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Cessioni comunitarie, le prove di arrivo merce in altro stato membro

Quando si effettuano cessioni comunitarie, spetta al contribuente dimostrare che le merci sono arrivate nel territorio di altro Stato Membro.

Nel 2020 è entrato in vigore l’articolo 45-bis del Regolamento Ue 282/2011, il quale indica degli elementi che, se sono forniti dal contribuente, creano una presunzione a suo favore circa il fatto che la merce è giunta a destino, ma questa prova è nei fatti utilizzabile solo quando il trasporto è effettuato da un trasportatore incaricato dal venditore.

La presunzione prevista dal Regolamento comunitario non è proprio applicabile nel caso in cui il trasporto sia eseguito coi mezzi propri di cedente o cessionario, mentre quando sono eseguiti con trasportatore incaricato dal cessionario, la raccolta dei documenti previsti dal Regolamento è praticamente impossibile, salvo che il cessionario non metta a disposizione del cedente documenti tipici della propria contabilità, come ad esempio le fatture del trasportatore.

Nel caso in cui comunque si riesca a farsi dare questi documenti, bisognerebbe farsi dare anche una dichiarazione di ricezione della merce, sulla quale la norma comunitaria prevede delle regole particolari, e su cui le linee guida della Commissione Europea hanno fornito interessanti chiarimenti; ad esempio, secondo la Commissione Europea, non è necessario avere un documento cartaceo, ma “sarebbe ragionevole aspettarsi che gli Stati membri siano flessibili al riguardo e non impongano limitazioni rigorose, ad esempio accettando solo un documento cartaceo, ma accettino anche una versione elettronica, nella misura in cui contenga tutte le informazioni richieste dall’articolo 45 bis, paragrafo 1, lettera b), punto i) del Regolamento 282/2011”.

Togliendo i casi di aziende che curano il trasporto della merce incaricando un trasportatore, che possono far valere le prove previste dal Regolamento Ue senza nemmeno chiedere al cliente un documento che certifichi l’arrivo della merce, negli altri casi il contribuente deve seguire le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate in alcuni chiarimenti di prassi e recuperare una serie di documenti che certifichino l’arrivo della merce in altro Stato; sul punto, l’Agenzia delle Entrate chiede che il contribuente abbia – alternativamente – un documento proveniente dal sistema informatico vettore (POD), una copia del documento di trasporto (tipicamente CRM) firmato dal cliente, oppure una dichiarazione di ricezione della merce firmata dal cliente; come chiarito con la risposta ad interpello 100/2019, è sufficiente che tale ultimo documento certifichi il mese ed il Paese di ricezione, e potrebbe elencare le merci ricevute facendo riferimento ai documenti di trasporto o alle fatture.

Il dubbio che potrebbe sorgere è con che modalità recuperare la dichiarazione di ricezione della merce.

Appare evidente che risulta molto attendibile un documento pdf allegato ad una mail proveniente da una casella di posta elettronica che viene utilizzata abitualmente nei contatti con il cliente; ovviamente, considerato che le mail sono quella “corrispondenza” che per il Codice civile deve essere conservata dall’imprenditore, deve essere conservata anche la mail a cui la dichiarazione era allegata.

Si ritiene che una dichiarazione di ricezione della merce, fatta pervenire dal cliente tramite mail, abbia la stessa validità giuridica di quella fatta avere tramite posta; peraltro, ricordiamo che con risoluzione 19/2013 l’Agenzia delle Entrate riconobbe prova valida il “CMR elettronico”, cioè un file (ad esempio pdf) ricevuto dal trasportatore; in tale risoluzione ricordò che se i files non hanno un “riferimento temporale” e la “sottoscrizione elettronica”, sono da considerare documenti analogici, e quindi da stampare e conservare in cartaceo (salva una loro conservazione a norma effettuata secondo altre regole).

Fatto sta che con la risposta ad interpello 272/2023 l’Agenzia delle Entrate ha dato conferma della validità dei documenti di prova ricevuti dal cliente in formato elettronico, e nello specifico via EDI.

In tale documento l’Agenzia ha precisato che – analogamente a quanto aveva chiarito riguardo al CMR – tutti i documenti che consentono di provare l’arrivo della merce a destino possono essere elettronici, e quindi anche la dichiarazione di arrivo della merce.

A tale riguardo è d’obbligo precisare che esiste il concetto di “documento elettronico” e di documento “analogico consegnato per via elettronica”; la differenza, emersa ad esempio nella circolare 45/E/2005 è che per una fattura “analogica” “la posta elettronica è un mezzo di spedizione della fattura, cosicché risulta indispensabile, per chi la riceve, la sua “materializzazione” su un documento cartaceo, nonché la sua sostanziale corrispondenza di contenuto tra l’esemplare dell’emittente e quello del ricevente e tra le annotazioni nei registri Iva di entrambi gli operatori; non è invece, obbligatorio che la fattura sia resa immodificabile mediante la firma elettronica qualificata il riferimento temporale”.

In sostanza, il documento contenuto in un file senza riferimento temporale e sottoscrizione elettronica è un documento “cartaceo”, che deve essere stampato, e conservato in tale forma (fatta salva una “successiva” smaterializzazione), mentre un documento che ha determinati requisiti (immodificabilità, definitività della data, certezza sulle origini, ecc…) è considerato documento elettronico e può essere conservato nella stessa forma.

Essendo quindi consentito l’invio per posta elettronica del documento di arrivo della merce (così come era consentito l’invio delle fatture analogiche dalla circolare 45/E/2005e dei CMR dalla risoluzione 19/E/2013) l’Agenzia conferma che lo stesso deve fornire “le medesime garanzie di una dichiarazione cartacea”. In questo senso, con gli ordinari mezzi e oneri della prova se ne dimostrerà o disconoscerà la fonte o la veridicità e quindi appare opportuno, nel caso, un sistema di archiviazione efficace della posta elettronica in arrivo.

Qualora invece non si intenda materializzare tale documento, e considerarlo “elettronico”, in un passaggio successivo l’Agenzia delle Entrate richiede dei requisiti che devono avere i files, e conferma che l’utilizzo della trasmissione EDI attribuisce ai files trasmessi con tale sistema determinate garanzie circa l’autenticità dell’origine e dell’integrità del contenuto.

(MF/ms)




La prova di consegna nelle cessioni intracomunitarie di beni

L’articolo 45-bis del Regolamento Ue di esecuzione n. 282/2011 del 15 marzo 2011, così come modificato dal Regolamento di esecuzione (Ue) 2018/1912 del 4 dicembre 2018, tratta in maniera specifica gli oneri documentali riguardanti le cessioni intracomunitarie di beni di cui all’articolo 138 della Direttiva Iva.
 
Ulteriori chiarimenti in materia sono stati forniti dalla Commissione europea con le Note Esplicative sui “quick fixes 2020”, pubblicate a dicembre 2019.

In particolare, con il paragrafo 1lettere a) e b), del citato articolo 45-bis è stata introdotta, dal 1° gennaio 2020, una presunzione relativa circa l’avvenuto trasporto di beni in ambito comunitario.

Il paragrafo 1, lettera a) tratta l’ipotesi in cui i beni vengono spediti o trasportati dal venditore o da un terzo per suo conto mentre la lettera b), quella in cui il trasporto è curato dall’acquirente o da un terzo per suo conto.

Nel primo caso – spedizione a cura o per conto del cedente – quest’ultimo, oltre a dichiarare che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da terzi per suo conto, deve produrre almeno due documenti, non contraddittori e provenienti da soggetti diversi tra loro (indipendenti sia dal venditore che dall’acquirente). Trattasi dei documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, di cui al paragrafo 3lettera a) dell’articolo 45-bis:

  • un documento o una lettera CMR riportante la firma del trasportatore,
  • una polizza di carico,
  • una fattura di trasporto aereo,
  • una fattura emessa dallo spedizioniere.
In alternativa, il venditore potrà presentare, oltre alla dichiarazione che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da terzi per proprio conto, un documento di cui al citato paragrafo 3, lettera a) ed uno qualsiasi dei documenti indicati alla successiva lettera b) del medesimo paragrafo 3:
  • una polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o i documenti bancari attestanti il pagamento per la spedizione o il trasporto dei beni;
  • documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ad esempio da un notaio, che confermano l’arrivo dei beni nello Stato membro di destinazione;
  • una ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato membro.
Nella seconda fattispecie (lettera b), dove il trasporto viene effettuato dall’acquirente oppure da un terzo per suo conto, per il venditore italiano le cose si complicano.

Il cedente nazionale deve richiedere al proprio cliente Ue una dichiarazione scritta dalla quale dovranno risultare le seguenti informazioni: lo Stato membro di destinazione dei beni, la data del rilascio, il nome e l’indirizzo dell’acquirente, la quantità e la natura dei beni ceduti, la data e il luogo del loro arrivo, l’identificazione della persona che ha accettato i beni per conto dell’acquirente e, qualora si tratti di mezzi di trasporto, il numero di identificazione del mezzo.

Oltre alla dichiarazione di cui sopra, il cedente dovrà essere in possesso di almeno due dei documenti relativi al trasporto delle merci, di cui alla lettera a) del paragrafo 3 dell’articolo 45-bis, rilasciati da due diverse parti indipendenti, l’una dall’altra, dal venditore e dall’acquirente oppure di un documento di trasporto di cui alla lettera a) citata, insieme ad un documento relativo agli altri mezzi di prova indicati nella lettera b) del medesimo paragrafo 3.

Il set documentale sopra esposto agevola notevolmente il cedente che organizza il trasporto (affidando ad esempio l’incarico ad un corriere), essendo in possesso sia della fattura dello spedizioniere che dei documenti bancari attestanti il pagamento della spedizione.

La presunzione contenuta nell’articolo 45-bis del Regolamento n. 282/2011 è invece difficilmente applicabile quando la spedizione è gestita dal cliente intra-Ue come, ad esempio, in caso di cessioni con resa ex-works.

È inoltre preclusa l’applicazione della presunzione quando le merci sono state trasportate o spedite in altro Stato membro, con trasporto o spedizione effettuati dal cedente o dal cessionario con mezzi propri senza l’intervento di altri soggetti (Note esplicative quick fixes 2020, par. 5.3.5).

In base all’articolo 45-bis, paragrafo 2, le Autorità fiscali dei Paesi Ue conservano la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuto trasporto o spedizione intracomunitaria, adottando ulteriori norme o prassi nazionali eventualmente più flessibili. Allo stesso modo, il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta, qualora non sia in possesso della documentazione richiesta dalla richiamata disposizione unionale.

Pertanto, in tutti i casi in cui non si renda applicabile la presunzione di cui all’articolo 45-bispuò continuare a trovare applicazione la prassi nazionale, anche adottata prima dell’entrata in vigore del medesimo articolo in tema di prova del trasporto intracomunitario dei beni (circolare12/E/2020).

Resta inteso, ad ogni modo, che detta prassi nazionale individua documenti la cui idoneità a provare l’avvenuto trasporto all’interno dell’Unione europea è comunque soggetta alla valutazionecaso per casodell’Amministrazione finanziaria.

Con la risposta n. 101/2022 l’Agenzia delle entrate ha recentemente ribadito tale orientamento, accogliendo come mezzi di prova, nel caso di specie, l’estrazione dal sito web del trasportatore della movimentazione della merce, rilevata con sistema satellitare GPS nei vari punti di sosta fino alla consegna, unita alla lettera di vettura del trasporto aereo (AWB) ed un documento di riepilogo di spedizione giornaliero rilasciato dallo spedizioniere.

(MF/ms)
 




Export: limiti alla fatturazione elettronica

Le cessioni all’esportazione di cui all’art. 8 comma 1 lett. a) e b) del Dpr 633/72 possono essere documentate, al momento di spedizione dei beni, mediante emissione di fattura in formato analogico o, in alternativa, elettronico via sistema di interscambio, con indicazione, nel campo riferito alla “natura” dell’operazione, del codice “N3.1”.

Trattandosi di operazioni nei confronti di soggetti non stabiliti in Italia, il ricorso alla e-fattura via Sdi è infatti da ritenersi facoltativo ai sensi dell’art. 1 comma 3 del D.lgs. 127/2015.

Un aspetto che appare opportuno indagare riguarda la possibilità di documentare le cessioni all’esportazione di cui trattasi mediante la fattura differita, disciplinata dall’art. 21 comma 4 lett. a) del Dpr 633/72 e prevista per le cessioni di beni accompagnati da Ddt o da altro documento idoneo.

La norma appena richiamata non esclude di per sé la possibilità di emettere, anche per le cessioni all’esportazione, un documento unico per più operazioni effettuate nello stesso mese solare nei confronti del medesimo soggetto (sulla base della data di spedizione dei beni), entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione.

Inoltre, sulla base di quanto disposto dall’art. 8 comma 1 lett. a) del Dpr 633/72, tale procedura risulterebbe possibile, atteso che la norma stabilisce che l’esportazione “deve risultare da documento doganale, o da vidimazione apposta dall’ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento emessa a norma dell’art. 2 del Dpr 6 ottobre 1978, n. 627, o, se questa non è prescritta, sul documento di cui all’articolo 21, comma 4, terzo periodo, lettera a)”, lasciando intendere che la prova dell’esportazione possa risultare anche da Ddt o documenti equivalenti.

Tuttavia, l’assenza di una fattura immediata accompagnatoria, da presentare in Dogana, ai fini della dichiarazione di esportazione, potrebbe costituire un limite di carattere operativo, soprattutto per quanto concerne la determinazione del valore della merce.

Va segnalato che la prassi ministeriale sul punto aveva ritenuto, in passato, che la fattura fosse elemento imprescindibile per il compimento dell’operazione doganale e che, dunque, non vi fosse la possibilità per il cedente nazionale di emettere fattura differita nella fattispecie (cfr. R.m. n. 108/1998; C.m. n. 35/1997).

Più recentemente, tuttavia, considerato l’avvento del sistema Ecs (Export Control System), che consente di ottenere prova dell’esportazione mediante numero elettronico di riferimento della dichiarazione doganale (Mrn), l’Agenzia delle Entrate, ritenendo “non più necessario che la dogana di uscita apponga materialmente sulla fattura il visto uscire”, ha riconosciuto la possibilità dell’emissione della fattura in formato elettronico, reputando, conseguentemente, non indispensabile la presentazione del documento “fisico” in Dogana (risposta a interpello n. 130/2019).

Un ulteriore aspetto riguarda il caso delle esportazioni c.d. “triangolari”, le quali vedono coinvolti, in linea generale, tre operatori, dei quali il primo (A) cede dei beni al secondo (B), il quale li rivende a sua volta a un terzo (C), extra Ue, con incarico da parte di B ad A di consegnare direttamente i beni a C. Si tratta di una doppia cessione che beneficia del regime di non imponibilità di cui all’art. 8 comma 1 lett. a) del Dpr 633/72, ferma la prova del trasporto o spedizione dei beni al di fuori del territorio dell’Ue.

In relazione a tale fattispecie, la prassi sembrerebbe aver riconosciuto la possibilità per il primo cedente, di avvalersi della fattura differita, essendo possibile documentare – anche ai fini della prova dell’esportazione – la cessione mediante documento di trasporto ex art. 1 comma 3 del Dpr 472/96 (cfr. C.m. n. 35/1997).

Tuttavia, laddove entrambe le parti intendano ottenere prova dell’esportazione mediante MRN, il primo cessionario dovrebbe inserire nella documentazione doganale i dati della fattura emessa dal primo cedente al fine di ottenere dalla Dogana la prova dell’effettiva triangolazione, rendendo, di fatto, impossibile il ricorso alla fatturazione differita da parte di quest’ultimo.

Esclusa la fatturazione “super-differita”

Dovrebbe, infine escludersi la facoltà di avvalersi della c.d. fatturazione “super-differita” di cui all’art. 21 comma 4 lett. b) del Dpr 633/72, vale a dire del maggiore differimento dei termini di emissione della fattura per le cessioni di beni effettuate dal cessionario nei confronti di un soggetto terzo per il tramite del proprio cedente, vale a dire per le operazioni c.d. “triangolari”.

Benché la norma richiamata si riferisca genericamente alle cessioni effettuate dal cessionario nei confronti di un terzo per il tramite del primo cedente, non parendo limitare l’agevolazione alle sole operazioni domestiche, di recente la circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2019 ha definito tali operazioni come “triangolazioni nazionali”.

Così facendo, l’Amministrazione finanziaria sembrerebbe implicitamente essersi espressa per una limitazione della fattispecie alle sole operazioni domestiche, escludendo, quindi, le cessioni triangolari nei confronti di soggetti extra Ue.

(MF/ms)




Prova cessioni Ue e dichiarazione di ricezione dei beni: precisazioni

Ai sensi dell’art. 138, Direttiva Ue n. 2006/112, alle cessioni intra Ue può essere applicato il regime di non imponibilità solo al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
  • il cedente / acquirente devono essere soggetti passivi d’imposta
  • la cessione deve essere a titolo oneroso
  • la cessione deve determinare il trasferimento della proprietà sul bene ceduto
  • i beni devono essere spediti / trasportati da uno Stato UE ad un altro
A livello nazionale, il citato art. 138 è stato recepito dall’art. 41, comma 1, lett. a), Dl n. 331/93, in base al quale le cessioni di beni effettuate da operatori italiani nei confronti di operatori Ue sono considerate operazioni non imponibili Iva in quanto alle stesse è applicabile il regime di tassazione nello Stato Ue di destinazione dei beni.

Affinché la cessione possa considerarsi “intra Ue”, è necessario che sussistano i seguenti requisiti:

1. soggettività passiva dell’acquirente in un altro Stato Ue (o ivi identificato)
2. onerosità dell’operazione
3. trasferimento della proprietà / altro diritto reale sul bene
4. destinazione dei beni in un altro Stato Ue

Essendo necessario il trasferimento dei beni in un altro Stato Ue, in quanto ciò consente di considerare non imponibile la cessione nello Stato di partenza ed imponibile nello Stato di destinazione dei beni, assume un ruolo rilevante la prova da parte del cedente del trasporto / spedizione dei beni.

La Direttiva UE n. 2018/1910 ha modificato il citato art. 138 attribuendo rilevanza sostanziale:

  • al fatto che il cedente / acquirente siano dotati di un numero identificativo IVA e siano iscritti al Vies
  • alla corretta compilazione dell’elenco riepilogativo (mod. Intra) da parte del cedente
Tali disposizioni, che dovevano trovare applicazione dall’1.1.2020, sono in corso di recepimento nell’ordinamento nazionale nell’ambito della c.d. “Legge europea 2019-2020” (il “ritardo” è stato oggetto di una specifica procedura di infrazione 2020/0070).
 
Prova dell’uscita dei beni

Tra le condizioni per la non imponibilità di una cessione intra Ue è richiesto il possesso di adeguate prove documentali in grado di attestare che i beni oggetto della cessione siano stati effettivamente trasferiti in un altro Stato Ue.

In materia di prove da fornire per giustificare la non imponibilità, l’art. 131, Direttiva n. 2006/112/Ce lascia ai singoli Stati membri la facoltà di disciplinare le condizioni per l’applicazione del regime stesso (il legislatore nazionale non si è avvalso di tale facoltà).
 

Regolamento Ue Nr. 2018/1912

A decorrere dall’1.1.2020 è entrato in vigore il Regolamento Ue n. 2018/1912 contenente il regime probatorio del trasferimento dei beni delle cessioni intra Ue.

In particolare il citato regolamento Ue ha introdotto il nuovo art. 45-bis al regolamento n. 282/2011 che individua le “prove” al verificarsi delle quali si presume che i beni siano stati spediti / trasportati dal territorio di uno Stato Ue di partenza diverso da quello di destinazione e pertanto consente l’applicazione della non imponibilità alle cessioni intra Ue.

Il citato art. 45-bis prende in considerazione le seguenti fattispecie:

  • i beni sono spediti / trasportati dal cedente / da un terzo per suo conto;
  • i beni sono spediti / trasportati dall’acquirente / da un terzo per suo conto.
 

Trasporto / spedizione da parte del cedente

Il trasporto / spedizione si presume effettuato se il cedente è in possesso di:

  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dell’acquirente
  • ​un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione o il trasporto rilasciato da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 

Trasporto / spedizione da parte dell’acquirente

ll trasporto / spedizione si considera effettuato se il cedente è in possesso di:

  • una dichiarazione scritta dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati / spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente e che identifica lo Stato Ue di destinazione dei beni. In particolare la dichiarazione in esame, che l’acquirente deve fornire al cedente entro il decimo giorno successivo alla cessione, deve contenere i seguenti elementi:
     
  • data di rilascio
  • nome e indirizzo dell’acquirente
  • quantità e natura dei beni
  • data e luogo di arrivo dei beni
  • numero di identificazione del mezzo di trasporto nel caso di cessione di mezzi di trasporto
  • identificazione della persona che accetta i beni per suo conto
e
  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti dal cedente o dall’acquirente
o
  • un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione / trasporto, rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 
Tabella A
  • crm firmato
  • polizza di carico
  • fattura di trasporto aereo
  • fattura emessa dallo spedizioniere
 
Tabella B
  • polizza assicurativa relativa alla spedizione / trasporto di beni o documenti bancari attestanti il pagamento della spedizione / trasporto dei beni
  • documenti ufficiali rilasciati da una Pubblica Autorità che confermano l’arrivo dei beni nello Stato Ue di destinazione
  • ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato Ue di destinazione
 
Posto che gli elementi di prova devono essere rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra, dal cedente e dall’acquirente, la predetta disposizione non è applicabile alle cessioni per le quali il trasporto è effettuato in conto proprio dal cedente / acquirente.
 
 
La questione legata alle prove idonee a “garantire” la non imponibilità delle cessioni intra Ue è stata oggetto di diversi interventi da parte dell’Agenzia delle Entrate.
 
In particolare l’operatività della citata disposizione è stata esaminata dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 12.5.2020, n. 12/E, nell’ambito della quale sono richiamati innanzitutto i chiarimenti forniti prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis nei seguenti documenti di prassi:
  • risoluzioni 25.3.2013, n. 19/E, 15.12.2008, n. 477/E, 28.11.2007, n. 345/E e 24.7.2014, n. 71/E
  • risposta interpello 8.4.2019, n. 100.
Dopo aver confermato che le nuove disposizioni introdotte dal legislatore comunitario rappresentano una presunzione relativa circa l’avvenuto trasporto / spedizione dei beni in ambito Ue, l’Agenzia evidenzia che la stessa può essere riconosciuta anche con riferimento alle operazioni poste in essere anteriormente all’1.1.2020 (data di entrata in vigore della citata disposizione) a condizione che “il contribuente possieda un corredo documentale integralmente coincidente con le indicazioni” ivi richieste, con conseguente dimostrazione dell’avvenuto arrivo dei beni in un altro Stato Ue.

L’Agenzia conferma inoltre che è esclusa l’operatività della presunzione della movimentazione dei beni da uno Stato Ue ad un altro Stato Ue nel caso in cui il trasporto / spedizione sia effettuato direttamente dal cedente / acquirente senza l’intervento di altri soggetti (ad esempio, spedizioniere / trasportatore).

Ciò è stato evidenziato nell’ambito delle note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue nel mese di dicembre 2019. Infatti, in tale contesto,
gli elementi di prova non contradditori richiesti ai fini dell’applicazione della presunzione … devono … provenire da due parti indipendenti tra loro, dal venditore e dall’acquirente“.
 
Richiamando i chiarimenti forniti dalla commissione Ue nelle citate note esplicative, l’Agenzia specifica che non è possibile considerare due parti “indipendenti” quando le stesse fanno parte del medesimo soggetto giuridico. Ciò si riscontra, ad esempio, in presenza di stabile organizzazione e casa madre ovvero di soggetti legati da vincoli familiari o altri stretti legami personali, gestionali, associativi, proprietari, finanziari o giuridici (ad esempio, amministratore delegato e società amministrata, società legate da rapporti di controllo ex art. 2359, c.c).

In merito al rapporto tra le presunzioni di cui all’art. 45-bis e la prassi nazionale in materia di prova del trasporto / spedizione di una cessione intra Ue, l’Agenzia evidenzia che le autorità fiscali dei singoli Stati Ue conservano comunque la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuta movimentazione dei beni.

A tal fine l’Agenzia rappresenta le seguenti fattispecie:

  • l’amministrazione finanziaria entra in possesso di elementi che dimostrano che il trasporto intra Ue non è stato effettuato (a titolo esemplicativo nel corso di un controllo si riscontra che i beni sono ancora presenti nel magazzino del cedente o la distruzione dei beni durante il trasporto)
  • l’amministrazione finanziaria dimostra che uno o più documenti contengono informazioni non corrette o addirittura false
In ogni caso anche nelle predette situazioni, il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta.
Conclude, così, l’Agenzia affermando che nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis.
 

Dichiarazione di ricezione dei beni rilasciata dal destinatario

La sopra descritta questione è stata oggetto di un nuovo intervento dell’Agenzia delle Entrate. Con la risposta 3.3.2021, n. 141 è stato affrontato il caso di una società italiana esercente attività di sviluppo di soluzioni tecnologiche avanzate che effettua cessioni intra Ue sia con clausola “franco fabbrica” (la consegna dei beni è effettuata al vettore incaricato dall’acquirente Ue, presso la sede dell’operatore italiano) sia con clausola “franco destino” (rischi e spese di spedizione a carico del fornitore).

In caso di trasporto effettuato dal cedente / da un terzo per suo conto, la società intende “provare”, il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:

  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • fattura del vettore incaricato con evidenza delle consegne effettuate e documentazione attestante il pagamento della fattura;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
In caso di trasporto effettuato dall’acquirente Ue / da un terzo per suo conto, la società intende “provare” il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:
  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
Considerata la difficoltà di recuperare il “cmr” firmato anche dal destinatario dei beni, quale prova di ricezione degli stessi, la società, in conformità a quanto specificato nella citata risoluzione n. 19/E e nella citata risposta n. 100, intende richiedere all’acquirente un’attestazione che conferma l’avvenuta ricezione dei beni nel proprio Stato Ue, contenente tra l’altro:
  • identificativo dell’acquirente;
  • numero di partita Iva dell’acquirente;
  • numero e data della fattura di vendita;
  • importo della fattura di vendita;
  • indicazione del peso del materiale oggetto della fattura;
  • dichiarazione dell’acquirente di ricezione dei beni (“il sottoscritto conferma la ricezione e la consegna dei beni relativi alla sopra menzionata fattura“);
  • timbro e firma dell’acquirente.
Nella risposta in esame l’Agenzia richiama innanzitutto i chiarimenti forniti nelle citate note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue evidenziando in particolare che:
  • il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta;
  • l’art. 45-bis non preclude agli Stati membri l’applicazione di norme / prassi nazionali ulteriori in materia di prova delle cessioni intra Ue, “eventualmente più flessibili della presunzione prevista dal regolamento Iva”.
Confermando quanto precisato nella citata circolare n. 12/E nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, ossia che continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis, l’Agenzia conclude affermando che le indicazioni contenute nella citata risoluzione n. 19/E riguardanti la conservazione della documentazione attestante la prova del trasporto / spedizione del bene da parte del fornitore, la sua esibizione e la tempistica di acquisizione, sono ancora valide. In ogni caso, sottolinea l’Agenzia che, l’idoneità dei documenti individuati dalla prassi nazionale “è comunque soggetta alla valutazione, caso per caso, dell’amministrazione finanziaria”.

(MF/ms)




Prova della cessione Intra anche con dichiarazione dell’acquirente

Con la risposta n. 141/2021 del 3 marzo, l’Agenzia delle Entrate si è nuovamente espressa in merito alle modalità di prova del trasporto o spedizione dei beni dall’Italia in un altro Stato membro, in occasione di una cessione intra-Ue di beni mobili, confermando i precedenti orientamenti.

Nel caso esaminato, il trasporto dei beni all’estero è effettuato secondo diverse modalità: talvolta è a cura della società cedente (o di un terzo per suo conto), altre volte è a cura dei cessionari Ue (o di terzi per loro conto).

A sostegno dell’applicazione del regime di non imponibilità, di cui all’art. 41 comma 1 del DL 331/93 all’operazione di cui trattasi, la società cedente ha implementato una procedura di conservazione della documentazione contabile e fiscale finalizzata ad attestare l’effettiva movimentazione dei beni dall’Italia a un altro Stato membro mediante il seguente set documentale:

  • fattura di vendita emessa nei confronti del cliente Ue;
  • elenchi riepilogativi recanti le cessioni intraunionali effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento della merce;
  • copia del contratto o dell’ordine/conferma di vendita o di acquisto dai quali risultino gli impegni assunti con il cliente o gli accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • DDT emesso dal cedente italiano con indicazione della destinazione dei beni, normalmente firmato dal trasportatore per presa in carico della merce;
  • documento di trasporto CMR firmato dal trasportatore per presa in carico della merce e dal destinatario per ricevuta.
La descritta procedura si applica a prescindere dalla circostanza che il trasporto sia curato dal cedente nazionale o dal cessionario Ue (o da terzi per loro conto), con l’unica accortezza di conservare, nel primo caso, anche la fattura del vettore incaricato della consegna e la documentazione comprovante il pagamento del corrispettivo pattuito per il trasporto delle merci.
Inoltre, considerata la difficoltà nel recupero del CMR firmato anche dal destinatario dei beni, per avvenuta ricezione degli stessi, è stata implementata una particolare procedura di attestazione da parte del cessionario che confermi l’avvenuta ricezione della merce nello Stato membro di destinazione.
Detta attestazione, controfirmata e timbrata dal cessionario, reca tra l’altro: l’identificativo e il numero di partita IVA del cessionario; il numero della fattura di vendita, oltre che la data e l’importo della stessa, l’indicazione del peso del materiale ricevuto, nonché una specifica dichiarazione del cliente il quale “conferma la ricezione e la consegna dei beni relativi alla sopra menzionata fattura”.

La società istante ha chiesto conferma della liceità della procedura in considerazione delle disposizioni dell’art. 45-bis del Regolamento Ue n. 282/2011, efficaci dal 1° gennaio 2020, che hanno uniformato le regole in materia di prova dell’avvenuto trasporto in relazione alle cessioni intra-Ue, introducendo una presunzione relativa.
L’Agenzia delle Entrate, conferma quanto espresso con la circolare n. 12 del 12 maggio 2020, ossia che può continuare ad applicarsi la prassi nazionale emanata anteriormente alle norme regolamentari unionali, in tutti i casi in cui non si renda applicabile la presunzione contenuta in queste ultime disposizioni.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria, con la risposta a interpello n. 100/2019, richiamando la precedente ris. n. 19/2013, già aveva riconosciuto la validità, ai fini della prova delle cessioni intracomunitarie “franco fabbrica” (EXW), dell’utilizzo del CMR elettronico unitamente a un insieme di documenti dal quale si possono ricavare le medesime informazioni presenti nello stesso e le firme dei soggetti coinvolti (cedente, vettore, e cessionario). Tali documenti, per essere idonei a fornire la prova della cessione, secondo l’Agenzia, devono essere “conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle predette cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat”.

Si rammenta che, facendo riferimento alla prassi nazionale emanata in materia, ai fini di provare l’avvenuto trasporto in un altro Stato membro, resta ferma la valutazione, caso per caso, da parte dell’Amministrazione finanziaria.
(MF/ms)