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La tassazione degli immobili: scadenze

L’IMU si applica in tutti i comuni del territorio nazionale, ferma restando per la regione Friuli Venezia Giulia e per le province autonome di Trento e di Bolzano l’autonomia impositiva prevista dai rispettivi statuti.
 
Applicazione dell’imposta

Il presupposto dell’IMU è il possesso di immobili.

ATTENZIONE: Il possesso dell’abitazione principale o assimilata non costituisce presupposto dell’imposta, salvo che si tratti di un’unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 o A/9.
 
 
Il legislatore ha fornito la definizione degli immobili, ai fini dell’applicazione dell’imposta:
  • per “fabbricato” si intende l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita catastale, considerandosi parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza esclusivamente ai fini urbanistici, purché accatastata unitariamente (come chiarito dal MEF con la Circolare n. 1/DF del 18 marzo 2020, la nuova disposizione normativa comporta il superamento della precedente impostazione normativa che consentiva di fare riferimento alla nozione civilistica di pertinenza di cui agli artt. 817 ss. c.c., nonché all’orientamento giurisprudenziale formatosi su tali disposizioni); il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all’imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato;
  • per “abitazione principale” si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Qualora i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale (quindi, nello stesso Comune), le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile. Si ricorda che il possesso dell’abitazione principale (o assimilata) non costituisce presupposto dell’imposta, salvo che si tratti di un’unità abitativa classificata nelle categorie catastali A/1, A/8 o A/9 (abitazioni di lusso);
  • per “pertinenze” dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.
 
Sono inoltre considerate abitazioni principali, e quindi non soggette all’IMU:
  1. le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari;
  2. le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa destinate a studenti universitari soci assegnatari, anche in assenza di residenza anagrafica;
  3. i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali;
  4. la casa familiare assegnata al genitore affidatario dei figli, a seguito di provvedimento del giudice che costituisce altresì, ai soli fini dell’applicazione dell’imposta, il diritto di abitazione in capo al genitore affidatario stesso;
  5. un solo immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, posseduto e non concesso in locazione dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dal personale appartenente alla carriera prefettizia, per il quale non sono richieste le condizioni della dimora abituale e della residenza anagrafica;
  6. su decisione del singolo comune, l’unità immobiliare posseduta da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata. In caso di più unità immobiliari, l’agevolazione può essere applicata a una sola unità immobiliare.
 
Il D.L. 28 marzo 2014, n. 47 (c.d. Piano casa), ha inoltre previsto, con effetto dal 2015:
  • la soppressione della facoltà per i Comuni di qualificare come abitazione principale l’immobile posseduto dai cittadini italiani non residenti e iscritti all’AIRE a condizione che non risulti locata o data in comodato d’uso;
  • l’assimilazione ex lege ad abitazione principale, a decorrere dal 2015, di un’unica unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti e iscritti all’AIRE, già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza a condizione che non risulti locata o data in comodato d’uso.
 
Base imponibile

La base imponibile dell’imposta, a cui poi applicare le aliquote stabilite dai comuni, è costituita dal valore degli immobili.

Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello ottenuto applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1° gennaio dell’anno di imposizione, rivalutate del 5%, i seguenti moltiplicatori:

  • 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10;
  • 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;
  • 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale D/5;
  • 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10;
  • 65 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D, ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale D/5;
  • 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1.
 
Le variazioni di rendita catastale intervenute in corso d’anno, a seguito di interventi edilizi sul fabbricato, producono effetti dalla data di ultimazione dei lavori o, se antecedente, dalla data di utilizzo.

La prima rata va pagata applicando le aliquote e le detrazioni previste dai singoli comuni l’anno precedente.

Se già approvate è possibile far riferimento alle aliquote 2024 (è una facoltà, non un obbligo). I singoli comuni possono diversificare le aliquote IMU esclusivamente con riferimento alle fattispecie individuate con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, che si pronuncia entro 45 giorni dalla data di trasmissione.

Inoltre, con decreto del MEF, sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, possono essere modificate o integrate le fattispecie individuate con il decreto.

I Comuni dovranno inviare le delibere di approvazione delle aliquote e detrazioni al MEF, per il tramite dell’apposito “portale del federalismo fiscale”, entro il 14 ottobre, in modo che il Ministero possa provvedere alla loro pubblicazione nel proprio sito internet di cui al D.Lgs. n. 360/1998, entro il termine del 28 ottobre.
 
Gli immobili concessi in comodato a un parente di primo grado in linea retta (genitore o figlio) godono di una riduzione della base imponibile del 50% a condizione che:

  • l’immobile sia adibito ad abitazione principale;
  • l’immobile non appartenga a una delle categorie catastali cd. di lusso (A/1, A/8, A/9);
  • il contratto di comodato risulti regolarmente registrato.
Inoltre, il comodante:
  • deve possedere un solo immobile in Italia oltre all’abitazione principale non di lusso, sita nel territorio in cui è ubicato l’immobile concesso in comodato;
  • deve risiedere e avere la sua dimora abituale nello stesso Comune in cui l’immobile è concesso in comodato;
  • deve presentare la dichiarazione IMU che attesti il possesso dei requisiti.
 
Dal 2016 sono esenti da IMU i terreni agricoli:
  • ricadenti nelle aree montane e di collina secondo i criteri della Circolare Ministeriale n. 9 del 14 giugno 1993;
  • posseduti da coltivatori diretti del fondo (CD) e Imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti alla previdenza agricola, indipendentemente dall’ubicazione del terreno;
  • immutabilmente destinati all’agricoltura, alla silvicoltura e all’allevamento di animali, con proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile;
  • ubicati nelle isole minori (Isole Tremiti, Pantelleria, Isole Pelagie, Isole Egadi, Isole Eolie, Isole Suscitane, Isole del Nord di Sardegna, Isole Partenopee, Isole Ponziane, Isole Toscane, Isole del Mar Ligure, Isola del Lago d’Iseo).
 
La Legge di Stabilità 2016 ha inoltre:
  • compreso nel novero degli immobili esenti da IMU le unità immobiliari di cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, anche se destinate a studenti universitari soci assegnatari;
  • previsto la riduzione al 75% dell’IMU dovuta in base all’aliquota comunale per gli immobili locati a canone concordato;
  • escluso i macchinari “imbullonati” dal calcolo della rendita e quindi dalla base imponibile IMU. Al fine di godere del beneficio, i contribuenti devono richiedere le rendite catastali rideterminate che avranno gli effetti retroattivi a partire dal 1° gennaio dello stesso anno.
 
Il reddito delle abitazioni non locate che scontano l’IMU, ubicate nello stesso comune in cui si trova l’abitazione principale, è assoggettato a Irpef nella misura del 50%.
 
I Comuni possono disporre casi di esclusione come, ad esempio, per i proprietari o gli usufruttuari anziani o disabili che trasferiscono la residenza in istituti di ricovero, per i cittadini italiani non residenti. Sono sempre esenti gli alloggi sociali, la casa assegnata al coniuge separato, l’unico immobile posseduto dal personale delle forze armate o delle forze di polizia, i fabbricati rurali a uso strumentale.
 
Sono inoltre esenti dall’IMU:
  • gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, e dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;
  • i fabbricati di proprietà della Santa Sede, indicati negli artt. 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense;
  • i fabbricati destinati ad usi culturali ex art. 5-bis del D.P.R. n. 601/1973 (es. musei, biblioteche, archivi, parchi e giardini aperti al pubblico, ecc.);
  • i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli artt. 8 e 19 della Costituzione;
  • i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9;
  • gli immobili localizzati all’interno delle Zone Franche Urbane posseduti dalle piccole e micro imprese;
  • gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. c) del TUIR, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali delle attività:
    • assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive;
    • dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, alla catechesi e all’educazione cristiana, ex art. 16, comma 1, lett. a), legge n. 222/1985.
Per gli immobili utilizzati sia per l’attività commerciale che per quella istituzionale, l’esenzione “va applicata solo alla frazione di unità destinata all’attività non commerciale”.
 
La legge di Bilancio 2019, prima, e successivamente il cosiddetto “Decreto crescita” (D.L. 30 aprile 2019, n. 34), hanno rimodulato la deducibilità dell’imposta relativa agli immobili strumentali. Da ultimo è intervenuta anche la legge di Bilancio 2020 che ne ha così disposto la deducibilità:
  • al 50% già per il periodo d’imposta 2019;
  • al 60% per il 2020 e 2021;
  • a regime, dal 2022, la percentuale è del 100%.
 
Le novità e le esenzioni 2024
 
Riduzione IMU per i pensionati esteri: l’IMU è stabilita al 50% se vi è una sola unità immobiliare a uso abitativo, non locata o data in comodato d’uso, posseduta in Italia a titolo di proprietà o usufrutto da soggetti non residenti nel territorio dello Stato che siano titolari di pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia, residenti in uno Stato di assicurazione diverso dall’Italia.
 
Esenzione IMU per i beni merce: dal 1° gennaio 2020 i fabbricati costruiti e destinati alla vendita da parte dell’impresa costruttrice sono esenti dall’IMU fino a che permane tale destinazione.

Esenzione abitazione principale: era previsto che nel caso in cui i componenti del nucleo familiare avessero stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicavano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare. La scelta doveva essere comunicata attraverso la presentazione della dichiarazione IMU al comune in cui era ubicato l’immobile da considerare come abitazione principale. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209 del 13 ottobre 2022, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1, comma 741, lettera b), della Legge n. 160/2019, nella parte in cui richiedeva che nell’abitazione principale, oltre al possessore, dovessero avere la dimora abituale e la residenza anagrafica anche i componenti del suo nucleo familiare. L’esenzione IMU per l’immobile, in cui il contribuente ha la residenza anagrafica e l’effettiva dimora abituale, spetta pertanto a prescindere dal luogo di residenza del coniuge.

Esenzione IMU: per gli immobili colpiti dal sisma del 2012 nei Comuni di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna fino alla definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati interessati.

 
Termini e modalità di pagamento

La scadenza per il pagamento della prima rata IMU 2024 è fissata al 17 giugno 2024 (il 16 cade di domenica).

(MF/ms)

La seconda rata scadrà il 16 dicembre 2024.

Il versamento dell’IMU può avvenire alternativamente, mediante:

  • il modello F24;
  • apposito bollettino di c/c postale;
  • la piattaforma PagoPA, di cui all’art. 5 del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82), e con le altre modalità previste dallo stesso Codice.
 
La Dichiarazione IMU deve essere presentata al Comune in cui sono ubicati gli immobili entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta.
 
TARI
La TARI è il tributo destinato a finanziare i costi di raccolta e smaltimento rifiuti (ha sostituito la Tarsu/Tares) e non ha subito modifiche.

È dovuto da chi, a qualsiasi titolo, occupa o conduce locali, indipendentemente dall’uso a cui sono adibiti, mentre è esclusa per le aree scoperte pertinenziali o accessorie non operative (giardini condominiali, cortili, ecc.) e le parti comuni dell’edificio non detenute o occupate in via esclusiva (ad esempio, tetti e lastrici solari, scale, aree destinate al parcheggio).

Specifiche ipotesi di riduzioni tariffarie possono essere adottate dai Comuni (ad esempio, abitazioni con unico occupante, abitazioni tenute a disposizione per uso limitato, fabbricati rurali a uso abitativo).

La TARI è dovuta nella misura massima del 20% in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti o nel caso in cui lo stesso sia gravemente carente, mentre nelle zone in cui non è effettuata la raccolta è dovuta in misura non superiore al 40%. Infine, dovranno essere previste riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche.

Ciascun Comune regolamenta le modalità di applicazione della TARI sulla base della tariffa giornaliera per quei soggetti che occupano o detengono temporaneamente, con o senza autorizzazione, locali od aree pubbliche o di uso pubblico. Si considera temporanea una occupazione che si protrae per un periodo non superiore a 183 giorni nel medesimo anno solare.

Il Dipartimento delle Finanze ha precisato che i magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti, nonché le aree scoperte che danno luogo alla produzione, in via continuativa e prevalente, di rifiuti speciali non assimilabili (se asservite al ciclo produttivo) sono intassabili ai fini della TARI in quanto produttivi di rifiuti speciali, indipendentemente da quanto dispone il Comune che in questi casi “non ha alcuno spazio decisionale in ordine all’esercizio del potere di assimilazione”.
 
Termini e modalità di pagamento

Il calcolo della TARI è di competenza del Comune (o del gestore del servizio in concessione); il contribuente riceverà quindi al proprio domicilio gli appositi moduli già predisposti per il pagamento, con l’indicazione dell’importo da versare e delle scadenze deliberate da ciascun Comune.
 

IVIE
L’IVIE (Imposta Immobili all’estero) è una imposta patrimoniale a carico delle persone fisiche residenti nel territorio italiano (anche se senza cittadinanza italiana).

L’imposta è dovuta dai:

  • proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali per natura o per destinazione destinati ad attività d’impresa o di lavoro autonomo;
  • titolari dei diritti reali di usufrutto, uso o abitazione, enfiteusi e superficie sugli stessi;
  • concessionari, nel caso di concessione di aree demaniali;
  • locatari, per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria.
 
Termini e modalità di pagamento

Per il versamento dell’IVIE si applicano le stesse regole previste per l’Irpef, comprese quelle riguardanti importi e date di acconto e saldo. Quindi, nel 2024 andrà pagata l’IVIE riferita al periodo d’imposta 2023 e gli acconti per il 2024.

(MF/ms)




Fringe benefit dipendenti: chiarimenti sul concetto di “interesse esclusivo del datore di lavoro”

sacchetti di caffè ed eventuali prodotti di merchandising (quali tazze con logo aziendale e spille) omaggiati ai dipendenti dalla società che produce e commercializza caffè per promuovere la propria immagine non sono tassati soltanto se rientrano nel limite di esenzione dei fringe benefit di cui all’art. 51 comma 3 del TUIR; se il limite viene superato, tali beni concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente sulla base del valore normale ex art. 9 comma 3 del TUIR. Lo ha affermato l’Agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello n. 89 dell’11 aprile.

Nel caso di specie, la società istante rappresenta di far parte di un gruppo quotato presso il mercato statunitense con punti vendita in diversi Paesi nel mondo e di operare nel campo della produzione e la commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio di caffè, the, e loro prodotti derivanti, affini e complementari, nonché di prodotti alimentari e bevande in genere e accessori, sia nel mercato interno che in quello internazionale, con le attività industriali necessarie e conseguenti, gestione della proprietà di ristoranti, bar e caffè, negozi, chioschi e punti vendita al dettaglio in tutti i settori.

Secondo quanto rappresentato, nell’ambito di un’articolata serie di benefit previsti dalla “Partner Guide”, la società “omaggia” mensilmente i propri dipendenti di un sacchetto di caffè selezionato e di una bevanda gratuita al giorno, da consumare durante la pausa al lavoro, evidenziando che scopo dell’offerta è diffondere la conoscenza approfondita dei prodotti e la capacità dei dipendenti di trasmettere l’eccellenza degli stessi alla clientela, nell’ambito della strategia aziendale.

La società rappresenta, inoltre, che “potrebbe capitare che la Società istante omaggi i Partners con alcuni beni che hanno natura di merchandise (es.: tazze con il logo aziendale, spillette)” e afferma che, “in questi casi, tali beni sono appositamente caratterizzati per rappresentare l’identità aziendale (ad esempio, attraverso l’utilizzo del logo o di esclusivi elementi di design) e il motivo principale per la concessione di tali beni è la volontà che i Partner diffondano l’immagine aziendale al di fuori delle mura della [caffetteria] con finalità di business, di marketing e di promozione e diffusione dell’immagine aziendale”.

La società chiede quindi se, in considerazione del prevalente interesse datoriale, i descritti beni erogati ai dipendenti possano considerarsi irrilevanti ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 51 del TUIR, alla luce della risoluzione 9 settembre 2003 n. 178, con la quale è stato precisato che non concorrono alla formazione del reddito imponibile:

  • le somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore;
  • le erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro.
L’Agenzia delle Entrate, anche in base alla circolare n. 37/2013, afferma, in via generale, che i beni assegnati ai dipendenti costituiscono reddito di lavoro dipendente e, solo nella particolare ipotesi in cui il dipendente abbia un obbligo contrattuale di utilizzo del bene e successiva restituzione dello stesso, si può considerare prevalente l’interesse del datore di lavoro e, quindi, escludere il valore dei predetti beni dalla tassazione in capo al dipendente.

Nel caso di specie, i beni descritti sono offerti, rispettivamente, con cadenza mensile e giornaliera, a tutti i dipendenti in organico a prescindere dalle vendite effettuate e dalla prestazione lavorativa svolta. I dipendenti, inoltre, potrebbero utilizzare i predetti omaggi per soddisfare esigenze personali o potrebbero anche decidere di non fruirne, stante l’assenza di obblighi contrattuali specifici.

Non si configura l’interesse esclusivo del datore di lavoro

Gli omaggi in questione, per quanto utili alla strategia aziendale, in concreto, soddisfano un’esigenza propria del singolo lavoratore (ad es. prendere un caffè al bisogno) e rappresentano, comunque, un arricchimento del lavoratore (ad es. i sacchetti di caffè e i prodotti di merchandising) e, pertanto, non possono considerarsi erogati nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, nel caso in esame, qualora il valore dei beni assegnati dalla società ai propri dipendenti superi il limite previsto dalla prima parte del terzo periodo del comma 3 dell’art. 51 del TUIR (258,23 euro) e successive integrazioni, lo stesso costituisca reddito di lavoro dipendente concorrendo alla relativa formazione quale bene in natura determinato ai sensi del comma 3 dell’art. 9 del TUIR (cfr. ris. 29 ottobre 2003 n. 202).

Nell’ambito della risposta l’Agenzia ha inoltre ricordato che, ai sensi dell’art. 1 comma 16 della L. 213/2023 (legge di bilancio 2024), limitatamente al periodo d’imposta 2024, il suddetto limite di esenzione è incrementato a 1.000 euro e, per i dipendenti con figli a carico, a 2.000 euro.
 

(MF/ms)




Bonus carburante: i buoni erogati nel 2023 hanno rilevanza contributiva

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 63 del 15 marzo 2023 la Legge 10 marzo 2023, n. 23 di conversione del decreto Legge n. 5/2023, c.d. DL “Trasparenza”.

Il provvedimento contiene una modifica alla disciplina del bonus carburante di 200 euro esentasse, previsto dall’art. 1 comma 1.

In particolare, nel testo è stata inserita una precisazione in base alla quale “L’esclusione dal concorso alla formazione del reddito del lavoratore, disposta dal primo periodo, non rileva ai fini contributivi”.

In altre parole, i buoni benzina riconosciuti dai datori di lavoro nel corso del 2023 dovranno essere assoggettati a contribuzione previdenziale e assistenziale.

Come si legge dal dossier del Centro Studi di Camera e Senato, la norma in esame riguarda esplicitamente il solo reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi; ciò sarebbe conforme all’interpretazione già seguita dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto, che non contempla effetti in termini di minori entrate contributive.

Nel riepilogare il quadro normativo, si ricorda come il bonus consista in un’agevolazione di natura fiscale in favore dei lavoratori dipendenti che ricevono dal proprio datore di lavoro uno o più buoni benzina; agevolazione introdotta nel periodo d’imposta 2022 dall’art. 2 del Dl 21/2022, per poi essere riproposta anche per il periodo d’imposta 2023 dall’art. 1 comma 1 del Dl 5/2023.

Quest’ultima disposizione prevede in particolare che, fermo restando l’art. 51 comma 3 terzo periodo del TUIR, il valore dei buoni benzina o di analoghi titoli per l’acquisto di carburanti ceduti dai datori di lavoro privati ai lavoratori dipendenti, nel periodo dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, non concorre alla formazione del reddito del lavoratore, se di importo non superiore a 200 euro per lavoratore.

Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate in occasione del bonus carburante previsto per il 2022 (circ. n. 27/2022, § 2, e circ. n. 35/2022, § 3), quest’ultimo rappresenta un’ulteriore agevolazione rispetto a quella generale già prevista dall’art. 51 comma 3 del TUIR, in base al quale non concorrono alla formazione del reddito i beni ceduti e i servizi prestati dal datore di lavoro al lavoratore se di importo complessivo non superiore a 258,23 euro (incrementato a 3.000 euro per il periodo d’imposta 2022 ai sensi dell’art. 12 comma 1 del DL 115/2022).

Ne consegue che in caso di superamento del limite di 200 euro, l’intero importo (e non solo l’eccedenza) dovrà essere assoggettato a tassazione (cfr. la Relazione illustrativa al DL 5/2023).

Sotto il profilo contributivo, stante la modifica introdotta in sede di conversione, il buono (o i buoni) benzina che il datore di lavoro privato riconoscerà nel corso del 2023 al proprio dipendente concorrerà alla formazione della base imponibile previdenziale, a prescindere dal superamento del limite di 200 euro.

Ciò comporta che sui buoni benzina il datore di lavoro dovrà:

  • far concorrere nella base imponibile previdenziale l’importo del buono (verificando l’eventuale superamento o meno del limite reddituale di 1.923 euro o di 2.692 euro ai fini dell’accesso, rispettivamente, all’esonero del 3% o del 2% della quota IVS del lavoratore ex art. 1 comma 281 della L. 197/2022);
  • effettuare la trattenuta in busta paga della quota a carico del proprio dipendente;
  • determinare la quota di contributi a proprio carico;
  • versare entro il giorno 16 del mese successivo.
La rilevanza ai fini contributivi del bonus carburante dovrebbe riguardare solo i buoni riconosciuti nel corso del 2023. La norma che ha previsto il medesimo bonus per l’anno 2022 (ovverosia l’art. 2 del DL 21/2022) non viene difatti modificata e pertanto dovrebbero essere ferme le istruzioni dettate dall’INPS con il messaggio n. 4616/2022.

Qualche criticità si riscontra tuttavia su eventuali buoni carburante riconosciuti nei mesi di gennaio e febbraio 2023 che, in base alla formulazione della norma in vigore prima della conversione in legge, non sono stati sottoposti a contribuzione previdenziale e che adesso – sulla base della modifica apportata in sede di conversione – dovrebbero invece essere assoggettati a contribuzione INPS.

Sul punto, è auspicabile un intervento da parte dell’Istituto di previdenza con indicazioni operative in merito alla gestione della rilevanza ai fini contributivi dei buoni benzina che sono stati già riconosciuti dai datori di lavoro prima della modifica.
 
(MF/ms)




Bonus carburante dipendenti approvato anche per il 2023

Per effetto dell’art. 1 comma 1 del Dl 14 gennaio 2023 n. 5 (c.d. Dl “Trasparenza”), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 14 gennaio, il valore dei buoni benzina riconosciuti dal datore di lavoro ai dipendenti non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente nel limite di 200 euro per tutto il 2023 (non quindi solo per il primo trimestre, come previsto nella versione originaria del Dl approvata dal Consiglio dei Ministri.

Nessuna modifica viene invece prevista in merito alla soglia di non imponibilità dei fringe benefit, che per il 2023 torna quindi alla misura “ordinaria” di 258,23 euro (incrementata a 3.000 euro per il 2022).

L’art. 1 comma 1 del Dl 5/2023 stabilisce che, “fermo restando quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, terzo periodo” del Tuir, “il valore dei buoni benzina o di analoghi titoli per l’acquisto di carburanti ceduti dai datori di lavoro privati ai lavoratori dipendenti, nel periodo dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, non concorre alla formazione del reddito del lavoratore, se di importo non superiore a euro 200 per lavoratore”.

Viene quindi, in sostanza, estesa al 2023 la disciplina di favore in precedenza prevista dall’art. 2 del Dl 21/2022, secondo il quale “per l’anno 2022, l’importo del valore di buoni benzina o analoghi titoli ceduti dai datori di lavoro privati ai lavoratori dipendenti per l’acquisto di carburanti, nel limite di euro 200 per lavoratore, non concorre alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 51, comma 3” del Tuir.

Con riguardo al bonus carburante 2022, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti principalmente con la circolare n. 27/2022. Tali chiarimenti si ritengono applicabili, per quanto compatibili, anche con riferimento al bonus carburante 2023.

Considerato l’analogo riferimento ai “datori di lavoro privati”, anche la nuova disposizione riguarda i datori di lavoro che operano nel “settore privato”, come individuato, per esclusione, nella circolare n. 28/2016.

Rientrano quindi nell’ambito di applicazione della norma gli enti pubblici economici e, tra gli altri, anche i soggetti che non svolgono un’attività commerciale e i lavoratori autonomi, sempre che dispongano di propri lavoratori dipendenti (cfr. anche risposta interpello Agenzia delle Entrate n. 15/2022).

Quanto all’ambito oggettivo, i buoni benzina sono erogazioni corrisposte dai datori di lavoro privati ai propri lavoratori dipendenti per i rifornimenti di carburante per l’autotrazione (es. benzina, gasolio, GPL e metano). Secondo l’Agenzia, rientra nel beneficio anche l’erogazione di buoni o titoli analoghi per la ricarica di veicoli elettrici.

In merito all’individuazione dei lavoratori dipendenti destinatari dei buoni benzina, anche la nuova disposizione agevolativa non effettua espressamente delle distinzioni e non pone alcun limite reddituale per l’ammissione al beneficio.

Inoltre, considerato il generico riferimento della norma ai “lavoratori dipendenti”, secondo l’Agenzia rileva la tipologia di reddito prodotto, ossia quello di lavoro dipendente.

Con riferimento al profilo della tassazione lato dipendente, la nuova norma del Dl 5/2023 dispone che resta fermo quanto previsto dall’art. 51 comma 3, terzo periodo, del Tuir, secondo cui non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se, complessivamente, di importo non superiore, nel periodo d’imposta, a 258,23 euro; se il valore in questione è superiore a detto limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.

Agevolazione ulteriore rispetto alla soglia ordinaria

Secondo i precedenti chiarimenti dell’Agenzia, il bonus carburante rappresenta un’agevolazione ulteriore e autonoma rispetto al limite di 258,23 euro previsto dal citato art. 51 comma 3 del Tuir, circostanza che sembra avvalorata anche dalla nuova formulazione letterale della norma.

Ne consegue che, per il 2023, al fine di fruire dell’esenzione da imposizione, i beni e i servizi erogati dal datore di lavoro a favore di ciascun lavoratore dipendente possono raggiungere un valore di 200 euro per uno o più buoni benzina ed un valore di 258,23 euro per l’insieme degli altri beni e servizi (compresi eventuali ulteriori buoni benzina).

Sotto il profilo del reddito d’impresa, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, non rientrando nelle ipotesi di cui all’art. 100 comma 1 del Tuir, il costo connesso all’acquisto dei buoni carburante in esame è integralmente deducibile dal reddito d’impresa a norma dell’art. 95 del Tuir, sempreché l’erogazione di tali buoni sia, comunque, riconducibile al rapporto di lavoro e, per tale motivo, il relativo costo possa qualificarsi come inerente.
 

(MF/ms)




Riforma regime dei dividendi: chiarimenti dall’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate cambia orientamento con un principio di diritto a pochi giorni dalla fine del regime.

Con l’introduzione della riforma del regime dei dividendi operata dalla L. 205/2017, gli utili rivenienti da partecipazioni qualificate (così come, da sempre, quelli derivanti dal possesso di partecipazioni non qualificate) sono assoggettati alla ritenuta a titolo d’imposta del 26% dal 1° gennaio 2018.

Per le distribuzioni di utili deliberate fino al 31 dicembre 2022, però, la disciplina transitoria ex art. 1 comma 1006 della L. 205/2017 conserva, per gli utili maturati sino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017, il previgente regime impositivo, facendoli concorrere parzialmente alla formazione del reddito imponibile delle persone fisiche (nel limite del 40%, 49,72% o 58,14%, a seconda del periodo di formazione).

Il principio di diritto dell’Agenzia delle Entrate n. 3/2022, pubblicato il 6 dicembre, ha chiarito definitivamente che i dividendi incassati nel 2023 su partecipazioni qualificate dovranno applicare il regime transitorio se derivano da distribuzioni deliberate entro la fine del 2022.

Secondo l’interpretazione riportata nella ris. Agenzia delle Entrate 6 giugno 2019 n. 56, il regime transitorio della L. 205/2017 ha l’obiettivo di salvaguardare, per un periodo di tempo limitato (dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022), il regime fiscale applicabile agli utili formati nei periodi d’imposta precedenti a quello di introduzione generalizzata dell’imposizione al 26% per i dividendi.

Attraverso il principio di diritto si afferma che tale regime transitorio si applica agli utili prodotti in esercizi anteriori a quello di prima applicazione del nuovo regime, “a condizione che la relativa distribuzione sia stata validamente approvata con delibera assembleare adottata entro il 31 dicembre 2022, indipendentemente dal fatto che l’effettivo pagamento avvenga in data successiva”.

Può, quindi, considerarsi superata la controversa risposta a interpello 16 settembre 2022 n. 454 che, in modo incoerente con il tenore letterale della norma, aveva ritenuto applicabile la ritenuta o l’imposta sostitutiva del 26% per tutti i dividendi percepiti a partire dal 1° gennaio 2023.

La nuova impostazione dell’Agenzia delle Entrate viene accompagnata da alcune considerazioni sulla percezione dei dividendi.

Si ricorda, infatti, che per i soci delle società di capitali il diritto alla percezione del dividendo sorge nel momento in cui l’assemblea ne delibera la distribuzione.

La delibera attribuisce dunque al socio un diritto di credito nei confronti della società, al momento dell’approvazione della stessa.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria può contestare la natura simulata della delibera di distribuzione dei dividendi o la sua riqualificazione sulla base degli scopi concretamente perseguiti. In proposito, si menziona il caso delle delibere accompagnate dalla successiva retrocessione da parte del socio, in tutto o in parte, della medesima provvista ovvero le cui condizioni di pagamento prevedono termini ultrannuali (in questo caso potrebbe verificarsi un’impropria estensione del regime transitorio di tassazione degli utili accantonati in riserve formatisi fino al 31 dicembre 2017 e distribuiti a favore di soci possessori di partecipazioni qualificate).

Tornando all’applicazione del regime transitorio, è opportuno riepilogare la normativa che disciplina la distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate. In merito, l’art. 67 comma 1 lett. c) e c-bis) del TUIR stabilisce che:

  • sono qualificate le partecipazioni che rappresentano complessivamente una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2% o al 20%, ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5% o al 25%, a seconda che si tratti di partecipazioni negoziate in mercati regolamentati o di altre partecipazioni;
  • sono non qualificate le partecipazioni che non eccedono tali soglie.
I due criteri sono tra di loro alternativi: pertanto, affinché una partecipazione possa definirsi qualificata, è sufficiente che sia soddisfatto soltanto uno dei due requisiti sopracitati.

L’art. 67 del TUIR prevede che la percentuale di diritti di voto e di partecipazione sia determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi. Tale disposizione si applica dalla data in cui le partecipazioni, i titoli e i diritti posseduti rappresentano una percentuale di diritti di voto o di partecipazione superiore alle percentuali indicate sopra.

Secondo l’impostazione data a suo tempo dalla C.M. n. 165/98 (§ 4.8), poi, la verifica se la partecipazione si considera qualificata o meno deve essere effettuata al momento in cui vengono riscossi i dividendi.

(MF/ms)
 




“Fringe benefit 2022”: oltre la soglia dei 600 euro tassazione sull’intero importo

Il superamento del limite di 600 euro per i Fringe Benefit 2022 implica la tassazione anche della quota inferiore al limite stesso.

Lo ha affermato l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 35 del 4 novembre, fornendo gli attesi chiarimenti sull’art. 12 del Dl 115/2022 e adottando la soluzione più restrittiva, contrariamente a quanto sembrava emergere dal dossier del Servizio studi del Senato al Dl “Aiuti-bis”.

La citata disposizione, si ricorda, prevede che “in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi (…), non concorrono a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale entro il limite complessivo di euro 600,00”.

Dalla lettura della disposizione e delle relazioni illustrativa e tecnica, secondo l’Agenzia “risulta evidente” che la disciplina applicabile sia quella dell’art. 51 comma 3 del Tuir e che la deroga a tale comma, introdotta dalla disposizione in parola, riguardi esclusivamente il limite massimo di esenzione e le tipologie di fringe benefit concessi al lavoratore, senza comportare, con ciò, alcuna modifica al funzionamento del regime di tassazione in caso di superamento dei limiti di non concorrenza stabiliti dalla norma.

Ad avviso dell’Agenzia, nella citata relazione illustrativa, infatti, è chiarito che con “la misura in esame si eleva, per la prima volta, la soglia di esenzione a 600 euro” e nella relazione tecnica si ribadisce che, per la stima degli effetti della predetta disposizione, è stato “calcolato l’ammontare degli stessi [fringe benefit, ndr] innalzando per tutti i soggetti la soglia di esenzione”.

Pertanto, nel caso in cui, in sede di conguaglio, il valore dei beni o dei servizi prestati, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, risultino superiori al predetto limite, il datore di lavoro deve assoggettare a tassazione l’intero importo corrisposto, vale a dire anche la quota di valore inferiore al medesimo limite di 600 euro.

In altri termini, se il valore normale dei beni e servizi complessivamente ceduti al dipendente nel 2022 è pari a 700 euro, l’importo che concorre a formare il reddito di lavoro dipendente sarà pari a 700 euro (come avviene ordinariamente), non soltanto l’eccedenza di 100 euro.

Posto che la disposizione si riferisce esclusivamente all’anno di imposta 2022, l’Agenzia ricorda che, ai sensi dell’art. 51 comma 1 del Tuir, si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori corrisposti entro il 12 gennaio del periodo d’imposta successivo a quello a cui si riferiscono (c.d. principio di cassa allargato).

Quanto all’ambito applicativo della disposizione prevista per il 2022, l’Amministrazione finanziaria afferma che la stessa si applica, come previsto dall’art. 51 comma 3 del Tuir, ai titolari di redditi di lavoro dipendente e di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente per i quali il reddito è determinato secondo l’art. 51 del Tuir; inoltre, i fringe benefit in esame possono essere corrisposti dal datore di lavoro anche ad personam.

L’Agenzia ricorda altresì che, ai sensi dell’art. 51 comma 3 del Tuir, rientrano nella nozione di reddito di lavoro dipendente anche i beni ceduti e i servizi prestati al coniuge del lavoratore o ai familiari indicati nell’art. 12 del Tuir, nonché i beni e i servizi per i quali venga attribuito il diritto di ottenerli da terzi.

Rapporti con il “bonus carburante”

In merito ai rapporti con il “bonus carburante” di cui all’art. 2 del Dl 21/2022, la circolare in esame afferma che, a seguito della modifica intervenuta al regime dell’art. 51 comma 3 del Tuir, per fruire dell’esenzione da imposizione, i beni e i servizi erogati nel periodo d’imposta 2022 dal datore di lavoro a favore di ciascun lavoratore dipendente possono raggiungere un valore di 200 euro per uno o più buoni benzina e un valore di 600 euro per l’insieme degli altri beni e servizi (compresi eventuali ulteriori buoni benzina) nonché per le somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

Se il valore in questione è superiore a 200 euro, lo stesso concorre interamente a formare il reddito ed è assoggettato a tassazione ordinaria.

Al riguardo, viene precisato che tale regola generale si applica anche qualora il lavoratore dipendente abbia scelto la sostituzione dei premi di risultato con il bonus in parola e/o con i fringe benefit, superando quindi l’espressione “sarà soggetto al prelievo sostitutivo previsto per i premi di risultato” riportata nella circolare n. 27/2022; in luogo del prelievo sostitutivo troverà quindi applicazione la tassazione ordinaria, fermi restando tutti gli altri chiarimenti e le esemplificazioni resi nel medesimo documento di prassi.

(MF/ms)
 




Chiarimenti su tassazione e dividendi

Con la risposta a interpello n. 454, pubblicata il 16 settembre, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta sull’applicazione del regime transitorio relativo ai dividendi su partecipazioni qualificate ex art. 1 comma 1006 della L. 205/2017.

In particolare, viene ufficializzata l’impostazione già indicata in un interpello della Direzione centrale secondo il quale i dividendi derivanti da partecipazioni qualificate incassati dal 1° gennaio 2023 sono soggetti a ritenuta del 26% ex art. 27 del Dpr 600/73 anche se la delibera di distribuzione è stata adottata entro il 31 dicembre 2022.

A seguito della riforma del regime dei dividendi operata dalla L. 205/2017, gli utili rivenienti da partecipazioni qualificate (così come, da sempre, quelli derivanti dal possesso di partecipazioni non qualificate) sono assoggettati alla ritenuta a titolo d’imposta del 26% dal 1° gennaio 2018.

La disciplina transitoria della L. 205/2017 conserva però, per gli utili maturati sino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017, il previgente regime impositivo, facendoli concorrere parzialmente alla formazione del reddito imponibile del contribuente (nel limite del 40%49,72% o 58,14%, a seconda del periodo di formazione). Tale regime si applica a condizione che la delibera di distribuzione degli utili sia formalizzata entro il 31 dicembre 2022.

In sostanza, quindi, la norma transitoria dispone il mantenimento del previgente regime in materia di partecipazioni qualificate ai dividendi:

  • che promanano da utili formatisi fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017;
  • la cui delibera sia intervenuta prima del 31 dicembre 2022.
Riguardo alle distribuzioni di utili effettuate a partire dal 1° gennaio 2023, la risposta in commento richiama un passaggio della ris. Agenzia delle Entrate 6 giugno 2019 n. 56, secondo cui il regime transitorio previsto dall’art. 1 comma 1006 della L. 205/2017 deriva dalla volontà del legislatore di salvaguardare, per un periodo di tempo limitato (1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022), il regime fiscale degli utili formati in periodi di imposta precedenti rispetto all’introduzione del nuovo regime fiscale.

Si ritiene, infatti, che l’arco temporale individuato dalla norma transitoria e l’applicazione del criterio di cassa per la tassazione dei dividendi conducano alla conclusione che i dividendi percepiti a partire dal 1° gennaio 2023 relativi a partecipazioni qualificate si applica comunque la ritenuta a titolo d’imposta o l’imposta sostitutiva con aliquota del 26%.

Tuttavia, la risposta ad interpello in commento non sembra considerare che ai fini dell’individuazione dell’intervallo temporale relativo alla disciplina transitoria la norma fa riferimento alle distribuzioni “deliberate dal 1º gennaio 2018 al 31 dicembre 2022” e non al periodo di imposta in cui il socio percepisce il dividendo. In altri termini, la risposta interpello n. 454/2022 non sembra considerare che la norma lega il regime transitorio alla data della delibera e non all’anno di percezione del provento.

A questo si aggiunge anche una considerazione che riguarda il principio di cassa ed il funzionamento delle norme sui dividendi nel nostro sistema.

Infatti, il momento dell’incasso del dividendo rappresenta per il percipiente non imprenditore il presupposto impositivo che individua l’anno di tassazione, mentre il regime impositivo applicabile si collega all’aliquota IRES che è stata liquidata sugli utili realizzati dalla società di capitali che li ha prodotti. Proprio su questo meccanismo si basa la concorrenza parziale al reddito del 40%, del 49,72% e del 58,14% che corrisponde ad utili che hanno scontato l’IRES rispettivamente con aliquota del 33%, del 27,50% e del 24%.

Finora il principio è stato quello di mantenere stabile il prelievo società + socio a prescindere dal momento in cui viene incassato il provento.

Si rischia di penalizzare gli utili più vecchi

Ne consegue che non è coerente con questo sistema legare il criterio di cassa per la tassazione del dividendo con il regime impositivo applicabile al socio.

La stessa ris. Agenzia delle Entrate 6 giugno 2019 n. 56 ha affermato che, se l’obiettivo è quello di tutelare gli utili formatisi prima dell’introduzione del nuovo regime fiscale, il regime della concorrenza parziale al reddito IRPEF dei dividendi su partecipazioni qualificate si applica anche “alle distribuzioni di utili deliberate entro il 31 dicembre 2017” nonostante la norma faccia riferimento quelle deliberate “dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022”.

L’impostazione indicata nella risposta n. 454/2022, invece, si pone in senso opposto, mettendo in secondo piano la ratio del regime transitorio della L. 205/2017 che è quella di non penalizzare gli utili prodotti prima del 2017.

(MF/ms)
 




Prestiti ai dipendenti: fringe benefit a rischio tassazione

Superando la misura ipotizzata a giugno, nella riunione della Bce del 21 luglio è stato aumentato di 50 punti base il tasso di interesse di riferimento (TUR), che passa così dallo 0% allo 0,50% a partire dal 27 luglio 2022.

La Bce ribadisce che nelle prossime riunioni del Consiglio direttivo sarà opportuna un’ulteriore “normalizzazione dei tassi di interesse”, aprendo a un graduale, ma duraturo, percorso di crescita dei tassi.

La modifica e quelle che forse verranno nel futuro hanno anche un impatto sul piano fiscale, in quanto sono diverse le disposizioni che, a vario titolo, fanno riferimento al Tur (cfr. la voce di Guide Tasso ufficiale di riferimento).

Con specifico riferimento al reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 51 comma 4 lettera b) del Tuir, in caso di concessione diretta di prestiti ai dipendenti (o del diritto di ottenerli da terzi), il fringe benefit è costituito dal 50% della differenza tra:

  • l’importo degli interessi calcolato in base al tasso ufficiale di sconto (TUS, ora tasso ufficiale di riferimento stabilito dalla Banca centrale europea) vigente al termine di ciascun anno;
  • l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi.
La norma, a chiaro contenuto agevolativo, interviene solo nel caso in cui il tasso d’interesse applicato dal datore di lavoro sia inferiore al TUR, ipotizzando che il Tur individui forfetariamente il valore di mercato del costo del finanziamento.

Naturalmente, se il valore di mercato è pari zero non si ha tassazione.

Con la risoluzione n. 46/2010, l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto che il richiamato criterio del Tuir si applica anche nell’ipotesi in cui il datore di lavoro eroghi, direttamente sul conto corrente che il dipendente mutuatario ha dedicato al pagamento del mutuo, un contributo aziendale a copertura di una quota degli interessi maturati. In tal caso, infatti, sempreché le modalità di accreditamento della somma realizzino un collegamento immediato e univoco tra l’erogazione aziendale e il pagamento degli interessi del mutuo, concorrerà alla formazione del reddito di lavoro dipendente, anziché l’intero importo degli interessi pagati dal datore di lavoro, il 50% dell’ammontare risultante dalla differenza tra gli interessi calcolati al tasso ufficiale di sconto vigente al 31 dicembre di ciascun anno e gli interessi rimasti a carico del dipendente.

In tale prospettiva, anche il credito welfare destinato quale “contributo azienda su interessi per finanziamenti” concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente nei limiti previsti dall’art. 51 comma 4 del Tuir (così ris. Agenzia Entrate n. 55/2020).

Alla luce della disciplina sopra esposta, se nel corso del 2021 il datore di lavoro ha rimborsato tutti gli interessi passivi del dipendente, in capo a quest’ultimo non si è formato alcun fringe benefit tassato, in quanto a fine 2021 il Tur era ancora pari a zero.

Con il cambiamento di scenario cui si è fatto cenno, la questione si complica anche se, ai fini delle ritenute da effettuare fino a fine anno, occorre considerare il Tur vigente alla fine del 2021, salvo effettuare il conguaglio, che terrà conto del Tur vigente al termine del 2022 (circ. 17 maggio 2000 n. 98, § 5.2.1).

Quindi, in concreto, anche dopo l’aumento disposto dalla Bce, il datore di lavoro nei prossimi mesi non dovrà fare nulla; calcolerà poi il fringe benefit in sede di conguaglio con il tasso in vigore a fine anno che, per quanto sopra riferito, potrebbe essere anche superiore allo 0,50%.

Si ipotizzi quindi un prestito a un dipendente con le seguenti caratteristiche:

  • quota capitale: 80.000 euro;
  • Tur pari allo 0,50%, con interessi pari a 400 euro;
  • tasso effettivamente applicato dalla banca pari al 2%, con interessi pari a 1.600 euro coperti da un contributo riconosciuto dal datore di lavoro di 1.600 euro, con conseguente importo complessivo degli interessi a carico pari a zero.
In tal caso, la differenza tra gli interessi è 400 euro e il fringe benefit è pari a 200 e concorre a formare la soglia di “esenzione” di 258,23 euro.

Nell’ipotesi in cui il Tur venga poi ulteriormente innalzato, ad esempio in misura pari a 0,75%, considerando i medesimi dati sopra esposti il fringe benefit sarebbe pari a 300 (considerando il 50% della differenza tra gli interessi calcolati sul Tur pari a 600 e gli interessi effettivi pari a zero), superando
quindi già di per sé la suddetta soglia e rendendo imponibile per il dipendente l’intero importo, unitamente agli altri eventuali fringe benefit ricevuti. Anche tale effetto dovrà essere considerato al momento del conguaglio.

Nel caso in cui il rimborso degli interessi sia solo parziale, occorre verificare che il tasso effettivamente a carico del dipendente non superi quello del Tur.

Se anziché rimborsare l’intero importo degli interessi, nell’esempio sopra proposto, il datore di lavoro rimborsasse solo 800 euro, il tasso effettivo sarebbe comunque superiore a quello della Bce, con la conseguenza che non ci sarebbe alcun compenso in natura, come è accaduto dal 2016 a oggi.

(MF/ms)
 




Bonus carburante per i dipendenti

Con la circolare n. 27 del 14 luglio, l’Agenzia delle Entrate ha fornito le attese indicazioni in relazione al c.d. “bonus carburante ai dipendenti”.

E’ stata infatti chiarita la modalità applicativa dell’esenzione dei buoni carburante fino a 200 euro.

L’art. 2 del Dl 21/2022 ha previsto, soltanto per il periodo d’imposta 2022, la possibilità per i datori di lavoro privati di erogare ai propri lavoratori dipendenti buoni benzina, o titoli analoghi, esclusi da imposizione fiscale ai sensi dell’art. 51 comma 3 del Tuir per un ammontare massimo di 200 euro per lavoratore.

Secondo l’Agenzia la disposizione si riferisce ai datori di lavoro che operano nel “settore privato”, così come individuato, per esclusione, nella circolare n. 28/2016.

Rientrano quindi nell’ambito di applicazione della norma gli enti pubblici economici e, tra gli altri, anche i soggetti che non svolgono un’attività commerciale e i lavoratori autonomi, sempre che dispongano di propri lavoratori dipendenti.

In merito all’individuazione dei lavoratori dipendenti destinatari dei buoni benzina, la disposizione agevolativa non effettua espressamente delle distinzioni e non pone alcun limite reddituale per l’ammissione al beneficio.

Inoltre, considerato il generico riferimento della norma ai “lavoratori dipendenti”, secondo l’Agenzia rileva la tipologia di reddito prodotto, ossia quello di lavoro dipendente.

Al riguardo, posto che l’art. 2 del Dl 21/2022 fa riferimento al solo comma 3 dell’art. 51 del Tuir e non all’intero articolo 51, viene affermato che i buoni in esame possono essere corrisposti dal datore di lavoro sin da subito, nel rispetto dei presupposti e dei limiti normativamente previsti, anche ad personam e senza necessità di preventivi accordi contrattuali.

Qualora tali buoni siano erogati in sostituzione dei premi di risultato (possibilità ammessa per effetto dell’eliminazione della locuzione “a titolo gratuito”), l’erogazione degli stessi deve invece avvenire in “esecuzione dei contratti aziendali o territoriali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (comma 187)” (cfr. circolare n. 28/2016).

Sotto il profilo del reddito d’impresa, l’Agenzia chiarisce che, non rientrando nelle ipotesi di cui all’art. 100 comma 1 del Tuir, il costo connesso all’acquisto dei buoni carburante in esame è integralmente deducibile dal reddito d’impresa ai sensi dell’art. 95 del Tuir, sempreché l’erogazione di tali buoni sia, comunque, riconducibile al rapporto di lavoro e, per tale motivo, il relativo costo possa qualificarsi come inerente.

Quanto all’ambito oggettivo, i buoni benzina sono erogazioni corrisposte dai datori di lavoro privati ai propri lavoratori dipendenti per i rifornimenti di carburante per l’autotrazione (es. benzina, gasolio, GPL e metano). Secondo l’Agenzia, rientra nel beneficio anche l’erogazione di buoni o titoli analoghi per la ricarica di veicoli elettrici.

Con riferimento al profilo della tassazione lato dipendente, la norma riconduce i buoni benzina nell’ambito di applicazione dell’art. 51 comma 3 ultimo periodo, del Tuir, secondo cui non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se, complessivamente, di importo non superiore, nel periodo d’imposta, a 258,23 euro; se il valore in questione è superiore a detto limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.

Al riguardo, la Relazione illustrativa del citato art. 2 precisa che il bonus benzina di 200 euro, sottoposto comunque alla disciplina dell’art. 51 comma 3 del Tuir, rappresenta un’ulteriore agevolazione rispetto a quella generale già prevista dal medesimo comma 3.

La circostanza che il lavoratore dipendente già usufruisca di altri beni e servizi non osta, quindi, all’applicazione della disciplina in esame.

Ne consegue che, al fine di fruire dell’esenzione da imposizione, i beni e i servizi erogati nel periodo d’imposta 2022 dal datore di lavoro a favore di ciascun lavoratore dipendente possono raggiungere un valore di 200 euro per uno o più buoni benzina ed un valore di 258,23 euro per l’insieme degli altri beni e servizi (compresi eventuali ulteriori buoni benzina).

Ad esempio, rileva la circolare, nel caso in cui un lavoratore dipendente benefici, nell’anno d’imposta 2022, di buoni benzina per 100 euro e di altri benefit (diversi dai buoni benzina) per un valore pari a 300 euro, quest’ultima somma sarà interamente sottoposta a tassazione ordinaria. Di contro, se il valore dei buoni benzina è pari a 250 euro e quello degli altri benefit è pari a 200 euro, l’intera somma di 450 euro non concorre alla formazione del reddito del lavoratore dipendente, poiché l’eccedenza di 50 euro relativa ai buoni benzina confluisce nell’importo ancora capiente degli altri benefit di cui all’art. 51 comma 3 del Tuir.

L’Agenzia precisa altresì che l’esenzione in esame trovi applicazione per i buoni o i titoli analoghi assegnati ai dipendenti nel corso dell’anno 2022 e nei primi 12 giorni dell’anno 2023, indipendentemente dal loro utilizzo in periodi successivi.

(MF/ms)