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Esportatori abituali: novità dalla Legge di Bilancio 2021

Il Sistema di Interscambio non permetterà di emettere una fattura elettronica con il titolo di non imponibilità IVA indicando il numero di protocollo di una dichiarazione d’intento invalidata, in quanto predisposta da un soggetto che non è in possesso della qualifica di esportatore abituale.
Lo ha previsto la legge di bilancio 2021 (art. 1 commi 1079-1083 della L. 178/2020).

Al fine di inibire il rilascio delle dichiarazioni d’intento ai falsi esportatori abituali e di invalidare quelle illegittime, gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria effettueranno specifiche analisi di rischio e conseguenti attività di controllo sostanziale.

Resta da comprendere come potranno essere effettuate verifiche sostanziali, in merito all’effettivo possesso dello status di esportatore abituale, su un numero elevato di soggetti.
La stessa Amministrazione finanziaria, nell’ambito della risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-03673 del 26 febbraio 2020, non aveva ritenuto verosimile che “un Ufficio Territoriale possa procedere ad un controllo sostanziale dei contenuti della dichiarazione d’intento ricevuta, ancorché telematicamente, al fine di verificare i requisiti così da autenticarne la validità”.

Ragionevolmente, è ipotizzabile che le suddette verifiche possano consistere in un’analisi dei dati risultanti dalla dichiarazione IVA dell’anno precedente e in controlli relativi all’inclusione del soggetto passivo nella banca dati VIES nonché agli elenchi INTRASTAT e alle dichiarazioni d’intento già presentate.

Le nuove disposizioni si avvalgono di quanto previsto dall’art. 12-septies del DL 34/2019, il quale stabilisce che gli estremi del protocollo di ricezione della dichiarazione d’intento “devono essere indicati nelle fatture emesse in base ad essa”.

Sarà, dunque, possibile invalidare le dichiarazioni d’intento precedentemente emesse, operare un incrocio automatico tra il sistema della fatturazione elettronica e una lettera d’intento ideologicamente falsa nonché, in tal caso, inibire l’emissione da parte del cedente o prestatore di una fattura elettronica via SdI con il titolo di non imponibilità IVA di cui all’art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/72.

Si rammenta, peraltro, che a decorrere dal 1° gennaio 2021 è obbligatoria l’emissione delle fatture elettroniche, nei confronti degli esportatori abituali, con lo specifico codice natura “N3.5” invece del più generico “N3”, adottabile sino al 31 dicembre 2020.

Una semplificazione è, invece, prevista in sede dichiarativa, essendo stata anticipata dalle bozze del modello IVA 2021 (riferito all’anno d’imposta 2020) l’abolizione del quadro VI ove i fornitori di esportatori abituali erano tenuti a riepilogare i dati delle lettere d’intento ricevute.

Nella legge di bilancio 2021 trovano spazio, inoltre, alcune novità con riguardo al settore nautico, che saranno applicabili alle operazioni effettuate a partire dal sessantesimo giorno successivo all’adozione di un apposito provvedimento dell’Agenzia delle Entrate (art. 1 commi 708-712 della L. 178/2020).

In particolare, per effetto di quanto previsto dall’art. 1 comma 708 della L. 178/2020, il regime di non imponibilità di cui all’art. 8-bis del DPR 633/72 potrà essere applicato, dal cedente o prestatore, solamente a condizione che il cessionario o committente – intenzionato ad acquistare beni e/o servizi senza applicazione dell’IVA – rilasci una specifica dichiarazione che attesti l’effettiva navigazione in “alto mare” della nave.

La menzionata disposizione stabilisce, tra l’altro, che una nave si considera adibita alla navigazione in “alto mare” se ha effettuato nell’anno solare precedente (o, in caso di primo utilizzo, effettua nell’anno in corso) un numero di viaggi in “alto mare” superiore al 70% del totale dei viaggi effettuati. 

La dichiarazione di impiego della nave “in alto mare” dovrà essere predisposta utilizzando il modello che sarà approvato dall’Agenzia delle Entrate e trasmessa telematicamente a quest’ultima. Gli estremi del protocollo di ricezione della dichiarazione dovranno essere indicati dal fornitore nella fattura.

Dichiarazione d’intento anche per il settore navale

La legge di bilancio 2021 prevede anche specifiche disposizioni in merito alla territorialità IVA delle prestazioni di servizi B2C relative all’utilizzo di imbarcazioni da diporto di cui all’art. 7-sexies lett. e-bis) del DPR 633/72.

 Le novità riguardano le prestazioni di noleggio, locazione, leasing e simili, non a breve termine (possesso o utilizzo dell’imbarcazione per più di 90 giorni) e prevedono che l’utilizzatore del mezzo sia tenuto a rilasciare una dichiarazione sull’effettivo utilizzo del bene nel territorio dell’Unione europea.
Anche per questa fattispecie, l’art. 1 comma 710 della L. 178/2020 prevede l’invio di una dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, la quale rilascia apposita ricevuta.

(MF/ms)




Crediti imposta per investimenti in nuovi beni strumentali

Con la risoluzione n. 3 del 13 gennaio, l’Agenzia delle Entrate ha istituito i codici tributo necessari per l’utilizzo in compensazione, mediante F24, dei crediti d’imposta per gli investimenti in nuovi beni strumentali. Si tratta, nello specifico, dei codici tributo “6932”, “6933”, “6934”, relativi al credito d’imposta ex L. 160/2019, rispettivamente, per investimenti in beni materiali “ordinari”, materiali “4.0” e immateriali “4.0”, nonché dei codici tributo “6935”, “6936”, “6937” relativi al nuovo credito d’imposta ex L. 178/2020, rispettivamente, per investimenti in beni materiali e immateriali “ordinari”, materiali “4.0” e immateriali “4.0”.

Con riferimento all’agevolazione prevista dall’art. 1 comma 185 ss. della L. 160/2019, il credito spettante è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del DLgs. 241/97, in cinque quote annuali di pari importo (1/5 all’anno), ridotte a tre (1/3 all’anno) per i soli investimenti in beni immateriali “4.0”.

Il credito d’imposta è utilizzabile (art. 1 comma 191 della L. 160/2019): nel caso degli investimenti in beni materiali “ordinari”, a decorrere dall’anno successivo a quello di entrata in funzione dei beni (ad esempio, in caso di bene entrato in funzione nel 2020, la prima quota del credito d’imposta sarà quindi utilizzabile a partire dal prossimo 18 gennaio 2021); per gli investimenti nei beni “Industria 4.0”, a decorrere dall’anno successivo a quello dell’avvenuta interconnessione. Nel caso in cui l’interconnessione dei beni di cui all’Allegato A alla L. 232/2016 avvenga in un periodo d’imposta successivo a quello della loro entrata in funzione, è comunque possibile iniziare a fruire del credito d’imposta “generale” del 6% per la parte spettante.

In ogni caso, la fruizione dell’agevolazione non è soggetta all’obbligo di preventiva presentazione della dichiarazione dei redditi da cui emergono i crediti stessi (in tal senso, risposta Agenzia delle Entrate a Telefisco 2020 con riferimento, in generale, ai crediti d’imposta di natura agevolativa).

Tanto premesso, per consentire l’utilizzo in compensazione di tale credito d’imposta tramite il modello F24, da presentare esclusivamente tramite i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate, la risoluzione n. 3/2020 ha istituito i seguenti codici tributo:

–          “6932” denominato “Credito d’imposta investimenti in beni strumentali nuovi (diversi dai beni di cui agli allegati A e B alla legge n. 232/2016) – art. 1, comma 188, legge n. 160/2019”;

–          “6933” denominato “Credito d’imposta investimenti in beni strumentali nuovi di cui all’allegato A alla legge n. 232/2016 – art. 1, comma 189, legge n. 160/2019”;

–          “6934” denominato “Credito d’imposta investimenti in beni strumentali nuovi di cui all’allegato B alla legge n. 232/2016 – art. 1, comma 190, legge n. 160/2019”.

La ris. n. 3 istituisce anche i codici per l’utilizzo in compensazione del nuovo credito d’imposta per investimenti in beni strumentali previsto dall’art. 1 comma 1051 ss. della L. 178/2020 che, a differenza del precedente, nel caso di investimenti in beni “ordinari” è utilizzabile già a decorrere dall’anno di entrata in funzione dei beni, mentre per gli investimenti nei beni “4.0” a decorrere dall’anno di avvenuta interconnessione.

Utilizzo già dall’anno di entrata in funzione nella nuova disciplina

Il credito d’imposta, utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’art. 17 del DLgs. 241/97, spetta per i beni materiali e immateriali (sia “ordinari” che “4.0”) in tre quote annuali di pari importo, ma per i soggetti con ricavi/compensi inferiori a 5 milioni di euro che hanno effettuato investimenti in beni materiali e immateriali “ordinari” dal 16 novembre 2020 al 31 dicembre 2021 spetta in un’unica quota annuale.

Tanto premesso, per consentire l’utilizzo in compensazione del credito d’imposta in esame, sono istituiti i seguenti codici tributo:

–          “6935” denominato “Credito d’imposta investimenti in beni strumentali nuovi (diversi dai beni di cui agli allegati A e B alla legge n. 232/2016) – art. 1, commi 1054 e 1055, legge n. 178/2020”;

–          “6936” denominato “Credito d’imposta investimenti in beni strumentali nuovi di cui all’allegato A alla legge n. 232/2016 – art. 1, commi 1056 e 1057, legge n. 178/2020”;

–          “6937” denominato “Credito d’imposta investimenti in beni strumentali nuovi di cui all’allegato B alla legge n. 232/2016 – art. 1, comma 1058, legge n. 178/2020”.

Tutti i nuovi codici tributo, sia quelli relativi alla L. 160/2019 sia alla L. 178/2020, devono essere indicati nella sezione “Erario” del modello F24 nella colonna “importi a credito compensati” e l’“anno di riferimento” va valorizzato con l’anno di entrata in funzione ovvero di interconnessione dei beni.

I crediti d’imposta non sono comunque soggetti ai limiti di utilizzo previsti dall’art. 1 comma 53 della L. 244/2007, dall’art. 34 della L. 388/2000 e dall’art. 31 del DL 78/2010.

(MF/ms) 




Corrispettivi telematici: è terminato il periodo transitorio

È terminato il 31 dicembre 2020 il c.d. periodo “transitorio” di applicazione degli obblighi di memorizzazione e invio telematico dei corrispettivi previsto dall’art. 2 comma 6-ter del DLgs. 127/2015. Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2021, fatti salvi gli esoneri previsti dal DM 10 maggio 2019, anche gli esercenti “minori” devono:

–          memorizzare i corrispettivi mediante i registratori telematici o la procedura web “Documento commerciale on line”;

–          trasmettere gli stessi all’Agenzia delle Entrate mediante tali strumenti ed entro il termine di 12 giorni dall’effettuazione dell’operazione.

Non è più possibile, dunque, nella generalità dei casi, rilevare i corrispettivi mediante scontrino o ricevuta fiscale, provvedendo poi all’invio mensile dei dati tramite i servizi web dell’Agenzia delle Entrate. L’ultimo invio “mensile”, relativo ai dati del mese di dicembre 2020 da parte dei soggetti “minori” che ancora si avvalevano della moratoria delle sanzioni, è previsto entro il 1° febbraio 2021 (il 31 gennaio è domenica).

Si rammenta, peraltro, che fino al prossimo 31 marzo, per effetto del provv. n. 389405/2020, è ancora possibile utilizzare la versione 6.0 del tracciato di invio dei dati, mentre dal 1° aprile 2021 diverrà obbligatorio l’utilizzo della nuova versione.

Una novità riguarda anche i soggetti tenuti all’invio dei dati al Sistema TS, in quanto il DL 183/2020 ha rinviato di un anno (al 1° gennaio 2022) le previsioni ad essi rivolte concernenti le modalità di trasmissione dei corrispettivi (art. 2 comma 6-quater del DLgs. 127/2015).

In tale contesto, si innestano le novità della legge di bilancio 2021 (art. 1 commi 1109-1114 della L. 178/2020), con la quale è stato specificato che la memorizzazione dei corrispettivi e, a richiesta del cliente, la consegna del documento commerciale o della fattura, devono avvenire non oltre il momento di ultimazione dell’operazione; inoltre, è stato rinviato al 1° luglio 2021 il termine a partire dal quale è possibile avvalersi di sistemi evoluti di incasso per l’invio telematico dei corrispettivi (art. 2 commi 5 e 5-bis del DLgs. 127/2015).

La novità più rilevante riguarda, però, il regime sanzionatorio, che viene disciplinato in maniera più organica. In caso di mancata o non tempestiva memorizzazione o trasmissione dei corrispettivi, nonché in caso di memorizzazione o trasmissione con dati incompleti o non veritieri, è prevista una sanzione pari al 90% dell’IVA relativa all’importo non memorizzato o non trasmesso, con riferimento a ciascuna operazione (art. 6 comma 2-bis del DLgs. 471/97).

La sanzione per ciascuna violazione, in ogni caso, non può essere inferiore a 500 euro. È prevista però una sanzione più leggera per le violazioni relative all’invio dei corrispettivi che non hanno inciso sulla corretta liquidazione del tributo, pari a 100 euro per ciascuna trasmissione (dunque, non per operazione), pur essendo preclusa l’applicazione del cumulo giuridico (art. 11 comma 2-quinquies del DLgs. 471/97). Inoltre, in caso di reiterate violazioni può essere disposta la chiusura dei locali commerciali (art. 12 comma 2 del DLgs. 471/97). È esplicitato, peraltro, che le sanzioni fin qui richiamate si applicano anche per i corrispettivi rilevati da distributori automatici o da distributori di carburante ex art. 2 commi 1-bis e 2 del DLgs. 127/2015.

La legge di bilancio ha poi stabilito che (fatte salve le procedure alternative previste):

–          in caso di omessa installazione dei registratori telematici, si applica la sanzione da 1.000 a 4.000 euro;

–          in caso di mancato o irregolare funzionamento degli apparecchi si applica la sanzione del 90% per ciascuna operazione, commisurato all’imposta relativa all’importo non memorizzato o non trasmesso.

Qualora non vi siano omesse annotazioni, la mancata tempestiva richiesta di intervento per la manutenzione o l’omessa verifica periodica degli apparecchi nei termini di legge è soggetta ad una sanzione da 250 a 2.000 euro. Infine, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque manomette o altera i registratori o fa uso di essi allorché siano stati manomessi o alterati, o consente che altri ne faccia uso al fine di eludere le disposizioni dell’art. 2 comma 1 del DLgs. 127/2015, è punito con una sanzione da 3.000 a 12.000 euro (art. 11 comma 5-bis del DLgs. 471/97).

Obblighi estesi ai distributori di carburante “minori”

Si ricorda, in ultimo, che dal 1° gennaio 2021 l’obbligo di invio dei corrispettivi di cui all’art. 2 comma 1-bis del DLgs. 127/2015 si applica anche alle cessioni di benzina e gasolio da parte dei distributori di carburante con erogato 2018 non superiore a 1,5 milioni di litri (secondo le regole del provv. n. 106701/2018, ossia con invio dei dati entro il mese successivo al mese o trimestre di riferimento, a seconda della periodicità delle liquidazioni). Resta fermo, per i distributori, l’esonero dall’invio dei dati per le operazioni al dettaglio, diverse dalle cessioni di benzina o di gasolio, effettuate in via marginale (art. 2 comma 2 del DM 10 maggio 2019).

(MF/ms) 




Credito d’imposta: nuove sanzioni

La L. 178/2020 (c.d. Legge di Bilancio 2021) conferma il ruolo sempre più pervasivo dei crediti d’imposta nel quadro degli incentivi fiscali a carattere nazionale disponendo la proroga, talora con potenziamenti e modifiche, dei principali in vigore nel periodo 2020, nonché l’introduzione di nuovi.

In allegato si offre una panoramica dei principali crediti d’imposta contenuti nella Legge di Bilancio 2021.

(MF/ms) 




Somministrazione lavoro: obbligo comunicazione periodica contratti

In vista della consueta comunicazione riassuntiva periodica dei contratti di somministrazione lavoro attivati nell’anno solare precedente, ricordiamo che la scadenza è prevista entro il prossimo 31 gennaio 2021.
Il contenuto della predetta comunicazione dovrà riguardare: il riepilogo del numero di contratti di somministrazione attivati e conclusi nell’anno 2020, la loro durata, il numero e qualifica dei lavoratori interessati.
A tal fine, riteniamo utile proporre alle aziende associate un possibile schema di compilazione come di seguito indicato: 

Oggetto:    Comunicazione annuale di dati relativi ai contratti di somministrazione (D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 36, comma 3) 

La scrivente Società ________________________________ in conformità alla normativa richiamata in oggetto, rende noto quanto segue:

  1. Nel periodo temporale 01/01/2020 – 31/12/2020 (per gli anni successivi analogamente dall’1/1/….. al 31/12/….), sono stati stipulati n_____ contratti di somministrazione di lavoro
  2. Per quanto riguarda gli ulteriori elementi di dettaglio da comunicare con riferimento alla stipula di ogni singolo contratto di somministrazione di lavoro, vale quanto segue (indicare per ogni contratto di somministrazione stipulato):
  • ·           motivo _______
  • ·           durata ________
  • ·           n___ lavoratori interessati
  • ·           qualifica dei lavoratori interessati _______

 

Ricordiamo che la comunicazione periodica e le informazioni sopra indicate, devono essere inoltrate alle RSU aziendali oppure RSA o, dove assenti, alle OO.SS organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul territorio.
In caso di mancato o non corretto adempimento della comunicazione sopra indicata, l’art. 40, comma 1) del D.Lgs. n. 81/2015 prevede una sanzione amministrativa da € 250,00 a € 1.250,00.

N.B.: i contenuti del D.Lgs. 81/2015, l’art. 55, comma d) dispongono l’abrogazione dell’altra tipologia di comunicazione, ovvero quella preventiva, da inoltrare alle rappresentanze sindacali prima di ogni attivazione di contratti relativi a somministrazione lavoro.

(FP/tm) 




Fondapi: variazioni aliquote anno 2021

Si comunicano le variazioni delle aliquote contributive FONDAPI a carico azienda con decorrenza 1°gennaio 2021 per i seguenti settori:

Chimica (concia e settori accorpati)

L’aliquota contributiva a carico dell’azienda, viene elevata all’1,46%.Resta invariata la quota minima a carico del lavoratore con aliquota pari all’1,06%.

Gomma-Plastica

L’aliquota contributiva a carico dell’azienda, viene elevata all’1,80%. Resta invariata la quota minima a carico del lavoratore con aliquota pari all’1,60%.

Ceramica

L’aliquota contributiva a carico dell’azienda, viene elevata al 2,10%. Resta invariata la quota minima a carico del lavoratore con aliquota pari all’1,70%. 

Vetro

L’aliquota contributiva a carico dell’azienda, viene elevata all’1,80%. Resta invariata la quota minima a carico del lavoratore con aliquota pari all’1,40%.

Abrasivi

L’aliquota contributiva a carico dell’azienda, viene elevata al 2,05%. Resta invariata la quota minima a carico del lavoratore con aliquota pari all’1,20%.

Tessile Abbigliamento, Calzature, Pelli e Cuoio, Penne, Spazzole e Pennelli, Occhiali, Giocattoli

L’aliquota contributiva a carico dell’azienda, viene elevata all’1,90%. Resta invariata la quota minima a carico del lavoratore con aliquota pari all’1,60%.

 

(FP/tm) 




Nozze FCA-Peugeot: cauto ottimismo tra i subfornitori

La Provincia di Lecco, 19 gennaio 2020, parla la nostra associata Rapitech.




Il Prefetto in visita all’Api: “Un dialogo proficuo”

La Provincia di Lecco, 16 gennaio 2021, visita del Prefetto Castrese De Rosa in Api.




Reach e rifiuti: nuova banca dati Scip dal 5 gennaio 2021

Scip sta per “Substances of Concern in articles as such or in complex objects (Products)”. Si tratta di una banca dati destinata a contenere informazioni relative a “sostanze preoccupanti, Svhc Substances of very high concern” in articoli in quanto tali o in oggetti complessi (prodotti). Nella banca devono essere convogliate le informazioni sulle sostanze incluse nella Candidate List (normativa Reach), affinchè siano disponibili durante l’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali, anche nella fase di trattamento dei rifiuti.

Sul sito dell’Echa una infografica mostra cosa si intende per articoli e oggetti complessi.

L’obbligo di notifica, dal 5 gennaio 2021, riguarda le aziende che immettono nel mercato dell’Ue articoli contenenti sostanze preoccupanti ovvero quelle che, pur non essendo soggette a registrazione Reach, sono presenti in concentrazione superiore allo 0,1% p/p e sono elencate nella Candidate list. L’obbligo non si applica ai rivenditori al dettaglio che forniscono articoli direttamente al consumatore.
Da febbraio 2021, le informazioni presenti nel database Scip sul sito dell’Echa sono a disposizione degli operatori impegnati nelle attività di recupero e nella produzione di beni ottenuti da materiali riciclati e saranno accessibili ai consumatori. 

La banca dati Scip concretizza una misura prevista dalla normativa europea sui rifiuti, in particolare la Direttiva 2008/98/Ce all’art. 9 Prevenzione dei rifiuti come modificata dalla Dir. (Ue) 2018/851. La direttiva quadro sui rifiuti stabilisce misure per affrontare gli effetti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti sull’ambiente e sulla salute umana e per migliorare l’uso efficiente delle risorse essenziali per il passaggio a un’economia circolare. Molte altre informazioni si possono trovare sullapagina specifica di Echa.

(SN/bd)




Brexit: cosa cambia per le aziende

Brexit è il nome che ha preso iprocesso di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (Britain exitdopo la decisione del referendum consultivo del 23 giugno 2016, che ha poi causato l’uscita ufficiale dall’Unione Europea del 31 gennaio 2020.

Pertanto, dal 1 Gennaio 2021 la Gran Bretagna, dopo 47 anni, è fuori dall’Unione Europea, diventando, di fatto, il primo paese a lasciare la UE da quando l’organizzazione internazionale è stata fondata.

Di conseguenza, lo status extracomunitario dell’UK ha prodotto immediatamente per le imprese una serie di adeguamenti e di adempimenti   in materia doganale, di IVA, di accise e di regole extratributarie, anche per le operazioni che si andranno a realizzare a cavallo dell’anno.

Si pensi all’impatto finanziario del pagamento dell’IVA in Dogana per chi importa da UK, salvo la possibilità di poter emettere dichiarazione di intento se esportatore abituale.

Le regole sono state disciplinate in modo puntuale nell’accordo di recesso e nelle successive determinazioni che sono state prese dal UK e dall’UE.

La premessa per affrontare Brexit consiste nel fatto che, dal 1 gennaio 2021, l’entrata e l’uscita di merci tra l’UE e il Regno Unito saranno assoggettate alle regole unionali relative ai Paesi terzi e quindi tutti i movimenti di merci tra le parti dovranno essere vincolati ad importazione, esportazione o allo specifico regime riferibile all’operazione che si intende realizzare, configurandosi la necessità, nei casi previsti, di ottenere una specifica autorizzazione dall’Ufficio doganale di competenza; per queste ultime, è il caso, ad esempio, delle imprese di manutenzione, riparazione, lavorazione, trasformazione che oggi operano senza alcuna formalità doganale e che dovranno attivare specifici regimi doganali come,ad esempio,  il perfezionamento attivo o passivo.

Negli scambi con il Regno Unito, il primo e sicuro adempimento che le imprese dovranno effettuare è la presentazione di una dichiarazione doganale. Le merci unionali in uscita dal territorio Ue devono infatti essere vincolate al regime doganale dell’esportazione, da formalizzare su formulario Dau secondo gli standard in uso e come regolamentati dalla disciplina unionale. Tale adempimento di solito avviene, se l’impresa non è attrezzata autonomamente, con il ricorso ad un rappresentante ad hoc, cosiddetto spedizioniere doganale o doganalista, che si occuperà delle pratiche  doganali.

 Al tema dichiarativo si aggiunge, poi, anche quello extratributario, che comporta responsabilità e sanzioni per le imprese, aventi per lo più carattere penale. È il caso, ad esempio, delle dichiarazioni di libera esportazione sottoscritte dalle imprese nazionali, ovvero delle necessità di autorizzazione o licenza export connesse a determinate tipologie di merci, dei vincoli su beni sanitari, fitosanitari, dei materiali inquinanti, dei beni culturali, dei beni sottoposti alle direttive sicurezza e alla marcatura CE, dei beni Cites  e, soprattutto, dei beni dual use, elementi questi delicatissimi per le imprese impegnate con l’estero.

Cambia poi il regime Iva che pur restando nell’ambito della non imponibilità, si modifica da cessioni Intra Ue (ex articolo 41 del Dl 331/93) a cessioni all’esportazione (ex articolo 8 del Dpr 633/72), e che richiede l’intervento dell’ufficio doganale (il famoso “Visto Uscire”), per avere la prova dell’uscita della merce dal territorio dell’Ue.

Inoltre la Brexit impone agli operatori di assumere decisioni per gestire gli invii di merci a cavallo d’anno e per regolarizzare i beni che, di fatto, sono già nel Regno Unito ma ancora di proprietà dell’operatore Ue. Queste situazioni sono influenzate dallo status di Paese terzo che il Regno Unito ha assunto dal 1° gennaio 2021.

In particolare, per le merci giacenti nel Regno Unito ma ancora di proprietà di operatori UE sono da considerare le seguenti ipotesi: benin conto deposito, in conto lavoro, in consignment stock.

Conto deposito:

Ipotesi – L’azienda italiana ha trasferito beni prima del 1° gennaio 2021 in conto deposito in Regno Unito per venderli in quel mercato. L’operatore, con le regole precedenti , dovrebbe aver assoggettato i beni agli adempimenti delle cessioni intracomunitarie in quanto l’articolo 41, comma 2 lettera c) del Dl 331/93 stabilisce che il suddetto trasferimento è assimilato a una cessione intracomunitaria. In questo caso, l’operatore per trasferire a se stesso i beni ha dovuto identificarsi o nominare un Rappresentante fiscale ai fini Iva nel Regno Unito. Pertanto, al momento della cessione interna in UK, dopo il 1° gennaio 2021, dovrà emettere tramite la propria identificazione  fiscale  una fattura con Iva inglese. La posizione Iva assunta prima del 1° gennaio 2021 potrà essere utilizzata anche successivamente a tale data.

Conto lavoro:
 Ipotesi  In questo caso potremmo avere due situazioni.

1)      L’operatore italiano  ha inviato i beni al terzista/ trasformatore ma i beni sono destinati, al termine della lavorazione, a rientrare in Italia o destinati in un altro Paese UE. In questo caso l’operatore non ha posto in essere alcun adempimento Iva se non l’invio in conto lavoro dei beni e l’indicazione degli stessi ai fini statistici sull’Intrastat. Nella fattispecie, al rientro, le merci dovranno essere assoggettate agli adempimenti doganali, con potenziali aggravi alla reimportazione.

2)      L’operatore italiano ha inviato i beni al terzista/ trasformatore ma i beni sono destinati, al termine della lavorazione, ad essere venduti nel Regno Unito. Nella fattispecie, la cessione dovrà essere effettuata con Iva inglese utilizzando la propria posizione fiscale acquisita nel regno Unito.

 

3)      Consignment stock: Ipotesi –  Sulla base di un contratto di consignment stock, l’operatore Italiano  ha trasferito i beni presso il proprio cliente con il vincolo che i  beni vengono ceduti  solo al momento del prelievo da parte del cliente stesso. Nella fattispecie, l’operatore dovrà provvedere a regolarizzare l’operazione richiedendo una identificazione fiscale o nominarsi un rappresentante fiscale nel Regno Unito e ad assoggettare l’operazione con a Iva inglese al momento della successiva vendita.

 
Operazioni a cavallo d’anno
Molti operatori potrebbero trovarsi nella situazione di dover gestire delle operazioni in cui le merci sono state spedite nel Regno Unito negli ultimi giorni dell’anno e che sono arrivate  a destinazione dopo il 1 gennaio 2021. Nella fattispecie, per sciogliere i dubbi degli operatori e adottare un corretto adempimento è intervenuto l’accordo di recesso e le linee di orientamento Ue che disciplinano le operazioni a cavallo.

In particolare, le norme sancite nell’accordo di recesso prevedono espressamente che le cessioni di beni spediti o trasportati dal territorio del Regno Unito al territorio di uno Stato membro e viceversa prima del 31 dicembre 2020, con arrivo dopo il 1° gennaio 2021, rimangono sottoposti alle regole doganali, Iva e accise esistenti prima della fine dell’anno. In altre parole, gli scambi relativi a  beni inviati nel Regno Unito entro il 31 dicembre 2020 e giunte a destinazione dopo il 1  gennaio 2021, e viceversa,  saranno ancora regolate dalla Direttiva Iva e quindi saranno ancora considerate operazioni intracomunitarie

L’impegno degli operatori resta quello di provare che i beni siano partiti prima del 31 dicembre 2020. Proprio sul piano delle prove è necessario acquisirle per tempo per evitare successivi problemi  a seguito di eventuali controlli delle autorità preposte.

ACCORDO del 24 dicembre 2020
Dopo nove mesi di negoziato, Regno Unito e Unione Europea hanno raggiunto, in extremis, un accordo per regolare i rapporti commerciai bilaterali post Brexit.

E’ stata istituita un’Area di libero scambio che prevede un meccanismo di cooperazione in campo normativo e doganale e, salvo ove diversamente previsto, lo sdoganamento delle merci originarie dei rispettivi territori senza l’applicazione di dazi in importazione e senza limite di quote.

Questo accordo commerciale di cooperazione tra UE e Regno Unito, concordato il 24 dicembre, si applica, in via provvisoria, dal 1.1.2021 fino al 28 febbraio 2021;  seguirà l’iter legislativo previsto dagli ordinamenti dei singoli Stati Membri per l’entrata in vigore degli accordi internazionali.

Ma cosa prevede esattamente l’accordo?

 L’accordo, di circa 2000 pagine, copre diversi ambiti e principalmente gli scambi commerciali.

Finora, il Regno Unito era un Paese membro dell’Ue e il commercio non incontrava ostacoli, perché esso faceva parte dell’unione doganale e di un ambito omogeneo di standard, regole, sistemi di sorveglianza e di controllo; dal primo gennaio 2021, invece, il Regno Unito non beneficerà più, in linea di principio, della libertà di circolazione delle merci.

L’aspetto più rilevante dell’accordo e’ la previsione di esenzioni tariffarie all’atto dell’importazione a consolidamento di accordi bilaterali già esistenti.

L’importazione e l’esportazione di merce da e verso l’Unione Europea avviene senza l’applicazione di dazi solamente nel caso in cui le merci abbiano origine nel Regno Unito o nella UE secondo le regole di origine. E’ dunque fondamentale fornire una conferma circa l’origine delle merci per non incorrere nel pagamento dei dazi

In linea di principio, negli scambi reciproci, la preferenza è accordata nei casi di:

 – prodotti realizzati esclusivamente con prodotti originari della parte (Regno Unito o UE);

 – prodotti interamente ottenuti (minerali, vegetali, animali, ecc.);

– prodotti realizzati con prodotti non originari nel rispetto delle regole espressamente previste dall’Accordo al Capitolo 2 (specifiche regole di origine).

Considerata la complessità dell’argomento in materia di “origine preferenziale e non”, in  sostanza, al solo scopo di poter dare l’idea,  le regole di origine servono a determinare la ‘nazionalità economica’ del prodotto quando viene realizzato con componenti o ingredienti di diversa origine e mirano ad assicurare che il prodotto che beneficia dei vantaggi del trattamento preferenziale ai fini del dazio previsto dall’accordo sia

·         interamente realizzato nell’area di libero scambio (Ue più Regno Unito)

·         lavorato  in  misura sufficiente fissando, per esempio, un limite per il valore dei materiali non ‘originari’ che possono essere utilizzati o la modifica della classificazione doganale.

Nota:I requisiti per ottenere l’origine UE secondo le regole possono essere consultate  nel seguente link: https://trade.ec.europa.eu/access-tomarkets/it/content/guida-rapida-al-lavoro-con-le-norme-di-origine;

Inoltre, è da sottolineare che per tutto il 2021, a differenza di quanto previsto dagli altri Accordi di libero scambio, per gli esportatori italiani ed europei verso il Regno Unito, è sufficiente un’autocertificazione dell’origine preferenziale per fruire del trattamento preferenziale daziario in sede di sdoganamento nel Regno Unito. il testo del documento è stato pubblicato in allegato alla circolare n. 49  del 30.12.2020 dell’Agenzia delle Dogane. Questa deroga temporanea tiene conto dell’oggettiva impossibilità, per le imprese, di organizzare per tempo quanto normalmente necessario per l’implementazione delle nuove regole, sottoscritte il 31dicembre e in vigore già dal giorno successivo.

Di conseguenza, si è reso necessario prevedere che, in deroga alle norme previste, gli esportatori possono compilare,per tutto il 2021, attestazioni di origine per le esportazioni verso il Regno Unito anche in assenza di una precedente dichiarazione del fornitore.

Tale dichiarazione potrà essere emessa successivamente, non oltre il 1°gennaio 2022 e dunque con valore anche per le operazioni già eseguite.

Se entro tale data l’esportatore non sarà in possesso della dichiarazione del fornitore deve darne informazione all’importatore inglese entro il 31 gennaio 2022.

E’ evidente che l’esportatore è responsabile della correttezza della dichiarazione di origine e delle informazioni in essa contenute.

Infine è  da sottolineare che per tutti gli  Accordi di libero scambio l’agevolazione dell’esonero dai dazi è riconosciuta agli esportatori che abbiano richiesto e ottenuto dall’Autorità doganale di competenza , secondo una prassi prevista, lo “Status di esportatore autorizzato”  o di “esportatore registrato” nel Sistema REX. Pertanto, a conclusione di questa fase di transizione, le aziende interessate dovranno provvedere ad ottemperare a quanto richiesto dalle norme procedurali. 

(MF/ms)