comunitarie, e l’IVA diviene esigibile ai sensi della direttiva 2006/112/Ce.
     
Nel caso di un bene che viene consegnato in Italia nel mese di gennaio 2022, l’acquisto dovrebbe essere rilevato negli elenchi INTRASTAT relativi al mese di gennaio.

È prevista però un’eccezione se l’intervallo di tempo tra l’acquisto dei beni e il fatto generatore dell’imposta è superiore a due mesi di calendario: in tale circostanza, il periodo di riferimento ai fini INTRASTAT è il mese in cui i beni acquistati entrano nel territorio italiano.

Non sono da considerare le fatture per acconti

Nell’ipotesi in cui siano state emesse fatture per acconti e nella più generale ipotesi di fatturazione anticipata rispetto alla consegna o spedizione delle merci, gli acquisti devono essere inseriti negli elenchi riferiti al periodo di consegna o spedizione dei beni, così come avviene per le movimentazioni a scopo di lavorazione.

Si pensi alle fatture ricevute a gennaio 2022 per beni che giungono in Italia nel mese di febbraio 2022: l’operazione sarà rilevata negli elenchi INTRA relativi agli acquisti di febbraio.

Le nuove istruzioni alla compilazione precisano che non sono oggetto di comunicazione dei modelli INTRASTAT le operazioni di acquisto di beni in cui gli stessi non entrano nel territorio italiano, come per le operazioni triangolari ove il soggetto residente è il promotore dell’operazione e la merce non arriva sul territorio nazionale.

(MF/ms)
 




La soglia dei pagamenti in contanti torna a 2 mila euro

Dal 1° gennaio di quest’anno il limite per i pagamenti in contante e, più in generale, per i trasferimenti a qualsiasi titolo tra soggetti diversi di denaro contante, ex art. 49 comma 1 del D.lgs. 231/2007, non è più di 999,99 euro (soglia di 1.000,00 euro) ma resta quello di 1.999,99 euro (soglia di 2.000 euro) e sarà così fino al 1° gennaio 2023, quando la riduzione in questione dovrebbe diventare operativa.

A prevederlo è il Ddl. di conversione del Dl 228/2021 (“Milleproroghe”), nel testo predisposto dalle Commissioni Bilancio e Affari costituzionali a seguito del rinvio deliberato dall’Assemblea, su cui oggi la Camera voterà la questione di fiducia, che interviene sull’art. 49 comma 3-bis del Dlgs. 231/2007.

In base a questa disposizione, infatti, “a decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, il divieto di cui al comma 1 e la soglia di cui al comma 3 sono riferiti alla cifra di 2.000 euro.

A decorrere dal 1° gennaio 2022, il predetto divieto di cui al comma 1 è riferito alla cifra di 1.000 euro”.

La modifica inserita nel Ddl. di cui si è detto sostituisce, ora, le parole “31 dicembre 2021” con “31 dicembre 2022” e le parole “1° gennaio 2022” con “1° gennaio 2023”.

Il limite in questione, quale che ne sia la causa o il titolo, vale anche quando il trasferimento sia effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiano artificiosamente frazionati (per operazione frazionata si intende un’operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal Dlgs. 231/2007, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi e in un circoscritto periodo di tempo fissato in 7 giorni, ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale).

Dal momento che non sembra essersi in presenza di un innalzamento della soglia, ma di una previsione che, “retroattivamente”, lascia invariata la soglia stessa, nessun rischio sanzionatorio si dovrebbe porre per coloro che, tra il 1° gennaio 2022 e la data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl “Milleproroghe”, dovessero aver utilizzato contanti per importi compresi tra 1.000 e 1.999,99 euro.

Si ricorda, infatti, che, in materia, in assenza di differenti indicazioni normative (cfr., in particolare, l’art. 69 comma 1 primo periodo del Dlgs. 231/2007), le violazioni sono assoggettate alla legge del tempo del loro verificarsi, ex art. 1 della L. 689/81 (cfr., tra le altre, Cass. n. 1693/2007).

Sempre dal punto di vista sanzionatorio, si ricorda che, ai sensi dell’art. 63 comma 1 del Dlgs. 231/2007, fatta salva l’efficacia degli atti, alle violazioni della disciplina dei contanti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 a 50.000 euro. Per le violazioni che riguardano importi superiori a 250.000 euro, invece, la sanzione è quintuplicata nel minimo e nel massimo edittali (art. 63 comma 6 del Dlgs. 231/2007).

L’improvvisa marcia indietro rispetto ai limiti all’utilizzo del contante, peraltro, è, al momento, priva di coordinamento con le indicazioni fornite in ordine ai minimi edittali. Per esigenze di coerenza sistematica rispetto alla progressiva riduzione sopra ricordata, infatti, si è stabilito che, per le violazioni commesse e contestate dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 il minimo edittale è pari a 2.000 euro. Per le violazioni commesse e contestate a decorrere dal 1° gennaio 2022, invece, il predetto minimo edittale è ulteriormente abbassato a 1.000 euro (art. 63 comma 1-ter del Dlgs. 231/2007, come inserito dall’art. 18 comma 1 lett. b) del Dl 124/2019 convertito). Questa norma non risulta (ancora) modificata.

Per le violazioni commesse dal 1° gennaio 2022, quindi, nonostante la soglia sia stata riportata a 2.000 euro, appare operativo il minimo edittale di 1.000 euro.

Restano immutate tutte le ulteriori previsioni che attengono a tale materia. In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2022, per l’attività dei cambiavalute iscritti nell’apposito registro resta la soglia di 3.000 euro, essendo stata dissociata dalla soglia relativa all’utilizzo del contante. È pari a 999,99 euro, invece, il limite di utilizzo di contanti per il servizio di rimessa di denaro (c.d. “money transfer”).

turisti stranieri (anche appartenenti alla Ue o allo Spazio economico europeo), inoltre, possono effettuare acquisti in contanti entro il limite di 15.000 euro. I commi da 1 a 2-bis dell’art. 3 del Dl 16/2012 convertito, infatti, prevedono una deroga al divieto di trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori al limite generale e fino all’importo di 15.000 euro, per l’acquisto di beni e di prestazioni di servizi legate al turismo, effettuati da persone fisiche di cittadinanza diversa da quella italiana presso i commercianti al minuto, i soggetti equiparati (di cui all’art. 22 del Dpr 633/72) e le agenzie di viaggio e turismo (di cui all’art. 74-ter del Dpr 633/72).

Si ricorda, infine, che i limiti all’utilizzo del denaro contante presentano ricadute anche per i professionisti, che sono obbligati a comunicare alle competenti Ragionerie territoriali dello Stato le infrazioni alle violazioni dei limiti di utilizzo del denaro contante delle quali acquisiscano notizia nello svolgimento della propria attività ex art. 51 comma 1 del Dlgs. 231/2007.

(MF/ms)
 




Acquisti di prodotti tecnologici e reverse charge: specifiche

Ad oramai diversi anni dall’ultima modifica normativa intervenuta, sorgono ancora alcuni dubbi circa l’applicazione del reverse charge per le compravendite di prodotti tecnologici, quali, in particolare, telefoni cellulari, computer portatili e tablet.

I dubbi nascono da una non chiarissima illustrazione, ad origine, della materia da parte dell’Amministrazione finanziaria, e dalla sempre più frequente propensione ad acquistare tali prodotti in canali diversi da quelli di commercio al dettaglio.

Partiamo da un dato di fatto: il settore è da sempre stato interessato da frodi Iva, in tutto il territorio europeo, di svariati miliardi.

A livello pratico, la frode significativa non avviene quando il singolo prodotto viene ceduto da un dettagliante ad un soggetto che spesso si qualifica come consumatore finale (e che quindi non può detrarre l’Iva), ma quando consistenti quantitativi di beni vengono ceduti ad un soggetto che ha diritto alla detrazione dell’Iva.

Quando, infatti, il venditore non versa l’Iva che ha incassato, il danno erariale è molto maggiore nel caso in cui il cliente ha la possibilità di detrarre l’Iva, rispetto al caso in cui si qualifica come consumatore finale.

Detto ciò, a livello comunitario la Direttiva Iva consente agli Stati membri l’introduzione del meccanismo del reverse charge per settori che sono ritenuti ad alto rischio di frode, quali ad esempio le cessioni di telefoni cellulari, di dispositivi a circuito integrato, di console di gioco, tablet PC e laptop.

Altri Stati hanno introdotto il meccanismo del reverse charge in questi settori, e per stabilire in modo chiaro che tale modalità speciale di applicazione dell’imposta è limitata al commercio all’ingrosso, hanno fatto una cosa semplicissima: hanno inserito un limite di importo al di sotto del quale il reverse charge non trova applicazione.

Troviamo infatti dei limiti di importo nella normativa tedesca (euro 5.000) ed in quella britannica (GBP 5.000), istituita quando il Regno Unito era ancora un Paese aderente alla Ue ed ancora oggi in vigore.

Dal canto suo, il legislatore italiano non ha introdotto alcun limite di importo, né ha scritto la norma in modo tale che si potesse evincere che il reverse charge trova applicazione solo nel commercio all’ingrosso.

La norma, infatti, prevede semplicemente che il reverse charge trovi applicazione per le vendite di telefoni cellulari (per la cui definizione viene fatto un rimando ad una norma del 1972, modificata da ultimo nel 1995…), e per le cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, senza specificare in quali fasi della commercializzazione o se per quantitativi minimi.

In uno Stato di diritto, dove le norme si interpretano in primo luogo per come sono scritte, tutte le cessioni di tali prodotti, effettuate verso un soggetto passivo Iva, sarebbero assoggettate a reverse charge.

Se il legislatore poi ravvisa che la norma non raggiunge gli scopi che si proponeva, viene cambiata la norma.

In Italia, invece, l’Agenzia delle Entrate, con documenti di prassi, modifica radicalmente la interpretazione della norma, e, ad esempio, con circolare 59/E/2010 affermò che “si ritiene che l’obbligo del meccanismo dell’inversione contabile alle fattispecie in esame, ai sensi del citato articolo 17, comma 6, del DPR n. 633 del 1972, trovi applicazione per le sole cessioni dei beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio. Le cessioni al dettaglio, infatti, si caratterizzano per la destinazione del bene al cessionario-utilizzatore finale, ancorché soggetto passivo”.

Nella successiva risoluzione 36/E/2011 precisò inoltre che “il riferimento al commercio al dettaglio deve intendersi finalizzato a individuare i soggetti che esercitano attività di commercio al minuto e attività assimilate di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972.


Ne consegue che sono escluse dall’obbligo di reverse charge le cessioni dei beni in argomento effettuate da “commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante“.

In tale risoluzione chiarì anche che “L’esclusione dall’obbligo di reverse charge torna, altresì, applicabile anche a soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972 che, tuttavia, effettuano le cessioni dei beni in argomento direttamente a cessionari-utilizzatori finali.


Tale circostanza può ritenersi sussistere esclusivamente nelle ipotesi in cui la cessione del telefono cellulare sia accessoria alla fornitura del c.d. “traffico telefonico””.

Evidentemente, in molti limitarono la lettura del chiarimento alla prima frase, e si formò un certo orientamento secondo cui l’acquirente di un grossista, che si qualificava come “utilizzatore finale” del telefono, dichiarando cioè che non lo acquistava per rivenderlo, avrebbe dovuto pagare l’Iva al proprio fornitore.

Tale interpretazione è stata recentemente smentita dall’Agenzia delle Entrate, la quale ad una istanza di interpello presentata da un grossista, ha chiarito che “non condivide la soluzione prospettata dall’Istante, secondo la quale l’applicazione del reverse charge non è dovuta, a seguito delle richieste dei cessionari e dall’uso che questi faranno del bene acquistato”.

In sostanza, quando un soggetto passivo Iva acquista un cellulare, un tablet, o un laptop da un dettagliante (in particolare presso un punto vendita aperto al pubblico, o per corrispondenza), troverà sempre applicazione l’Iva, mentre quando lo compra da un grossista, troverà sempre applicazione il reverse charge, salvo il caso disciplinato dalla risoluzione 36/E/2011 di cellulare ceduto come accessorio al traffico telefonico.

(MF/ms)
 




Detrazioni edilizie: sblocco delle cessioni

Nella riunione del 18 febbraio, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che introduce misure urgenti per il contrasto alle frodi in materia edilizia e sull’elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili.

Sono interessate le disposizioni di contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche che sono state introdotte dal DL 4/2022 (c.d. decreto “Sostegni-ter”), la cui conversione è prevista entro il 28 marzo.

Preso atto della paralisi che le norme restrittive dell’art. 28 del DL 4/2022 hanno determinato sul versante delle acquisizioni di crediti di imposta anche da parte di intermediari finanziari che non sono stati minimamente toccati dal problema delle frodi fiscali e dei sequestri disposti dall’autorità giudiziaria, il Governo si è attivato per tornare, almeno in parte, sui suoi passi.

Stando alla bozza di DL, l’art. 28 comma 1 del DL 4/2022 sarebbe interamente sostituito e verrebbero modificate quindi sia la lett. a) che la lett. b) del comma 1 dell’art. 121 del DL 34/2020 per confermare, da un lato, il divieto generale di “cessioni successive alla prima”, ma “fatta salva la possibilità di due ulteriori cessioni solo se effettuate a favore di banche e intermediari finanziari iscritti all’albo previsto dall’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all’albo di cui all’articolo 64 del predetto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ovvero imprese di assicurazione autorizzate ad operare in Italia ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, ferma restando l’applicazione dell’articolo 122-bis, comma 4, del presente decreto per ogni cessione intercorrente tra i predetti soggetti, anche successiva alla prima”.

Come confermato al termine del CdM dal comunicato stampa di Palazzo Chigi, la disposizione prevede che sarà possibile cedere il credito per tre volte e solo in favore di banche, imprese di assicurazione e intermediari finanziari e che lo stesso non possa formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle Entrate.

A tal fine viene introdotto un codice identificativo univoco del credito ceduto per consentire la tracciabilità delle cessioni.

Questo compromesso avrebbe il pregio di consentire una seconda cessione, successiva alla prima, anche da parte di un soggetto diverso da quelli “vigilati” (purché effettuata nei confronti di detti soggetti), preservando in tal modo l’organizzazione “per filiera”, prassi operativa che si caratterizza per una prima cessione, da parte del “piccolo fornitore” che applica lo sconto sul corrispettivo al cliente finale, a favore del “grossista di filiera”, il quale procede poi alla seconda cessione dei crediti di imposta alla banca.

Di contro, avrebbe però il grande difetto di non consentire successive cessioni, da parte dei soggetti “vigilati”, a favore di soggetti “non vigilati”, restringendo significativamente la capacità di assorbimento delle offerte di cessione dei crediti di imposta da parte di contribuenti che pagano le spese e imprese che applicano gli sconti, perché tale capacità di assorbimento diverrebbe limitata alla “capienza complessiva” del comparto di tutti i soggetti “vigilati” medesimi.

Porre vincoli, che “canalizzano” le cessioni successive alla prima verso i soggetti “vigilati”, è senz’altro un giusto accorgimento volto a prevenire e limitare le condotte frodatorie (ora che risulta chiaro, anche a chi ha inizialmente fatto finta di non capire, che questi soggetti hanno precisi obblighi di verificare che i crediti di imposta offerti loro in acquisto corrispondano a lavori effettivamente realizzati o in corso di svolgimento).

Prevedere invece a priori che non possa poi esserci anche una cessione dai soggetti “vigilati” anche ad altri soggetti (quali, ad esempio, gruppi industriali, ma anche semplici persone fisiche), ferma restando poi l’esclusione, per i soggetti “non vigilati” acquirenti, della possibilità di rivendere a loro volta questi crediti, è invece una chiusura del tutto inutile rispetto all’obiettivo di prevenire e limitare le condotte frodatorie.

All’art. 121 del DL 34/2020, inoltre, come anticipato verrebbe introdotto il comma 1-quater, secondo cui i crediti che sono stati oggetto delle opzioni di cui alle lett. a) e b) dell’art. 121 “non possono formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle entrate”.

In pratica, alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate dal 1° maggio 2022, il fornitore (nel caso si sia optato per lo sconto sul corrispettivo) o il primo cessionario (in caso di cessione del credito relativo alla detrazione spettante) devono obbligatoriamente cedere (ove possibile secondo le nuove disposizioni) l’intero ammontare del credito acquisito.

A tal fine, verrebbe attribuito un codice identificativo univoco, da indicare nelle comunicazioni delle eventuali successive cessioni, secondo le modalità definite da un provvedimento.

Mai come in questo caso, tuttavia, sarà opportuno attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di norme che sono ormai da settimane al centro di un dibattito politico e tecnico a dir poco tumultuoso.

(MF/ms)




Il tracciato dei corrispettivi 2022

Con la corposa consulenza giuridica n. 3 pubblicata il 14 febbraio, l’Agenzia delle Entrate ha dato risposta a una folta serie di quesiti relativi alla modalità di rilevazione delle operazioni al dettaglio mediante il tracciato XML per l’invio dei corrispettivi telematici.

Si tratta della versione 7.0 del tracciato, la cui adozione è obbligatoria dal 1° gennaio 2022. Infatti, come ribadito nel documento di prassi, la precedente versione 6.0 non è più utilizzabile, ed eventuali file trasmessi mediante quest’ultima a partire dal 1° gennaio 2022 sono accettati soltanto se riferiti ad operazioni con data antecedente, purché in ogni caso inviati nei termini di legge, ossia entro 12 giorni dall’effettuazione dell’operazione.

In caso di invio oltre i termini, precisa l’Agenzia, si avrebbe, di fatto, un’omessa trasmissione dei corrispettivi, soggetta a sanzione.

Fra i numerosi chiarimenti resi, relativamente alle modalità di rilevazione e documentazione delle operazioni al dettaglio, si evidenziano, in primis, quelli relativi all’utilizzo dei codici natura volti a identificare le cessioni di beni e le prestazioni di servizi per le quali l’Iva non viene evidenziata sul documento commerciale, vale a dire le operazioni escluse dalla base imponibile Iva (N1), non soggette a imposta (N2), non imponibili (N3) o esenti (N4).

Viene confermato, ad esempio, che le operazioni effettuate dai soggetti in regime forfetario ex L. 190/2014 vanno identificate con codice N2, così come le operazioni considerate fuori campo Iva in applicazione del regime monofase, ai sensi dell’art. 74 comma 2 del Dpr 633/72.

L’Agenzia si sofferma anche sul metodo della ventilazione Iva, chiarendo che i soggetti che si avvalgono di tale modalità di rilevazione dei corrispettivi possono comunque indicare nel documento commerciale, in luogo dell’apposito valore “VI” (istituito allo scopo), l’aliquota Iva del bene ceduto o, eventualmente, il codice natura dell’operazione cui non si applica l’Iva.

Un’ulteriore questione concerne le cessioni della strumentazione per la diagnosi del Covid-19 (nonché le prestazioni strettamente connesse a tale strumentazione) e dei vaccini contro il coronavirus (ivi comprendendo, anche in questo caso, le prestazioni strettamente connesse).

Ai sensi dell’art. 1 commi 452 e 453 della L. 178/2020, le suddette operazioni devono ritenersi esenti da IVA ex art. 10 del Dpr 633/72 con diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’art. 19 del medesimo decreto; ne consegue, pertanto, che nel documento commerciale dovrà essere riportato il codice “N4” all’interno del campo 4.1.2 “Natura”.

L’Agenzia precisa che tali beni, se diversi dai farmaci, non rientrano nell’ambito di applicazione del metodo della ventilazione dei corrispettivi. Viene richiamata la circolare n. 26/2020 (§ 2.14), nella quale era stato chiarito che i soggetti passivi che adottano tale meccanismo sono tenuti a “espungere dal totale globale dei corrispettivi la quota degli stessi che si ritiene riconducibile alle cessioni dei beni in questione e sulle quali non è stata applicata l’Iva”.

Altro chiarimento contenuto nel documento di prassi ha riguardato il campo 4.1.15 “Codice Attività”, che potrebbe essere compilato per rappresentare in via separata i corrispettivi riferibili alle attività esercitate, “anche se gestite con un’unica contabilità ai fini Iva”.

È altresì possibile l’emissione di un documento commerciale che riporti in modo “misto” le operazioni riferite a differenti attività. In questo caso, tuttavia, è necessario che il registratore telematico riesca a ricostruire correttamente “il file dei corrispettivi giornalieri da trasmettere, ad ogni chiusura, all’Agenzia delle Entrate, abbinando in modo corretto l’imponibile e l’Iva con il giusto codice Ateco”. Il campo 4.1.15 è, dunque, finalizzato proprio a ricostruire correttamente i ricavi di ciascuna attività e a determinare correttamente la liquidazione Iva.

L’Agenzia ha esaminato, poi, le modalità di documentazione delle operazioni nell’ambito della lotteria degli scontrini. Viene precisato, ad esempio, che se l’esercente rilascia un documento commerciale contenente un codice lotteria, emettendo poi fattura su richiesta del cliente soggetto passivo Iva, il documento commerciale, ove i dati siano già stati trasmessi, dovrà essere annullato (posto che la lotteria riguarda i soli acquisti da parte di privati consumatori).

Si segnalano, infine, tra i numerosi chiarimenti resi, quelli relativi alle modalità di rilevazione delle operazioni effettuate a titolo gratuito, delle operazioni con corrispettivo non riscosso collegati a fatture e di quelle effettuate mediante voucher monouso e multiuso.

Con riferimento a questi ultimi (c.d. “voucher multiuso”), l’Agenzia ha sottolineato che la relativa circolazione, antecedente alla cessione del bene o alla prestazione del servizio, non è soggetta a Iva e rientra fra le operazioni per le quali va indicato il codice N2 nel documento commerciale.

(MF/ms)
 




Nuovi modelli Intrastat: indicazione origine merce

In base alla determinazione dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli n. 493869/2021, nei modelli Intrastat relativi alle cessioni intracomunitarie (elenco Intra-1 bis) effettuate a partire dal 2022 è necessario indicare il dato relativo all’origine non preferenziale, da individuarsi sulla base delle regole doganali.

Tale informazione, riferita al Paese di origine della merce spedita (colonna 15), rilevante ai fini statistici del modello, è obbligatoria e aggiuntiva rispetto al dato della provincia di provenienza o di produzione dei beni.

Quest’ultimo elemento (provincia di origine o di produzione della merce) è attestato nella colonna 14 del modello Intra-1 bis, mediante la sigla automobilistica della provincia di riferimento (si veda l’elenco 1 secondo le istruzioni aggiornate, di recente, con la determinazione n. 493869/2021).

Qualora non sia un’informazione nota o essa sia estranea all’ambito nazionale, è riportata la provincia di spedizione della merce. 

Per quanto attiene, invece, al campo relativo al Paese di origine dei beni ceduti (colonna 15), lo stesso andrà rappresentato indicando il codice Iso dello Stato di origine della merce, il quale deve essere individuato in funzione di ciò che prevedono l’art. 60 del Regolamento Ue n. 952/2013 (Codice doganale dell’Unione o, in breve, Cdu) e l’art. 31 ss. del Regolamento Ue n. 2446/2015 (Regolamento delegato).

I beni interamente ottenuti in un unico Paese sono considerati originari di tale Paese.

Tra le merci che si considerano “interamente ottenute” in un Paese o territorio, sono stati individuati: i prodotti minerali ivi estratti, i prodotti del regno vegetale ivi raccolti, gli animali vivi, ivi nati e allevati, i prodotti provenienti da animali vivi ivi allevati, i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate, ecc.

Più complessa è l’individuazione dell’origine non preferenziale dei beni alla cui produzione contribuiscano due o più Stati.

I beni di questa categoria sono considerati originari del Paese in cui i medesimi hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata presso imprese attrezzate, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

In merito all’individuazione delle “imprese attrezzate” per la trasformazione o lavorazione sostanziale, si deve tenere conto degli elementi fattuali che attestino la “comprovata sussistenza dei requisiti tecnico-organizzativi che consentano di effettuare quelle lavorazioni / trasformazioni considerate significative ai fini dell’attribuzione dell’origine non preferenziale” (nota Agenzia delle Dogane e dei monopoli n. 70339/2018).

L’art. 34 del Cdu, inoltre, prevede un’elencazione di lavorazioni c.d. “minime”, ossia attività volte solo a migliorare l’aspetto esteriore delle merci o di mera conservazione, le quali sono sempre considerate inidonee al conferimento dell’origine.

Al fine di individuare la lavorazione sostanziale idonea ad attribuire al bene l’origine non preferenziale, è possibile fare riferimento all’allegato 22-01 del Regolamento Delegato, limitatamente ai beni ivi compresi.

Per i beni che, invece, non sono contemplati dal richiamato Allegato, si fa rinvio alle regole di lista indicate dalla Commissione europea – direzione generale TAXUD (https://ec.europa.eu/taxation_customs/table-list-rules-applicable-products-following-classification-cn_en), pur prive di valore vincolante per gli operatori (nota Agenzia delle Dogane n. 70339/2018).

Sul tema, è, inoltre, da considerare il recente Regolamento Ue n. 1934/2021, il quale stabilisce che, in caso di lavorazione o trasformazione minima realizzata in più Paesi, la loro ultima trasformazione sostanziale viene attribuita allo Stato di cui è originaria la maggior parte dei materiali.

Dunque, in base all’appena menzionato Regolamento, qualora il prodotto finale debba essere classificato:

  • nei capitoli da 1 a 29 o da 31 a 40 del sistema armonizzato, la quantificazione della maggior parte dei materiali andrà determinata in base al peso degli stessi;
  • nel capitolo 30 o nei capitoli da 41 a 97 del sistema armonizzato, la maggior parte dei materiali andrà quantificata sulla base del valore degli stessi.
Certificati richiedibili in Camera di Commercio

Il rilascio del certificato che attesta l’origine non preferenziale di un bene è a cura della Camera di Commercio competente in relazione alla sede legale, sede operativa o unità locale del soggetto richiedente (es. speditore, spedizioniere doganale delegato o rappresentante fiscale). La domanda deve essere presentata in modalità telematica, attraverso l’apposita piattaforma delle Camere di Commercio (Cert’o) ed essere firmata digitalmente dal richiedente (nota Ministero dello Sviluppo economico n. 62321/2019).

Da ultimo, si evidenzia che i certificati di origine sono espressamente esclusi dal novero dei documenti che possono essere rilasciati mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi dell’art. 49 comma 1 del Dpr 445/2000.

(MF/ms)
 




Comunicazione delle opzioni per le spese edilizie 2021 entro il 7 aprile

La comunicazione di opzione delle detrazioni edilizie per le spese sostenute nel 2021 e quella per le rate residue non fruite delle detrazioni riferite alle spese sostenute nel 2020 potrà essere trasmessa entro il 7 aprile 2022, anziché entro il 16 marzo.

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha previsto una proroga dal 7 febbraio al 17 febbraio 2022 del termine ex art. 28 comma 2 del DL 4/2022, precedentemente al quale devono essere inviate le comunicazioni per le opzioni per gli interventi agevolabili per il 2020, 2021 e 2022.

Pertanto, la disciplina transitoria si applica ai crediti ceduti per i quali la relativa comunicazione all’Agenzia delle Entrate sia validamente trasmessa prima del 17 febbraio 2022 (ossia entro il 16 febbraio 2022).

La proroga al 7 aprile per le comunicazioni delle opzioni per le spese nel 2021 e per le rate residue delle spese nel 2020 è contenuta nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate pubblicato, che attua gli art. 119 e 121 del DL 34/2020 con riferimento alle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia, recupero o restauro della facciata degli edifici, riqualificazione energetica, riduzione del rischio sismico, installazione di impianti solari fotovoltaici e infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici.

Modalità e i termini sono stati ridefiniti alla luce delle novità introdotte dall’art. 1 commi 28 e 29 della L. 234/2021 e dall’art. 28 del DL 4/2022.

Lo slittamento del termine, si legge nelle motivazioni del provvedimento, è stato disposto per consentire a contribuenti e intermediari di disporre di un più ampio lasso di tempo per trasmettere la comunicazione, considerato che la dichiarazione dei redditi precompilata sarà resa disponibile a partire dal 30 aprile 2022.

Il provvedimento approva il modello, le istruzioni e le specifiche tecniche, adeguati per gestire tutte le fattispecie di cessione delle rate residue di detrazione non fruite, in relazione agli interventi sulle parti comuni degli edifici.

Gli aggiornamenti saranno progressivamente resi disponibili a partire dalle comunicazioni delle opzioni inviate dal 4 e dal 24 febbraio 2022, così come già era stato preannunciato con il comunicato stampa del 28 gennaio 2022.

La notizia della proroga del periodo transitorio fino al 17 febbraio è stata invece “anticipata” con una FAQ e un comunicato stampa, ma l’Agenzia delle Entrate emanerà poi un apposito provvedimento. 

Si ricorda che l’art. 28 del DL 4/2022 modifica la disciplina delle cessioni dei bonus edilizi ex art. 121 comma 1 del DL 34/2020 consentendo solo una cessione del credito d’imposta. Il comma 2 contiene una disposizione transitoria per consentire in ogni caso “una ulteriore cessione” a terzi per quei “crediti che alla data del 7 febbraio 2022 sono stati precedentemente oggetto di una delle opzioni di cui al comma 1 dell’articolo 121 del decreto-legge n. 34 del 2020”.

Dunque, precisa l’Agenzia nella Faq, la disciplina transitoria di cui al comma 2 opera in relazione ai crediti ceduti per i quali – precedentemente alla data del 7 febbraio 2022 – è stata validamente trasmessa la relativa comunicazione all’Agenzia delle Entrate, a prescindere dal numero di cessioni avvenute prima di tale data. Tali crediti possono essere oggetto solo di una ulteriore cessione, che potrà essere effettuata dal 7 febbraio 2022.

Visti i tempi tecnici necessari per l’adeguamento del software che consente la trasmissione telematica della comunicazione delle opzioni – scrive l’Agenzia – con successivo provvedimento ex art. 19-octies comma 4 del DL 148/2017, verrà prorogata la data a cui fare riferimento per individuare i crediti, precedentemente oggetto delle opzioni, che possono essere ceduti esclusivamente una ulteriore volta ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari. “In particolare, verrà prorogato dal 7 febbraio al 17 febbraio 2022 il termine di cui all’articolo 28, comma 2, del citato decreto-legge n. 4 del 2022, precedentemente al quale devono essere inviate le Comunicazioni per le opzioni relative agli interventi agevolabili per gli anni 2020, 2021 e 2022. Pertanto, la disciplina transitoria recata dal comma 2 si applica ai crediti ceduti per i quali la relativa comunicazione all’Agenzia delle entrate sia validamente trasmessa prima del 17 febbraio 2022 (ossia entro il 16 febbraio 2022)“.

Nella Faq successiva si chiede se un contribuente titolare di un credito, che il 28 gennaio 2022 ha comunicato all’Agenzia l’opzione di cessione, possa effettuare un’ulteriore cessione il 3 febbraio. Per le Entrate “la risposta è affermativa, poiché tale fattispecie rientra nella disciplina transitoria […], a condizione, ovviamente, che la cessione del 3 febbraio sia validamente comunicata all’Agenzia delle entrate prima del 17 febbraio 2022 […]. Per effetto della predetta disciplina transitoria il nuovo cessionario potrà, dal 17 febbraio 2022, effettuare «esclusivamente una ulteriore cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari»”.

(MF/ms)
 




Le nuove regole per la cessione e lo sconto in fattura per i bonus edilizi

Le operazioni di cessione dei crediti corrispondenti ai bonus edilizi dovranno sottostare a nuove regole e presidi di controllo che limitano la circolazione dei benefici tra gli operatori.

Negli ultimi mesi, infatti, l’iniziativa legislativa si è concentrata nell’individuare misure di contrasto ai numerosi tentativi di frode basati sulla monetizzazione di bonus fittizi.

In particolare, i rimedi concepiti dal legislatore per contrastare tali fattispecie sono stati i seguenti:

  • estensione delle ipotesi in cui è necessario acquisire attestazioni da parte di professionisti abilitati;
  • eliminazione della possibilità di plurimi trasferimenti di bonus collegati ad un medesimo intervento;
  • intensificazione delle verifiche preliminari all’atto della ricezione delle comunicazioni di opzione all’Amministrazione finanziaria.
La prima soluzione adottata, precisamente quella consistente nella previsione di obblighi di attestazione in presenza di qualsiasi utilizzo del bonus diverso dalla detrazione, è stata ab origine introdotta dal Dl. 157/2021 (cd. Decreto controlli o Decreto antifrode), nel quale si prevedeva un obbligo generalizzato del visto di conformità e dell’attestazione di congruità sulle spese oggetto di opzione per lo sconto sul corrispettivo o per la cessione del credito.

Successivamente, tale decreto non è stato convertito in legge ed un emendamento alla Legge di bilancio 2022 ne ha recepito il contenuto con alcune modifiche.

L’articolo 121, comma 1-ter, Dl. 34/2020, all’esito della rivisitazione apportata dalla Legge di Bilancio 2022, ha confermato l’obbligo del visto di conformità e dell’attestazione della congruità delle spese in caso di opzione per la cessione del credito o per lo sconto in fattura, prevedendo tuttavia alcune ipotesi di esonero in presenza di opere minori che, alternativamente:

  • siano classificate come attività di edilizia libera, purché non si tratti di recupero e restauro della facciata di edifici;
  • siano di importo complessivo non superiore a 10.000 euro, salvo che non si tratti di recupero e restauro della facciata di edifici.
Dunque, con riferimento ai lavori eseguiti in regime di edilizia libera ai sensi dell’articolo 6 Dpr 380/2001 (Testo unico in materia edilizia), ed agli interventi di importo complessivo non superiore alla soglia di 10.000 euro, eseguiti sulle singole unità immobiliari o sulle parti comuni dell’edificio, diversi dal c.d. “bonus facciate”, sarà possibile continuare ad esercitare facoltà di optare per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, di importo massimo pari alla detrazione concessa o per la cessione del credito d’imposta corrispondente alla detrazione, senza necessità di visto di conformità e di asseverazione di congruità dei prezzi.

Contestualmente, l’articolo 1, comma 41, della Legge di bilancio 2022 ha abrogato il Dl. 157/ 2021, precisando che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e facendo salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge.

A questo punto, è utile interrogarsi sull’ambito temporale di applicazione del nuovo perimetro di esonero così delineato, con particolare riguardo alle spese per interventi agevolabili in edilizia libera o di importo complessivo non superiore a 10.000 euro, sostenute nel periodo di vigenza del Decreto Antifrode (12.11.2021-31.12.2021), la cui opzione non sia ancora stata comunicata all’Agenzia delle Entrate.

Nelle faq pubblicate dall’Agenzia delle Entrate il 28 gennaio 2022, è stato ribadito il concetto di base già espresso nella circolare 16/E/2021, nella quale veniva chiarito che i nuovi obblighi di rilascio delle asseverazioni si applicano alle comunicazioni trasmesse in via telematica all’Agenzia delle Entrate a decorrere dall’entrata in vigore del Decreto.

In via speculare, posto che la Legge di bilancio 2022 è entrata in vigore il 1° gennaio 2022, le regole che fanno venir meno le attestazioni nelle ipotesi di cui sopra trovano applicazione anche alle spese sostenute nel 2021 (ed in particolare nel periodo 01.11.2021 – 31.12.2021), sebbene la relativa opzione non sia ancora stata comunicata all’Agenzia delle Entrate.

Pertanto, per gli interventi agevolabili in edilizia libera o di importo complessivo non superiore a 10.000 euro (fatta eccezione per gli interventi ammessi al bonus facciate), non ricorre l’obbligo del visto di conformità e dell’attestazione della congruità delle spese se la comunicazione di cessione è trasmessa all’Agenzia delle Entrate a decorrere dal 1° gennaio 2022.

Un ulteriore correttivo intrapreso per arginare le frodi, come accennato, è quello che si ricava nel recente Dl. 4/2022 (cd. Decreto sostegni-ter), il quale pone fine ai trasferimenti a catena dei crediti.

L’articolo 26 del Decreto elimina la facoltà di successiva cessione del medesimo credito escludendo passaggi successivi al primo e rendendo nullo ogni contratto stipulato in violazione del suddetto divieto.

Ciò implica che il beneficiario della detrazione potrà ancora cedere il credito ad altri soggetti, compresi banche e intermediari finanziari, ma questi non potranno cederlo a loro volta; i fornitori e le imprese che praticano lo sconto in fattura potranno recuperare lo sconto sotto forma di credito d’imposta e cederlo ad altri soggetti, compresi banche e intermediari finanziari, ma essi non potranno cederlo a loro volta.

La norma, inoltre, fissa una data a partire dalla quale i crediti già “passati di mano” possono essere ulteriormente ceduti per una sola volta.

Al comma 2, infatti, viene previsto che potranno essere trasferiti ulteriormente, per una sola ulteriore volta, ad altri soggetti, quei i crediti che, alla data del 7 febbraio 2022, risulteranno essere già oggetto di cessione.

Ad un’attenta analisi, la norma genera una discrasia tra i crediti comunicati prima e dopo la data del 7 febbraio. I primi, infatti, a differenza dei secondi, possono usufruire dell’ulteriore “ultima” cessione consentita dal Decreto sostegni-ter.

(MF/ms)