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Acquisti di prodotti tecnologici e reverse charge: specifiche

Ad oramai diversi anni dall’ultima modifica normativa intervenuta, sorgono ancora alcuni dubbi circa l’applicazione del reverse charge per le compravendite di prodotti tecnologici, quali, in particolare, telefoni cellulari, computer portatili e tablet.

I dubbi nascono da una non chiarissima illustrazione, ad origine, della materia da parte dell’Amministrazione finanziaria, e dalla sempre più frequente propensione ad acquistare tali prodotti in canali diversi da quelli di commercio al dettaglio.

Partiamo da un dato di fatto: il settore è da sempre stato interessato da frodi Iva, in tutto il territorio europeo, di svariati miliardi.

A livello pratico, la frode significativa non avviene quando il singolo prodotto viene ceduto da un dettagliante ad un soggetto che spesso si qualifica come consumatore finale (e che quindi non può detrarre l’Iva), ma quando consistenti quantitativi di beni vengono ceduti ad un soggetto che ha diritto alla detrazione dell’Iva.

Quando, infatti, il venditore non versa l’Iva che ha incassato, il danno erariale è molto maggiore nel caso in cui il cliente ha la possibilità di detrarre l’Iva, rispetto al caso in cui si qualifica come consumatore finale.

Detto ciò, a livello comunitario la Direttiva Iva consente agli Stati membri l’introduzione del meccanismo del reverse charge per settori che sono ritenuti ad alto rischio di frode, quali ad esempio le cessioni di telefoni cellulari, di dispositivi a circuito integrato, di console di gioco, tablet PC e laptop.

Altri Stati hanno introdotto il meccanismo del reverse charge in questi settori, e per stabilire in modo chiaro che tale modalità speciale di applicazione dell’imposta è limitata al commercio all’ingrosso, hanno fatto una cosa semplicissima: hanno inserito un limite di importo al di sotto del quale il reverse charge non trova applicazione.

Troviamo infatti dei limiti di importo nella normativa tedesca (euro 5.000) ed in quella britannica (GBP 5.000), istituita quando il Regno Unito era ancora un Paese aderente alla Ue ed ancora oggi in vigore.

Dal canto suo, il legislatore italiano non ha introdotto alcun limite di importo, né ha scritto la norma in modo tale che si potesse evincere che il reverse charge trova applicazione solo nel commercio all’ingrosso.

La norma, infatti, prevede semplicemente che il reverse charge trovi applicazione per le vendite di telefoni cellulari (per la cui definizione viene fatto un rimando ad una norma del 1972, modificata da ultimo nel 1995…), e per le cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, senza specificare in quali fasi della commercializzazione o se per quantitativi minimi.

In uno Stato di diritto, dove le norme si interpretano in primo luogo per come sono scritte, tutte le cessioni di tali prodotti, effettuate verso un soggetto passivo Iva, sarebbero assoggettate a reverse charge.

Se il legislatore poi ravvisa che la norma non raggiunge gli scopi che si proponeva, viene cambiata la norma.

In Italia, invece, l’Agenzia delle Entrate, con documenti di prassi, modifica radicalmente la interpretazione della norma, e, ad esempio, con circolare 59/E/2010 affermò che “si ritiene che l’obbligo del meccanismo dell’inversione contabile alle fattispecie in esame, ai sensi del citato articolo 17, comma 6, del DPR n. 633 del 1972, trovi applicazione per le sole cessioni dei beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio. Le cessioni al dettaglio, infatti, si caratterizzano per la destinazione del bene al cessionario-utilizzatore finale, ancorché soggetto passivo”.

Nella successiva risoluzione 36/E/2011 precisò inoltre che “il riferimento al commercio al dettaglio deve intendersi finalizzato a individuare i soggetti che esercitano attività di commercio al minuto e attività assimilate di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972.


Ne consegue che sono escluse dall’obbligo di reverse charge le cessioni dei beni in argomento effettuate da “commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante“.

In tale risoluzione chiarì anche che “L’esclusione dall’obbligo di reverse charge torna, altresì, applicabile anche a soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972 che, tuttavia, effettuano le cessioni dei beni in argomento direttamente a cessionari-utilizzatori finali.


Tale circostanza può ritenersi sussistere esclusivamente nelle ipotesi in cui la cessione del telefono cellulare sia accessoria alla fornitura del c.d. “traffico telefonico””.

Evidentemente, in molti limitarono la lettura del chiarimento alla prima frase, e si formò un certo orientamento secondo cui l’acquirente di un grossista, che si qualificava come “utilizzatore finale” del telefono, dichiarando cioè che non lo acquistava per rivenderlo, avrebbe dovuto pagare l’Iva al proprio fornitore.

Tale interpretazione è stata recentemente smentita dall’Agenzia delle Entrate, la quale ad una istanza di interpello presentata da un grossista, ha chiarito che “non condivide la soluzione prospettata dall’Istante, secondo la quale l’applicazione del reverse charge non è dovuta, a seguito delle richieste dei cessionari e dall’uso che questi faranno del bene acquistato”.

In sostanza, quando un soggetto passivo Iva acquista un cellulare, un tablet, o un laptop da un dettagliante (in particolare presso un punto vendita aperto al pubblico, o per corrispondenza), troverà sempre applicazione l’Iva, mentre quando lo compra da un grossista, troverà sempre applicazione il reverse charge, salvo il caso disciplinato dalla risoluzione 36/E/2011 di cellulare ceduto come accessorio al traffico telefonico.

(MF/ms)
 




Il reverse charge nelle cessioni dei tablet: informazioni pratiche

Il meccanismo del reverse charge riguarda i prodotti identificati dal codice di Nomenclatura Combinata 8471 30 00 (“Tablet PC”).

Secondo quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate con circ. 21/E/2016, per individuare i prodotti per i quali si applica il reverse charge, non deve farsi riferimento alla denominazione “commerciale” degli stessi, bensì alla circostanza che si tratti di beni della stessa qualità commerciale e con le stesse caratteristiche tecniche.

In ragione del fatto che le disposizioni in materia di Iva nazionali e comunitarie non prevedono una definizione di “Tablet PC”, può essere utile richiamare la descrizione utilizzata a livello commerciale per detti prodotti.

Si considera, generalmente, come “Tablet PC” un “computer portatile, dotato di tutta la connettività e di tutte le funzionalità che ci si aspetta da un normale PC dotato di sistema operativo”.

Oltre a queste funzionalità normali, “un Tablet PC può essere utilizzato con le dita o con una penna grazie alla presenza di un digitalizzatore integrato nello schermo”. Per cui, di fatto, “un Tablet PC è un normale PC portatile in grado di essere utilizzato in più situazioni e in più posti rispetto ad un normale PC portatile”.
 
Ambito applicativo

Il reverse charge per le cessioni di tablet PC si applica per le sole operazioni effettuate nella fase distributiva che precede quella del commercio al dettaglio dei prodotti.

Detta limitazione è giustificata dalla frequenza delle operazioni che caratterizza l’attività di commercio al dettaglio, tale da rendere particolarmente onerosa l’applicazione dell’inversione contabile.

L’esclusione dal reverse charge riguarda (ris. 36/E/2011, richiamata dalla circ. 21/E/2016):

  • le cessioni effettuate dai soggetti che esercitano attività di commercio al minuto e attività assimilate di cui all’art. 22 del Dpr 633/72, eseguite in “locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante”, i cui cessionari sono, di regola, utilizzatori finali dei beni, ancorché soggetti passivi;
  • le cessioni effettuate da soggetti diversi da quelli di cui all’art. 22 del Dpr 633/72, purché eseguano le operazioni direttamente nei confronti di cessionari-consumatori finali.
Con la risposta all’interpello 894/E/2021 (in allegato alla presente) è stato invece confermato da parte dell’Agenzia delle Entrate che l’operazione rientra in regime di reverse charge se è effettuata nei confronti di cessionari soggetti passivi Iva ancorchè utilizzatori finali, inoltre non sussiste l’obbligo da parte del cedente di acquisire specifica attestazione e/o dichiarazione da parte del cessionario in ordine allo status di utilizzatore finale, ancorché soggetto passivo Iva (risposta a interpello 894/E/2021 che si allega alla presente).

Il reverse charge non è applicabile alle cessioni di beni diversi da quelli espressamente individuati dalla disposizione, come nel caso degli adattatori e dei cavi di rete (risposta a interpello 643/E/2021).
 
Soggetti non residenti

Nel caso di cessioni di tablet a soggetti non residenti, il cessionario è tenuto ad assolvere l’Iva mediante reverse charge anche se privo di stabile organizzazione in Italia.

In assenza di S.O. nel territorio dello Stato, il cessionario non residente dovrà, dunque, identificarsi ai fini Iva in Italia (ris. 28/E/2012, risposta a interpello 643/E/2021).

In sostanza, la formulazione “soggetto passivo d’imposta nel territorio dello stato” di cui all’art. 17 co. 5 del Dpr 633/72 (cui l’art. 17 co. 6 fa rinvio) si intende riferito alla generalità dei soggetti passivi (intesi come operatori economici), a prescindere dalla circostanza che siano stabiliti nel territorio dello Stato ovvero che siano ivi identificati ai fini Iva.
 
Beni usati

Il meccanismo del reverse charge è applicabile anche alle cessioni di tablet usati, sempreché non sussistano i presupposti per avvalersi del regime del margine di cui all’art. 36 del Dl 41/95.
 
Adempimenti

Sotto il profilo operativo, in caso di applicazione del reverse charge alle cessioni di tablet, il cedente è tenuto ad emettere fattura senza addebito d’imposta, con l’annotazione che trattasi di operazione soggetta all’inversione contabile, e con l’indicazione della norma di riferimento (art. 17 co. 6 lett. c) del Dpr 633/72).

Il cessionario è invece tenuto ad integrare la fattura con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e ad annotarla:

  • nel registro delle fatture emesse (o dei corrispettivi) entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro 15 giorni dal ricevimento della fattura, con riferimento al relativo mese;
  • nel registro degli acquisti, entro gli ordinari termini per l’esercizio del diritto alla detrazione Iva.
(MF/ms)