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Lettere di intento per il 2024

I soggetti in possesso della qualifica di esportatori abituali, al fine di effettuare acquisti o importazioni senza l’applicazione dell’IVA, sono tenuti a redigere la dichiarazione d’intento, conformemente al modello approvato dall’Agenzia delle Entrate (provv. n. 96911/2020).

La lettera d’intento è, quindi, trasmessa per via telematica all’Agenzia delle Entrate, la quale rilascia apposita ricevuta telematica con l’indicazione del protocollo di ricezione.

In vista della fine dell’anno, i soggetti passivi che hanno acquisito (o presumono di acquisire) il predetto status di “esportatore abituale” devono predisporre le lettere d’intento, se intendono effettuare acquisti e importazioni “detassati” nel 2024.

Stando all’attuale disciplina, la compilazione della dichiarazione d’intento può infatti:

  • essere relativa a una singola operazione;
  • oppure riguardare una o più operazioni sino a un dato importo del plafond disponibile.
La seconda modalità è quella più adottata dagli operatori perché consente, come detto, di indicare l’importo fino a concorrenza del quale si intende acquistare senza applicazione dell’IVA ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/72 ed è possibile esporre un valore presunto pari alla quota parte del plafond che si stima venga utilizzato nel corso dell’anno verso uno specifico fornitore (cfr. risposta a interrogazione parlamentare n. 5-10391/2017).

Peraltro, la prassi ha confermato che si può utilizzare una sola dichiarazione d’intento anche per più operazioni d’importazione, fino a concorrenza di un determinato ammontare da utilizzarsi nell’anno di riferimento (cfr. nota Agenzia delle Dogane n. 69283/2019).

La preparazione della dichiarazione d’intento, relativa a più forniture effettuate dallo stesso soggetto o a più operazioni in Dogana, richiede dunque, evidentemente, un attento monitoraggio del plafond maturato nel corso dell’anno (es. 2023) da parte dell’esportatore abituale.

Si rammenta che il plafond si considera utilizzato al momento di effettuazione dell’operazione secondo l’art. 6 del DPR 633/72 (circ. Agenzia delle Dogane n. 8/2003).

Fermo quanto descritto, è da segnalare che l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto la possibilità di emettere dichiarazioni d’intento nei confronti di più fornitori per un importo complessivo superiore al plafond disponibile.

Infatti, l’Amministrazione finanziaria accetta le lettere d’intento anche se l’ammontare complessivo supera il plafond disponibile poiché lo stesso si esaurisce in relazione agli acquisti effettivi e non sulla base di quanto dichiarato (cfr. risposta Agenzia delle Entrate n. 27195/2017).

Qualora si intendesse indicare nella dichiarazione d’intento un plafond maggiore di quello effettivamente maturato, l’esportatore abituale dovrà prestare particolare attenzione – nel corso dell’anno – alle forniture ricevute con applicazione del regime di non imponibilità ex art. 8 comma 1 lett. c) del DPR 633/72, al fine di non incorrere nel c.d. “splafonamento”.

Dovrebbe, comunque, essere possibile rettificare in diminuzione, senza particolari formalità, l’importo del plafond indicato nella lettera d’intento, trattandosi di una facoltà dell’esportatore abituale quella di acquistare in regime di non imponibilità IVA.

Le medesime argomentazioni dovrebbero quindi valere anche per l’eventuale revoca di una dichiarazione d’intento già presentata (cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 41/2005, § 5.3; circ. Assonime nn. 5/2017 e 20/2018).

È necessario, tuttavia, dare pronta notizia al fornitore dell’intenzione di ridurre l’ammontare della dichiarazione d’intento o di revocarla, possibilmente avvalendosi di mezzi che consentano all’esportatore abituale di provare l’esistenza e la data in cui è avvenuta la comunicazione (es. PEC o email), al fine di prevenire contestazioni.

Un’ulteriore facoltà, riconosciuta dalla prassi amministrativa, è quella di non avvalersi del plafond per determinate operazioni, senza però revocare del tutto la lettera d’intento presentata.

Fermo restando che è preferibile manifestare la propria volontà di non “spendere” il plafond mediante mezzi di prova certi, come quelli di cui sopra (es. PEC o email), è stata riconosciuta validità anche al comportamento concludente del cessionario o committente (cfr. interpello Agenzia delle Entrate n. 954-6/2018).

Possibile incrementare l’utilizzo del plafond

Opposto è il caso, invece, in cui l’esportatore abituale intenda acquistare beni e servizi senza applicazione dell’IVA per un importo superiore a quello indicato nella dichiarazione d’intento.

È concessa tale possibilità, producendo una nuova dichiarazione ove indicare l’ulteriore ammontare sino al quale si intende acquistare, da uno specifico fornitore, senza corresponsione dell’imposta (cfr. interpello Agenzia delle Entrate n. 954-6/2018 e ris. n. 120/2016).

(MF/ms)




Disciplina degli omaggi natalizi

In occasione dell’avvicinarsi delle festività natalizie, è frequente la concessione di omaggi da parte delle imprese.

Fermo restando che la disciplina degli omaggi non è stata oggetto di particolari modifiche rispetto allo scorso anno, si riepilogano i tratti salienti della stessa ai fini delle imposte sui redditi.

Con riferimento alle imprese, gli oneri sostenuti per omaggi distribuiti ai clienti sono deducibili interamente, ai sensi dell’art. 108 comma 2 del TUIR, se il valore unitario dei beni in omaggio destinati ad uno stesso soggetto non supera 50 euro.

Diversamente, gli oneri sostenuti per omaggi sono considerati spese di rappresentanza e, in quanto tali, sono deducibili nell’esercizio di sostenimento nel rispetto dei limiti di inerenza e congruità previsti (1,5% dei ricavi e proventi della gestione caratteristica, fino a 10 milioni di euro; 0,6% dei suddetti ricavi, per la parte compresa tra 10 e 50 milioni di euro; 0,4% dei suddetti ricavi, per la parte eccedente 50 milioni).

Al fine di determinare il “valore unitario” dell’omaggio consegnato, occorre fare riferimento al regalo nel suo complesso e non ai singoli beni che lo compongono.

Ad esempio, un cesto natalizio composto di tre diversi beni che hanno un valore di 20 euro ciascuno, dovrà essere considerato come un unico omaggio dal valore complessivo di 60 euro e, come tale, sarà soggetto, ai fini della deducibilità, ai suddetti limiti previsti per le spese di rappresentanza “generali” (circ. Agenzia delle Entrate n. 34/2009, § 5.4).

Nel caso in cui l’omaggio sia rappresentato da beni “autoprodotti”, rileva il valore di mercato dell’omaggio, determinato ai sensi dell’art. 9 del TUIR.

Tale valore, tuttavia, rileva unicamente al fine di individuare le spese di rappresentanza da sottoporre al regime di deducibilità limitata; una volta qualificata la spesa come di rappresentanza (se, quindi, il valore di mercato risulta superiore a 50 euro), ai fini del calcolo del limite di deducibilità concorre invece, per intero, il costo di produzione effettivamente sostenuto dall’impresa, indipendentemente dal fatto che lo stesso sia inferiore o meno a 50 euro (ris. Agenzia delle Entrate n. 27/2014).

Qualora il valore normale dell’omaggio autoprodotto sia inferiore o uguale a 50 euro, il costo effettivamente sostenuto per la produzione beneficia invece della deduzione integrale.

Ad esempio, nel caso in cui l’omaggio autoprodotto abbia un valore di mercato pari a 80 euro e un costo di produzione di 40 euro, l’omaggio costituisce una spesa di rappresentanza da sottoporre alla verifica del limite di deducibilità (valore di mercato pari a 80 euro, superiore quindi al limite di 50 euro), ma ai fini del calcolo del plafond di deducibilità rileva l’importo di 40 euro (costo di produzione effettivo).

Nel caso in cui, invece, l’omaggio autoprodotto abbia un valore di mercato pari a 40 euro e un costo di produzione pari a 30 euro, l’omaggio è interamente deducibile per 30 euro.

Si evidenzia, inoltre, che, poiché la norma fa espresso riferimento ai “beni distribuiti gratuitamente” di modico valore, la stessa non è riferibile alle spese relative a servizi (circ. n. 34/2009, § 5.4). Di conseguenza, le prestazioni gratuite di servizi sono deducibili dal reddito d’impresa soltanto ove rispettino i requisiti previsti per le spese di rappresentanza “generali”.

In relazione agli omaggi ai dipendenti e ai soggetti assimilati, se per l’impresa i relativi costi sostenuti sono deducibili dal reddito imponibile secondo le norme relative ai costi per le prestazioni di lavoro di cui all’art. 95 comma 1 del TUIR, in capo ai dipendenti i beni ricevuti sono generalmente oggetto di tassazione ai sensi dell’art. 51 comma 1 del TUIR.

Tuttavia, risultano non imponibili gli omaggi ricevuti che nel periodo d’imposta non superino, assieme all’ammontare degli altri fringe benefit, l’importo di 258,23 euro ai sensi dell’art. 51 comma 3 del TUIR, elevato per il 2023 a 3.000 euro per i soli dipendenti con figli fiscalmente a carico (art. 40 del DL 48/2023).

Sono considerati fringe benefit anche i buoni acquisto concessi dall’impresa ai dipendenti (art. 51 comma 3-bis del TUIR).

Deducibili anche le spese per le cene natalizie

Quanto alle spese sostenute per le cene natalizie con i dipendenti, malgrado non siano di rappresentanza, l’art. 100 comma 1 del TUIR stabilisce che le spese relative a servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di ricreazione o culto sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.

Tale principio opera anche nell’ipotesi in cui detti servizi siano messi a disposizione dei dipendenti con il ricorso a strutture esterne all’azienda (ris. n. 34/2004), come, ad esempio, nel caso di un ristorante. Occorre, però, considerare anche l’art. 109 comma 5 del TUIR, in base al quale le spese per la somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75%.

(MF/ms)




Srl: obbligo nomina Organo di controllo

Molti uffici del Registro delle imprese, prima di comunicare la carenza al tribunale, stanno inviando una lettera di sollecito alle srl che, pur avendo l’obbligo giuridico di nominare l’organo di controllo o il revisore, non vi hanno provveduto nell’assemblea di approvazione del bilancio 2022.

Solo a seguito della mancata nomina da parte delle assemblee societarie anche successivamente al sollecito, i Conservatori dei Registri delle imprese provvederanno alle segnalazione della carenza ai competenti tribunali ai sensi dell’art. 2477 comma 5 c.c.

In pratica molti Conservatori (soprattutto nel Triveneto) stanno provvedendo a dare una sorta di “ultimatum” alle srl che non hanno provveduto agli obblighi le quali, se non provvederanno a inviare al Registro delle imprese il verbale di assemblea che dimostri l’avvenuta nomina del sindaco unico o del revisore entro un determinato termine (in genere 30 giorni dopo l’avviso) segnaleranno l’omissione al competente tribunale.

A riguardo appare opportuno ricordare i termini della vicenda.

Ai sensi dell’art. 379 (più volte emendato) del Codice della crisi (DLgs. 14/2019), le società a responsabilità limitata e le società cooperative dovevano “provvedere a nominare gli organi di controllo o il revisore e, se necessario, ad uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni di cui al predetto comma (comma 1 dell’art. 2477 c.c., ndr) entro la data di approvazione dei bilanci relativi all’esercizio 2022”.

In pratica le società che, nell’ambito dei bilanci relativi all’esercizio 2021 e 2022, hanno superato per entrambi gli esercizi oggetto di analisi uno dei tre parametri previsti dall’art. 2477 c.c., nel corso dell’assemblea delegata ad approvare il bilancio 2022 dovevano nominare un organo di controllo, attribuendo allo stesso anche la revisione legale dei conti, o un revisore.

I parametri sono noti: totale attivo dello Stato patrimoniale, 4 milioni di euro; ricavi delle vendite e delle prestazioni, 4 milioni di euro; dipendenti occupati in media durante l’esercizio, 20 unità.

Va evidenziato a riguardo che le segnalazioni al Registro delle imprese riguarderanno solo le società che avendo superato per due esercizi uno dei parametri (anche diversi nei due anni) non abbiano provveduto alla nomina, mentre nessuna segnalazione sarà effettuata nei casi in cui l’obbligo di nomina scaturisca dal fatto che la società sia tenuta alla redazione del consolidato o quando essa controlli una società obbligata alla revisione legale dei conti.

Nel caso in cui la segnalazione del Registro delle imprese pervenga al tribunale competente, sulla base della sede legale della società, esso provvederà alla nomina decidendo, in primo luogo, il tipo di controlli a cui sottoporre la società (se lo statuto non preveda espressamente la nomina di un sindaco o di un revisore), stabilendo di fatto se la società debba essere sottoposta sia ai controlli di cui all’art. 2403 c.c., sia alla revisione legale (nominando in questo caso un sindaco unico o un collegio sindacale) oppure esclusivamente a quest’ultima (nominando esclusivamente un revisore).

Inoltre, il tribunale deciderà il professionista da nominare e il relativo compenso, presumibilmente sulla base dei parametri giudiziali di cui al DM 140/2012 (parametri, peraltro, in via di modificazione).

Ci si chiede però come il tribunale sceglierà i soggetti da nominare. A riguardo quasi tutti i tribunali hanno chiesto agli Ordini territoriali dei dottori commercialisti ed esperti contabili l’elenco dei soggetti disponibili ad assumere incarichi di sindaco unico o revisore nelle srl, da cui saranno attinti i nominativi proposti.

Ovviamente, per poter svolgere l’attività di revisione, il dottore commercialista o l’esperto contabile dovrà essere iscritto anche al registro dei revisori. Nel caso di nomina di un sindaco unico (o di un collegio sindacale) con funzioni di revisione i professionisti, oltre che iscritti al registro dei revisori, dovranno invece risultare iscritti nella sezione A dell’albo dei dottori commercialisti.

Un’ultima considerazione pare opportuna. Il soggetto nominato, prima di accettare l’incarico, dovrà verificare, oltre alla congruità del compenso, anche la propria posizione di compatibilità rispetto alla nomina, analizzando la propria indipendenza nei confronti della società nel quale si appresta a svolgere la funzione di sindaco o di revisore. Nel caso di sindaco-revisore la compatibilità dovrà essere valutata in relazione all’art. 2399 c.c. e alle norme di comportamento del collegio sindacale, nonché se revisore rispetto agli artt. 10, 10-bis e 10-ter del DLgs. 39/2010 e al recente Codice etico del revisore emanato nel 2023. Solo al DLgs. 39/2010 e al Codice etico dovranno invece far riferimento i meri revisori.
 

(MF/ms)




Versamento del bollo sulle fatture elettroniche entro il 30 novembre

Il 30.11.2023 scade il termine di versamento dell’imposta di bollo relativa alle fatture elettroniche emesse e ricevute dall’Agenzia delle Entrate nel terzo trimestre 2023.

Si fa riferimento alle fatture che presentano data di ricezione allo SdI tra l’1.7.2023 ed il 30.9.2023.

Ai fini dell’individuazione del trimestre di riferimento, per le fatture elettroniche emesse nei confronti di privati (operatori Iva e consumatori finali) vengono considerate quelle in cui la data di consegna, contenuta nella ricevuta di consegna rilasciata al termine dell’elaborazione o la data di messa a disposizione (contenuta nella ricevuta di impossibilità di recapito) sono precedenti al 30.9.2023.

Per le fatture emesse verso la PA, oltre alla ricevuta di consegna, si fa riferimento anche alle fatture in decorrenza termini (per cui la PA non ha notificato né l’accettazione né il rifiuto) e le fatture non consegnate, per le quali la data di messa a disposizione, contenuta nella “ricevuta di impossibilità di recapito”, sono precedenti al 30.9.2023.

Nell’area riservata del portale “Fatture e corrispettivi”, Consultazione, Fatture elettroniche ed altri dati Iva, Pagamento imposta di bollo, sono presenti due elenchi.
Le fatture assoggettate ad imposta di bollo su indicazione del cedente sono riportate nell’elenco A (non modificabile).
L’elenco B (modificabile) è alimentato dalle fatture per le quali, la somma degli importi delle operazioni presenti risulta maggiore di 77,47 euro, non è presente la codifica per il non assoggettamento ad imposta di bollo (ad esempio NB2, se si tratta di un documento emesso da un soggetto appartenente al terzo settore) ed il campo Natura è valorizzato con uno dei codici:

  • N2.1 e N2.2 (operazioni non soggette a Iva per mancanza del requisito territoriale di cui agli articoli da 7 a 7-septies D.P.R. 633/1972 o altri casi);
  • N3.5 e N3.6 (operazioni non imponibili Iva in base a dichiarazione di intento di cui all’articolo 8, primo comma, lett. c), D.P.R. 633/1972, ed altre operazioni che non formano il plafond come le cessioni di beni destinati ad essere introdotti nei depositi Iva di cui all’articolo 50-bis, quarto comma, lett. c), D.L. 331/1993);
  • N4 (operazioni esenti Iva).
Vengono esclusi i documenti elettronici emessi, utilizzando il tracciato della fattura elettronica ordinaria, per la comunicazione dei dati delle operazioni transfrontaliere verso operatori stranieri, che riportano nel tag codice destinatario il valore “XXXXXXX”, in quanto l’imposta di bollo potrebbe essere stata applicata sulla copia cartacea della fattura.

La messa a disposizione degli elenchi A e B, relativa al terzo trimestre 2023, è avvenuta il 15.10.2023, mentre fino al 31.10.2023 era possibile modificare l’elenco B.

L’importo dovuto viene visualizzato il 15.11.2023, mentre il termine del versamento è fissato alla fine del mese di novembre.

Entro lo stesso termine del 30.11.2023 scade il versamento, se non è stato già effettuato, dell’imposta di bollo relativa ai primi due trimestri del 2023 che poteva essere prorogato se di importo complessivamente inferiore a 5.000 euro.

In tal caso occorre prestare attenzione ai codici tributo da utilizzare per il versamento di quanto dovuto per i trimestri il cui versamento è slittato al 30.9.2023 o al 30.11.2023: i codici da utilizzare sono il 2521 e/o 2522, ossia quelli relativi ai trimestri per i quali l’imposta di bollo è dovuta.

Pertanto, se non è stata versata l’imposta di bollo del primo trimestre di 100 euro e quella del secondo trimestre di 50 euro, entro il 30.11.2023 occorre versare nel modello F24 l’imposta di bollo distinguendo i due periodi.

Nel caso di ritardo rispetto alla scadenza prevista, la procedura web calcola e consente il pagamento della sanzione e degli interessi previsti per il ravvedimento operoso.

In alternativa, il contribuente può versare l’importo dovuto tramite modello F24, da presentarsi in modalità telematica. I codici tributo da utilizzare sono i seguenti:

  • 2521 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – primo trimestre
  • 2522 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – secondo trimestre
  • 2523 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – terzo trimestre
  • 2525 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – sanzioni
  • 2526 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – interessi.
Nel caso di versamento dell’imposta di bollo omesso o carente rispetto all’importo dovuto o tardivo rispetto alla scadenza, l’Agenzia delle entrate trasmette al contribuente una comunicazione telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata presente nell’elenco INI-PEC (Indice nazionale degli indirizzi di pec), nella quale indica l’importo dovuto per l’imposta di bollo, la sanzione prevista dall’articolo 13, primo comma, D.Lgs. 471/1997, ridotta a un terzo e gli interessi. 

Entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, il contribuente o il suo intermediario possono fornire chiarimenti in merito ai versamenti.

Il termine di versamento dell’ultimo trimestre 2023, infine, è fissato al 28.2.2024 con utilizzo in F24 del codice tributo 2524 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – quarto trimestre.
 
(MF/ms)




Chiarimenti sul differimento del pagamento della seconda rata degli acconti d’imposta

Con la circolare n. 31 del 9 novembre 2023, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti sulla proroga al 16 gennaio 2024 (ex art. 4 del DL 145/2023) del termine per il pagamento della seconda rata degli acconti d’imposta da parte delle persone fisiche titolari di partita IVA che, nel 2022, dichiarano ricavi o compensi (indicati nel modello REDDITI PF 2023) non superiori a 170.000 euro.

Come ribadito dal documento di prassi, tale requisito implica che, per fruire del differimento, i contribuenti, nel 2022, devono aver svolto un’attività d’impresa o di lavoro autonomo.

Ciò premesso, quale precisazione di maggior rilievo, l’Amministrazione finanziaria conferma che sono esclusi dal beneficio i seguenti contribuenti:

  • le persone fisiche “non titolari” di partita IVA (ivi inclusi i soci di società e associazioni “trasparenti” ai sensi degli artt. 5, 115 e 116 del TUIR, sempre che non siano titolari di una propria partita IVA);
  • le persone fisiche titolari di partita IVA che, nel 2022, dichiarano ricavi o compensi di importo superiore a 170.000 euro;
  • i soggetti diversi dalle persone fisiche (ad esempio, le società di capitali e di persone, nonché gli enti commerciali e non commerciali).
Per tali soggetti, il termine di versamento resta quindi fermo al 30 novembre 2023, se aventi il periodo d’imposta coincidente con l’anno “solare”.

Attesa la loro natura individuale, possono invece beneficiare del differimento gli imprenditori titolari dell’impresa familiare o dell’azienda coniugale non gestita in forma societaria (in entrambi i casi, rimangono invece esclusi i collaboratori familiari e il coniuge del titolare d’impresa, sempre che non siano, a loro volta, titolari di partita IVA).

Tale impostazione appare coerente con quella adottata, in relazione ai medesimi soggetti, con riferimento:

  • all’esclusione da IRAP dal 2022 (cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 4/2022, § 3);
  • alla possibilità di fruire della c.d. “flat tax incrementale” (cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 18/2023, § 1.1).
Contrariamente a quanto pareva emergere dal tenore letterale della norma, possono fruire della proroga anche i contribuenti tenuti a versare l’acconto in un’unica soluzione.

In merito alla verifica del superamento, o meno, del limite di 170.000 euro, l’Agenzia osserva che occorre fare riferimento:

  • ai compensi, per i lavoratori autonomi;
  • ai ricavi “di cui all’articolo 57 del TUIR”, per gli imprenditori.
Il richiamo del citato art. 57 (peraltro non presente nel testo di legge, ma introdotto in via interpretativa) comporta, ad avviso dell’Agenzia, che rilevino tutti i ricavi indicati nell’art. 85 del TUIR e quindi:
  • sia i ricavi c.d. “tipici”, derivanti dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi oggetto dell’attività dell’impresa oppure dalla vendita di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione;
  • sia i ricavi c.d. “assimilati”, quali i contributi in conto esercizio o spettanti in base a contratto oppure i ricavi derivanti, tra l’altro, dalle cessioni di azioni o quote di partecipazione e di obbligazioni non costituenti immobilizzazioni finanziarie.
Per le imprese familiari e le aziende coniugali, la circ. n. 31/2023 (§ 2) precisa che occorre fare riferimento all’ammontare “complessivo” dei ricavi (e, quindi, si ritiene, anche della quota attribuita ai collaboratori familiari o al coniuge del titolare).

Se il contribuente esercita più attività, contraddistinte da codici ATECO differenti, per accertare il mancato superamento della soglia occorre sommare i ricavi e i compensi relativi alle diverse attività esercitate.

Allo stesso modo e per i medesimi fini, se vengono esercitate contestualmente un’attività di lavoro autonomo e un’attività d’impresa, bisogna sommare i ricavi e i compensi relativi alle attività esercitate.

Per le persone fisiche che, purché titolari nel 2022 di reddito d’impresa, esercitano attività agricole o attività a esse connesse (ad esempio, agriturismo e allevamento), invece dell’ammontare dei ricavi, occorre considerare il volume d’affari risultante dal rigo VE50 (“Volume d’affari”) del modello IVA 2023.

Se il contribuente non è tenuto alla presentazione della dichiarazione IVA, rileva l’ammontare complessivo del fatturato del 2022, tenendo conto:

  • sia delle operazioni certificate tramite fattura;
  • sia delle operazioni certificate mediante memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi.
Infine, nel caso in cui il soggetto “agricolo” svolga altre attività commerciali o di lavoro autonomo, occorre considerare il volume d’affari complessivo degli intercalari della dichiarazione IVA.
 

(MF/ms)




Comunicazione beni strumentali per “Formazione e Ricerca 4.0” entro il 30 novembre

Il 30 novembre 2023 scade il termine per l’invio al Ministero dello Sviluppo Economico della comunicazione dei dati degli investimenti con caratteristiche 4.0 effettuati nel 2022.

Al solo fine di consentire al Ministero delle imprese e del Made in Italy di acquisire le informazioni necessarie per valutare l’andamento, la diffusione e l’efficacia delle misure agevolative riferite agli investimenti con caratteristiche 4.0 in beni strumentali, formazione e ricerca e sviluppo, le imprese devono inviare al Mimit un’apposita comunicazione, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi riferito a ciascun periodo d’imposta di effettuazione degli investimenti.

Tale comunicazione, le cui disposizioni attuative sono state definite con decreto 6 ottobre 2021 , non costituisce presupposto per l’applicazione della disciplina agevolativa.

Il modello di comunicazione (vedi allegato alla presente), firmato digitalmente dal legale rappresentante dell’impresa, va trasmesso:

  • in formato elettronico tramite PEC all’indirizzo benistrumentali4.0@pec.mise.gov.it (o, in caso di problemi tecnici, all’indirizzo dgpiipmi.dg@pec.mise.gov.it);
  • con riferimento agli investimenti ricadenti nell’ambito della disciplina di cui all’art. 1 comma 189  e 190 della Legge n. 160/2019, entro il 31 dicembre 2021;
  • per gli investimenti ricadenti nell’ambito di applicazione della disciplina di cui all’art. 1 comma 1056 -1058 della Legge n. 178/2020, entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi riferita a ciascun periodo d’imposta di effettuazione degli investimenti.
Con riferimento agli investimenti effettuati l’anno scorso, quindi, si dovrà provvedere entro il prossimo 30 novembre 2023.
 

(MF/ms)




Entro il 31 ottobre 2023 la regolarizzazione delle violazioni formali

Scade il prossimo 31 ottobre il termine per pagare i 200 euro utili per regolarizzare le violazioni formali commesse sino al 31 ottobre 2022.

La definizione, prevista dall’art. 1 commi 166 ss. della L. 197/2022 sana tutte le violazioni formali commesse pagando appena 200 euro per periodo di imposta ed è strutturata in modo simile a quella che era stata prevista dall’art. 9 del DL 119/2018.

Il pagamento avviene in due rate, scadenti il 31 ottobre 2023 e il 31 marzo 2024 ma è possibile il pagamento in unica soluzione entro il 31 ottobre.

L’originario termine del 31 marzo 2023 per la prima rata (o per tutte le somme) è stato posticipato al 31 ottobre dal DL 30 marzo 2023 n. 34 (c.d. decreto “Bollette”).

Bisogna a tal fine indicare nel modello F24 il codice tributo “TF44”, istituito con la risoluzione n. 6 del 2023.

Se si tratta di violazioni commesse nella dichiarazione (esempio, comunicazione delle minusvalenze) si indica l’anno cui si riferisce la dichiarazione, e non l’anno in cui viene trasmessa; per le altre violazioni, l’anno in cui la violazione è stata commessa.

Ad esempio, se le minusvalenze non sono state indicate nel modello REDDITI 2020, nel modello F24 è corretto indicare l’anno 2019.

In base alla regola generale dovendo il pagamento avvenire con modello F24 sembra possibile estinguere il debito dei 200 euro mediante compensazione con crediti di imposta.

La L. 197/2022 non contiene nessun divieto e il provv. Agenzia delle Entrate 30 gennaio 2023 n. 27629 tace sul punto. Del pari, alcuna indicazione si rinviene nella ris. Agenzia delle Entrate 14 febbraio 2023 n. 6.

Oltre al pagamento è necessario rimuovere l’irregolarità o l’omissione ma per questo c’è tempo sino al 31 marzo 2024 (provv. Agenzia delle Entrate 30 gennaio 2023 n. 27629).

Non sempre è necessaria la rimozione, anche se per quanto possibile è prudente provvedere.

Per quanto riguarda le violazioni definibili deve trattarsi di irregolarità che non hanno causato la debenza di una maggiore imposta e che non hanno inciso sui versamenti.

È opportuno verificare se la violazione che si intende sanare è compresa nell’elenco (non esaustivo) contenuto nella circolare n. 2 del 2023 e nella precedente circolare n. 11 del 2019.

A titolo esemplificativo, sono definibili pagando i 200 euro:

  • l’omessa/tardiva fatturazione elettronica delle operazioni se non c’è stato nessun effetto sulla liquidazione IVA e se la dichiarazione è stata compilata correttamente;
  • l’omessa/tardiva trasmissione telematica di corrispettivi memorizzati, sempre se non c’è stato nessun effetto sulla liquidazione IVA e se la dichiarazione è stata compilata correttamente;
  • l’omessa o tardiva fatturazione di operazioni esentinon imponibiliescluse se non c’è stato effetto sulle imposte dirette;
  • l’omessa comunicazione delle liquidazioni IVA se non ci sono stati riflessi sulla liquidazione IVA;
  • gli errori in tema di reverse charge (incluso l’omesso reverse charge) in assenza di frode, con imposta comunque assolta e se non ci sono limiti alla detrazione;
  • la detrazione di un’IVA non dovuta per errore di aliquota, se l’imposta è stata assolta e non ci sono contesti frodatori;
  • l’omessa comunicazione delle minusvalenze;
  • l’omissione o la tardività nell’invio dei modelli INTRASTAT;
  • le errate/omesse comunicazioni al Sistema tessera sanitaria.
Importante l’elenco della circolare

Invece, non possono essere sanate le violazioni seguenti:

  • violazioni in tema di quadro RW;
  • omessa regolarizzazione del cessionario ex art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97;
  • omessa trasmissione delle dichiarazioni ad opera degli intermediari (è sanabile la sola tardività secondo le circolari);
  • omessa trasmissione delle Certificazioni Uniche;
  • omessa dichiarazione anche se non ci sono imposte dovute.
Non rientrano nella definizione delle violazioni formali le irregolarità che possono essere sanate tramite la remissione in bonis (mancata opzione per il consolidato fiscale, per la trasparenza fiscale, modello EAS).

(MF/ms)




Online gli elenchi Split Payment per l’anno 2024

Sul sito internet del Dipartimento delle Finanze sono stati pubblicati gli elenchi che individuano le società, gli enti e le fondazioni, nei cui confronti si applicherà lo split payment per l’anno 2024.
Tale meccanismo prevede che l’IVA addebitata dal cedente o prestatore nelle fatture debba essere versata dal cessionario o committente direttamente all’Erario, anziché al fornitore, scindendo il pagamento del corrispettivo da quello della relativa imposta (circ. Agenzia delle Entrate n. 1/2015).

Nella fattura elettronica, l’applicazione dello split payment si segnala riportando il valore “S” (scissione dei pagamenti) nel campo “Esigibilità IVA”.

Trattandosi di una misura di deroga all’ordinario meccanismo di applicazione dell’imposta che caratterizza il sistema dell’IVA, è necessaria l’autorizzazione del Consiglio dell’Ue (art. 395 della direttiva 2006/112/Ce). Quest’ultima è stata concessa, al momento, sino al 30 giugno 2026 con la decisione del Consiglio dell’Ue n. 1552 del 25 luglio 2023. 

Sulla base della decisione, l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’autorizzazione rimane invariato, almeno in una prima fase. A decorrere dal 1° luglio 2025, però, saranno escluse le società quotate nell’indice FTSE MIB della Borsa Italiana identificate ai fini IVA, di cui all’art. 17-ter comma 1-bis lett. d) del DPR 633/72. 

Ai sensi dell’art. 17-ter del DPR 633/72, la scissione dei pagamenti si applica alle operazioni effettuate nei confronti:

  • delle Amministrazioni Pubbliche definite dall’art. 1 comma 2 della L. 196/2009 e presenti nell’elenco “IPA” consultabile all’indirizzo www.indicepa.gov.it;
  • di enti, fondazioni e società, di cui all’art. 17-ter comma 1-bis del DPR 633/72, individuati dal Dipartimento delle Finanze con appositi elenchi pubblicati entro il 20 ottobre di ciascun anno, con effetti a valere per l’anno successivo (art. 5-ter comma 2 del DM 23 gennaio 2015).
In conformità a tale quadro normativo, il Dipartimento delle Finanze ha pubblicato i seguenti elenchi per l’anno 2024 aggiornati al 20 ottobre 2023:
  • società controllate di fatto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri (art. 2359 comma 1 n. 2 c.c.);
  • enti o società controllate dalle Amministrazioni centrali;
  • enti o società controllate dalle Amministrazioni locali;
  • enti o società controllate dagli Enti nazionali di previdenza e assistenza;
  • enti, fondazioni o società partecipate per una percentuale complessiva del capitale non inferiore al 70%, dalle Amministrazioni Pubbliche;
  • società quotate inserite nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana.
Per ciascun soggetto presente negli elenchi è indicato:
  • il codice fiscale;
  • la denominazione;
  • la data di decorrenza dell’inclusione.
Occorre considerare, infatti, che l’aggiornamento degli elenchi avviene in via continuativa nel corso dell’anno.

Di conseguenza, la disciplina dello split payment deve ritenersi applicabile o non più applicabile dalla data di aggiornamento dell’elenco (cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 9/2018).

In presenza di un cessionario o committente potenzialmente destinatario dello split payment, è necessario che il cedente o prestatore verifichi, prima dell’emissione di ciascuna fattura, se il cliente è stato incluso nei predetti elenchi ovvero ne è fuoriuscito. Peraltro, se il soggetto passivo agisce in modo coerente rispetto agli elenchi, non assumono rilievo eventuali variazioni sopravvenute.

Apposito modulo per segnalare gli errori

Salvo le società quotate nell’indice FTSE MIB, i soggetti interessati possono segnalare eventuali mancate o errate inclusioni negli elenchi al Dipartimento delle Finanze, il quale provvederà ad aggiornarli, se necessario. Le richieste di inclusione ed esclusione dagli elenchi devono essere inviate utilizzando esclusivamente l’apposito modulo. Occorre fornire idonea documentazione a supporto dell’istanza presentata, inclusa obbligatoriamente una visura camerale.

(MF/ms)




Per gli investimenti in beni prenotati nel 2022 c’è tempo fino al 30 novembre

Scade il prossimo 30 novembre il termine “lungo” per effettuare gli investimenti in beni materiali e immateriali “ordinari” e materiali “4.0” prenotati nel 2022, per fruire del credito d’imposta ex L. 178/2020 nella misura prevista per il 2022. Il termine è stato così prorogato, da ultimo, ad opera del DL 198/2022 (c.d. decreto “Milleproroghe”).

L’art. 1 comma 1055 della L. 178/2020 dispone che per gli investimenti in nuovi beni strumentali “ordinari” (diversi da quelli 4.0) effettuati dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022 (in assenza di precedente “prenotazione”), il credito d’imposta spetti nella misura del 6% del costo, nel limite massimo dei costi agevolabili pari a 2 milioni di euro per i beni materiali e a 1 milione per quelli immateriali.

Tale agevolazione spetta anche nel caso in cui gli investimenti vengano effettuati nel termine “lungo” del 30 novembre 2023 (come modificato dall’art. 12 comma 1-bis del DL 198/2022), qualora entro il 31 dicembre 2022 il relativo ordine sia stato accettato dal venditore e sia stato effettuato il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione. In tal modo, infatti, si verifica la c.d. “prenotazione”, che incardina l’agevolazione nella disciplina prevista dall’art. 1 comma 1055 della L. 178/2020 (sul tema della “prenotazione” si vedano, ex multis, risposte a interpello Agenzia delle Entrate nn. 62/2022, 355/2022, 473/2022 e 537/2022).

Si ricorda che per gli investimenti in beni “ordinari” effettuati nel 2023 – senza alcuna “prenotazione” – non è invece previsto alcun credito d’imposta.

Quanto ai beni materiali “4.0”, ai sensi dell’art. 1 comma 1057 della L. 178/2020, per gli investimenti in beni strumentali nuovi indicati nell’Allegato A alla L. 232/2016 effettuati nel 2022, o nel termine “lungo” del 30 novembre 2023 (come modificato dall’art. 12 comma 1-ter del DL 198/2022) in caso di “prenotazione” entro il 31 dicembre 2022, il credito d’imposta spetta nella misura del 40%, 20% e 10%, rispettivamente per le quote di investimenti fino a 2,5 milioni di euro, tra 2,5 e 10 milioni e tra 10 e 20 milioni.

Nel caso in cui tali investimenti vengano effettuati oltre il 30 novembre ma sempre nel 2023, l’agevolazione applicabile sarebbe quella prevista per il 2023, vale a dire la misura inferiore del 20%, 10% e 5% (art. 1 comma 1057-bis della L. 178/2020, che riguarda, sulla base dell’attuale disciplina, gli investimenti fino al 2025).

Per i beni immateriali “4.0” prenotati nel 2022 il termine “lungo” per l’effettuazione dell’investimento è scaduto lo scorso 30 giugno.

Indicazione già nel modello REDDITI 2023

L’agevolazione relativa agli investimenti in beni materiali e immateriali “ordinari” e in beni materiali “4.0” prenotati nel 2022, ma effettuati entro il 30 novembre 2023, deve essere indicata nel modello REDDITI 2023.

Le istruzioni per la compilazione del quadro RU di tali modelli prevedono infatti che nella colonna 2 del rigo RU5 (rigo denominato “credito d’imposta spettante nel periodo”) vada indicato l’importo del credito d’imposta maturato per investimenti effettuati successivamente alla chiusura del periodo d’imposta oggetto della dichiarazione ed entro il 30 novembre 2023 (30 giugno 2023 per il codice “3L”) per i quali entro il 31 dicembre 2022 si sia proceduto all’ordine vincolante e sia stato versato l’acconto del 20% del prezzo di acquisto.

Viene altresì precisato che “tale importo, qualora utilizzato in compensazione, non può essere riportato nel rigo RU6 della presente dichiarazione in quanto compensato nel periodo d’imposta successivo a quello oggetto della presente dichiarazione”.

Per i beni in esame occorre inoltre compilare il rigo RU140, denominato “Investimenti beni strumentali 2022 (effettuati dopo la chiusura del periodo d’imposta)”.

Le istruzioni per la compilazione del modello REDDITI SC 2023 prevedono infatti che, ai fini del monitoraggio della misura agevolativa nell’ambito del PNRR, per poter misurare il raggiungimento da parte dell’Italia degli obiettivi previsti nel piano, fermi restando i termini di utilizzo del credito d’imposta previsti dalla legge, vadano indicati anche i dati degli investimenti effettuati entro il 30 novembre 2023 (o entro il 30 giugno 2023 per il credito “3L” ) per i quali entro il 31 dicembre 2022 si sia proceduto alla “prenotazione”, anche se non ricompresi nel periodo d’imposta di riferimento della
presente dichiarazione.

Sulla base di alcuni chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate (FAQ Agenzia delle Entrate 5 giugno 2023, ancorché con riguardo al modello REDDITI 2023), nel successivo modello REDDITI 2024, nel rigo RU130 andranno indicati soltanto gli investimenti effettuati nel periodo d’imposta oggetto di tale dichiarazione (vale a dire il 2023) ma diversi da quelli già esposti nel rigo RU140 del modello REDDITI 2023, per evitare la duplicazione dei dati.

(MF/ms) 




Istat: agosto e settembre 2023

Istat agosto 2023
Comunichiamo che l’indice Istat di agosto 2023, necessario per l’aggiornamento dei canoni di locazione è pari a + 5,2% (variazione annuale) e a + 13,8% (variazione biennale).
 
Entrambi gli indici considerati nella misura del 75% diventano rispettivamente + 3,9% e + 10,35%.

Istat settembre  2023
Comunichiamo che l’indice Istat di settembre 2023, necessario per l’aggiornamento dei canoni di locazione è pari a + 5,1% (variazione annuale) e a + 14,2% (variazione biennale).
 
Entrambi gli indici considerati nella misura del 75% diventano rispettivamente + 3,825% e + 10,650%.
 
(MS/ms)