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Intrastat: chiarimenti su sanzioni e ravvedimento

A seconda della tipologia di violazioni commesse, gli adempimenti connessi agli elenchi Intrastat possono essere sanati o meno in ravvedimento operoso, ex art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997.

Diciamo subito che per le violazioni di tipo statistico ossia relative ai dati di tipo statistico, la norma da prendere in considerazione è l’art. 34, comma 5, del D.L. n. 41/1995, che rinvia all’art. 11 del D.Lgs. n. 322/1989 il quale stabilisce una sanzione: da 206 a 2.065 euro per le violazioni commesse da persone fisiche; da 516 a 5.164 euro in caso di enti e società.

Le sanzioni sono applicate una sola volta per ogni elenco Intrastat mensile inesatto o incompleto a prescindere dal numero di transazioni mancanti o riportate in modo errato nell’elenco stesso.

Per tale tipo di violazioni che non hanno natura tributaria non è ammesso il ravvedimento operoso.

Per le violazioni di tipo fiscale invece si potrà ricorrere al ravvedimento.

La sanzione va da 500 euro a 1.000 euro per ciascun degli elenchi non trasmessi o trasmessi in ritardo (art. 11, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997).

Viene sanzionata anche la tardività nell’invio e la violazione non è mai meramente formale (Agenzia delle Entrate, ris. 16 febbraio 2005, n. 20).

La sanzione è ridotta alla metà in caso di presentazione nel termine di trenta giorni dalla richiesta inviata dagli uffici.

La sanzione non si applica se i dati mancanti o inesatti vengono integrati o corretti anche a seguito di richiesta.

Sulle sanzioni dovranno essere calcolate le riduzioni da ravvedimento.
 

Correzione Intrastat Omesso/invio tardivo
 
Riduzione
 
Importo da versare Ipotesi di ravvedimento
1/9 € 55,56 Entro 90 giorni dalla scadenza del termine di presentazione
1/8 € 62,50 Entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione
1/7 € 71,43 Oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione
Ecc.  
Non si applica l’abbattimento a 1/10 perché tale riduzione riguarda solo la presentazione delle dichiarazioni.
 
(MF/ms)



Cessioni Intra, dubbi sulla data di decorrenza per la prova dell’avvenuto trasporto

L’art. 2 del DLgs. 87/2024 ha definito un nuovo regime sanzionatorio nell’ambito delle cessioni intracomunitarie di beni con trasporto o spedizione a cura del cessionario.

Con la modifica dell’art. 7 comma 1 del DLgs. 471/97, è stata introdotta una sanzione pari al 50% dell’IVA non applicata, in capo a chi effettua cessioni intracomunitarie in regime di non imponibilità, se i beni trasportati o spediti non risultano pervenuti nello Stato membro Ue di destinazione entro 90 giorni dalla consegna.

La sanzione descritta non è prevista, tuttavia, se nei 30 giorni successivi, la fattura viene regolarizzata ed è eseguito il versamento dell’IVA.

La normativa è allineata a quella già vigente (sebbene anch’essa revisionata dal DLgs. 87/2024) per le cessioni all’esportazione.

Anche per tali operazioni non imponibili, difatti, se il trasporto o la spedizione dei beni al di fuori del territorio dell’Ue non avviene entro 90 giorni, è prescritta una sanzione del 50% dell’imposta non applicata (prima del DLgs. 87/2024 la sanzione era, invece, compresa tra il 50% e il 100% dell’imposta).

Si precisa che la nuova disciplina concerne le sole cessioni intracomunitarie il cui trasporto o spedizione è a cura (o per conto) del cessionario, il cui regime di non imponibilità IVA è previsto dall’art. 41 comma 1 del DL 331/93 (nell’ambito della stessa norma che regola le cessioni “curate” dal cedente).

Ciò non di meno, gli operatori dovranno porre attenzione anche a quelle vendite, i cui beni sono destinati a un soggetto stabilito in un altro Stato membro, che sono originariamente concepite con il trasporto a carico del cedente. Nella prassi commerciale può, infatti, accadere che, nelle more dell’avvio del trasporto o spedizione, sia il cessionario a ritirare i beni presso la sede del cedente stesso (in ragione, generalmente, di sopravvenute esigenze organizzative o logistiche).

Sul piano della decorrenza, l’art. 5 del DLgs. 87/2024 prescrive che le disposizioni di modifica al D.Lgs. 471/97 “si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024”.

Il contenuto della norma si presta a due possibili interpretazioni.

La più immediata potrebbe condurre a ritenere che il nuovo regime sanzionatorio, introdotto per le cessioni intracomunitarie, riguardi le sole cessioni il cui momento di effettuazione si è verificato a partire dal 1° settembre 2024 (escludendo, quindi, quelle “effettuate” in precedenza, ancorché il termine di 90 giorni per fornire la prova decorra successivamente a tale data).

Se si segue questo criterio interpretativo si dovrebbe, in sostanza, considerare quale data della violazione quella in cui la cessione si considera effettuata a norma dell’art. 39 del DL 331/93 e quindi:

  • in linea generale, la data di inizio del trasporto o spedizione dal territorio dello Stato italiano (fatta eccezione per le cessioni con effetti traslativi o costitutivi differiti e per le cessioni in dipendenza di un contratto di “call-off stock”);
  • la data di emissione della fattura, se anteriore all’inizio del trasporto o spedizione, nei limiti dell’importo fatturato.
Possibile includere i beni consegnati prima del 1° settembre

Una diversa e forse più ragionevole tesi porterebbe, invece, a includere nella nuova disciplina sanzionatoria tutte le cessioni intracomunitarie per le quali il termine di 90 giorni (entro il quale fornire la prova di uscita dei beni dal territorio nazionale) non è ancora decorso al 1° settembre 2024 (sebbene il momento di effettuazione della cessione si sia realizzato prima di tale data).

Sarebbe, ad esempio, il caso di beni che sono stati consegnati al cessionario per il trasporto o spedizione all’estero il 7 agosto 2024, per i quali non è pervenuta entro 90 giorni (7 novembre 2024) la prova di arrivo della merce in un altro Stato membro. Se i beni non sono giunti a destinazione e in assenza di una regolarizzazione della fattura (con versamento dell’IVA che non era stata applicata), si renderebbe quindi dovuta la nuova sanzione pari al 50% dell’imposta.

Questa impostazione avrebbe, dunque, un ambito applicativo più ampio sul piano temporale e meriterebbe di trovare conferma espressa da parte dell’Amministrazione finanziaria.
 

(MF/ms)




Cessioni intracomunitarie: entro 90 giorni l’uscita dei beni

Con il decreto “sanzioni” (art. 2 del DLgs. 87/2024), emanato in attuazione della legge delega di riforma fiscale, è stata introdotta una nuova disposizione concernente il termine entro il quale effettuare le cessioni intracomunitarie di beni con trasporto o spedizione a cura del cessionario.

Il nuovo tenore dell’art. 7 comma 1 del DLgs. 471/97 stabilisce che è soggetto a una sanzione pari al 50% dell’imposta chi effettua cessioni intracomunitarie in regime di non imponibilità IVA, nella circostanza in cui i beni trasportati o spediti – a cura del cessionario non residente – non siano pervenuti nello Stato membro Ue di destinazione entro 90 giorni dalla consegna.

La sanzione descritta non si applica, tuttavia, se nei 30 giorni successivi la fattura è regolarizzata ed è eseguito il versamento dell’IVA.

Quanto alla decorrenza, l’art. 5 del DLgs. 87/2024 stabilisce che le modifiche al DLgs. 471/97 riguardano le “violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024”.

Secondo le intenzioni del legislatore, emergenti dalla relazione illustrativa allo schema di DLgs., la disposizione è introdotta “per coerenza” rispetto alla disciplina delle cessioni all’esportazione, per le quali l’art. 7 comma 1 del DLgs. 471/97 già prescrive una sanzione del 50% dell’IVA non applicata se il trasporto o la spedizione dei beni al di fuori del territorio dell’Ue non avviene entro 90 giorni dalla consegna (prima del DLgs. 87/2024 la sanzione era, invece, compresa tra il 50% e il 100% dell’imposta).

Appare, dunque, necessario, a un primo esame, comprendere se vi siano i presupposti per ritenere pienamente giustificata una siffatta “coerenza” tra il nuovo regime sanzionatorio per le cessioni intracomunitarie e quello vigente per le cessioni all’esportazioni.

Si osserva innanzitutto che, a livello normativo, diversamente dall’art. 8 comma 1 lett. b) del DPR 633/72 (riferito alle esportazioni con trasporto o spedizione a carico del cessionario extra Ue), la disciplina delle cessioni intracomunitarie, di cui all’art. 41 comma 1 del DL 331/93, è la medesima per le vendite curate dal cedente e per quelle curate dal cessionario e, soprattutto, non contempla un termine per l’invio dei beni all’estero. Né una tale condizione è stata inserita nella riforma derivante dai “quick fixes” (come, ad esempio, l’obbligo di presentare gli elenchi INTRA vendite).

In breve, la necessità di provare la ricezione entro il termine di 90 giorni, non prevista dalla legislazione sul regime di non imponibilità IVA, sarebbe “imposta” dalla norma sanzionatoria.

Nella fattispecie, verrebbe prevista, a carico dei soggetti unionali, una condizione (quella di invio dei beni entro un determinato termine) che, per le operazioni intracomunitarie, non consta nella direttiva 2006/112/Ce, nel Reg. Ue n. 282/2011 e nel DL 331/93 (modificati nell’ambito dei c.d. “quick fixes”).

Né sembrerebbe confacente invocare il principio di uguaglianza (o “non discriminazione”), in forza del quale non è possibile riconoscere a un soggetto unionale minori diritti (o maggiori oneri) rispetto a un soggetto di un Paese terzo (si pensi all’istituto del deposito IVA Ue, a fronte dell’esistente regime di deposito doganale per le merci extra Ue). Peraltro, anche le necessarie esigenze di tutela erariale non paiono così fortemente stringenti, se si rammenta che, in ambito Ue, sussistono strumenti accertativi rafforzati (su tutti, la cooperazione amministrativa tra Stati membri).

Un termine inerente la ricezione dei beni nello Stato membro di destinazione è rinvenibile all’art. 45-bis par. 1 del Reg. Ue n. 282/2011, ove sono individuati i documenti che possono costituire presunzione di invio della merce all’estero ai fini dell’Amministrazione finanziaria (la quale può, comunque, rifiutarla).

Tra le presunzioni, per provare il regime unionale di esenzione da IVA ex art. 138 della direttiva 2006/112/Ce, è richiesto al venditore il possesso di una dichiarazione scritta dell’acquirente, la quale certifichi che “i beni sono stati trasportati o spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente, e che identifica lo Stato membro di destinazione dei beni”. Tale dichiarazione scritta, secondo il Regolamento, “indica la data di rilascio; il nome e l’indirizzo dell’acquirente; la quantità e la natura dei beni; la data e il luogo di arrivo dei beni” e “l’identificazione della persona che accetta i beni per conto dell’acquirente”.

La dichiarazione scritta va resa “entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione”. Tuttavia, si tratta di un termine ordinatorio, tant’è che, nell’ambito delle note esplicative ai “quick fixes”, la Commissione europea ha osservato che, anche laddove la dichiarazione scritta dell’acquirente sia fornita dopo la scadenza dei 10 giorni, è comunque possibile per il cedente avvalersi della presunzione di invio dei beni nell’altro Stato membro, sempreché siano soddisfatte le altre condizioni di cui all’art. 45-bis del Reg. Ue n. 282/2011.

In conclusione, la base giuridica della nuova norma nazionale potrebbe essere rinvenibile nel più generale art. 131 della direttiva 2006/112/Ce, che subordina le esenzioni della direttiva stessa “alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso”. In questo senso, anche la Corte Ue aveva riconosciuto la legittimità di un termine di uscita dei beni dal territorio nazionale, seppur entro certi limiti (causa C-563/12).

(MF/ms)




Cessioni IntraUe: valida la dichiarazione postuma del cessionario

Nelle cessioni intracomunitarie la prova della fuoriuscita dei beni dal territorio nazionale può essere fornita dal cedente anche con dichiarazione postuma del cessionario della ricezione della merce, atteso che l’isteresi temporale non è pregiudizievole all’applicazione del beneficio dell’esenzione ai fini IVA prevista dall’art. 41 del DL 331/93 e dalla normativa Ue in materia.

È questo il recente chiarimento fornito dalla C.G.T. II del Lazio con la sentenza n. 2338 del 2024.

In termini generali, ai sensi delle disposizioni richiamate, sono non imponibili ai fini IVA le cessioni a titolo oneroso di beni trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro dal cedente, dall’acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di soggetti passivi d’imposta.

In sostanza, affinché un’operazione possa essere qualificata come una cessione intracomunitaria devono sussistere congiuntamente alcuni elementi quali, l’onerosità dell’operazione, l’acquisizione o trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni, lo status di operatore economico del cedente nazionale e del cessionario Ue e l’effettiva movimentazione del bene dall’Italia a un altro Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

Ed è proprio sulla prova di quest’ultimo requisito che si sono concentrate le contestazioni dell’Agenzia delle Dogane nel caso in esame.

In particolare, a seguito di una verifica sull’applicazione dell’IVA alle cessioni intracomunitarie operate da una srl, l’Agenzia ha ritenuto carente la documentazione fornita a supporto per dimostrare l’effettiva uscita della merce dal territorio nazionale.

La srl aveva presentato quindi ricorso sostenendo che, con riferimento alle operazioni della società in ambito Ue, nel caso di specie ricorressero tutti gli elementi costitutivi per qualificare le operazioni cessioni intracomunitarie.

L’Agenzia, per altro verso, sosteneva che la documentazione fornita dalla srl non fosse sufficientemente probante e idonea a dimostrare la fuoriuscita dei beni dal territorio dello Stato e il trasferimento degli stessi al cessionario con sede in altro Stato membro, in quanto per una parte delle fatture di vendita la società non aveva esibito la lettera di vettura attestante la spedizione al di fuori dello Stato.

La C.G.T. II del Lazio riconosce le ragioni della srl. Difatti, la dichiarazione del cessionario di ricezione della merce, sebbene postuma, non incide sul beneficio del regime di non imponibilità IVA atteso che l’art. 41 del DL 331/93, così come la normativa Ue in materia, prevedono che anche le dichiarazioni rese successivamente all’operazione, come nel caso di specie, possono certificare la realità dell’operazione di trasferimento di merci da uno Stato membro Ue all’altro.

Si ricorda che in merito alla prova delle cessioni intracomunitarie importanti chiarimenti sono stati forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 12 del 2020, anche a seguito nell’introduzione in ambito unionale delle disposizioni dell’art. 45-bis del Regolamento Ue n. 282/2011, efficaci dal 1° gennaio 2020 e delle successive disposizioni di chiarimento con le Note Esplicative sui “quick fixes 2020”, che hanno uniformato le regole in materia di prova dell’avvenuto trasporto in relazione alle cessioni intra-Ue.

Secondo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate il soggetto passivo ha facoltà di dimostrare l’arrivo a destino della merce seguendo le indicazioni della prassi nazionale, in quanto il menzionato Regolamento non preclude l’applicazione di norme o prassi nazionali ulteriori rispetto a quelle unionali ed eventualmente più flessibili.

L’Amministrazione finanziaria a tale riguardo con precedente prassi aveva già riconosciuto la validità, ai fini della prova dell’avvenuta ricezione della merce in altro Paese Ue nelle cessioni intracomunitarie, della dichiarazione del cliente di ricezione della merce che contenga, oltre agli estremi delle fatture di vendita, l’anno di ricezione (si vedano la risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 100/2019 e le ris. nn. 19/2013 e 477/2008).

Tali precisazioni risultano di fondamentale importanza soprattutto per le vendite caratterizzate dal trasporto a carico del cliente estero, e in particolare nelle cessioni con clausola Incoterms “franco-fabbrica” (EXW), per le quali può risultare di fatto difficile recuperare una CMR o lettera di vettura firmata dal trasportatore, oltreché ulteriori documenti e ove la prova dell’arrivo della merce in altro Paese Ue può essere più facilmente fornita dalla dichiarazione di ricezione della merce da parte del cliente.

Alla luce della recente pronuncia, la dichiarazione di ricezione della merce attestante l’effettiva spedizione delle merci nazionali dall’Italia a un cliente con sede in un altro Paese dell’Ue, quindi intracomunitario, benché postuma, è soddisfacente e adeguata per poter dar prova della cessione intracomunitaria e beneficiare del regime di non imponibilità.

(MF/ms)




Cosa fare in caso di mancata ricezione fattura acquisti servizi Intra-Ue

In ambito intracomunitario occorre emettere un’autofattura in caso di mancato (o irregolare) ricevimento della fattura da parte del fornitore UE.

Vediamo insieme con un esempio pratico i principali dubbi che possono riguardare l’operazione.

Si consideri la Alfa Srl, che in data 10.02 (data pagamento) ha effettuato online un acquisto intracomunitario di servizi.

Decorsi due mesi dall’operazione (10.04), se il fornitore non provvede all’emissione della fattura, Alfa è obbligata ad emettere autofattura.

Tale autofattura deve essere annotata entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (ai sensi dell’art. 47, comma 1, D.L. n. 331/1993).

Obbligo di emissione elettronica? 
Il dubbio riguarda però l’obbligo o meno di procedere con l’emissione dell’autofattura in formato elettronico (tipo documento TD20) ovvero se sia possibile:

  • emettere il documento anche in formato cartaceo,
  • inviando poi il file xml generato (tipo documento TD17) ai fini dell’esterometro.
Soluzione: premesso che, per quanto consta, ad oggi l’Agenzia delle Entrate non si è mai espressa direttamente, per affrontare la questione è necessario partire dai principali punti di riferimento normativi e di prassi.

In particolare, a norma dell’art. 46, comma 5, D.L. n. 331/1993 “Il cessionario di un acquisto intracomunitario di cui all’articolo 38, commi 2 e 3, lettere b) e c), che non ha ricevuto la relativa fattura entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, deve emettere entro il giorno 15 del terzo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione stessa la fattura di cui al comma 1, in unico esemplare …”

Con riferimento al tipo documento TD20, la Guida dell’Agenzia delle Entrate sulla fatturazione elettronica puntualizza che, nelle ipotesi riportate dal comma 5 ed in quelle ad esse assimilate “ossia qualora a fronte di un acquisto intracomunitario di cui all’articolo 38, commi 2 e 3, lettere b) e c), di una prestazione di servizi rilevante nel territorio dello Stato resa da un prestatore UE o di acquisto di beni già presenti in Italia da fornitore UE, il C/C non abbia ricevuto la relativa fattura entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione … deve emettere un’autofattura e può farlo trasmettendo allo SDI una tipologia “TipoDocumento” TD20, indicando l’imponibile, la relativa imposta e gli importi per i quali non si applica l’imposta. Nell’autofattura dovrà indicare come C/P l’effettivo cedente o prestatore e come C/C sé stesso.”

In merito alla registrazione viene altresì specificato che: “Nel caso di emissione di un’autofattura ai sensi dell’articolo 46, comma 5 del D.L. n. 331/1993, l’autofattura trasmessa dal cessionario è annotata sia nel registro delle fatture emesse che nel registro delle fatture ricevute e l’IVA è assolta in liquidazione.”

In sintesi, posto che né la norma né i documenti di prassi nulla dispongono nel merito, sembrerebbe possibile inferire che l’emissione dell’autofattura ex art. 46, comma 5, sia possibile anche in formato non elettronico.

Con la differenza che:

  • mentre l’emissione del TD20 esaurisce gli obblighi dell’acquirente, avendo lo scopo di assolvere l’IVA in liquidazione;
  • ove si proceda con l’emissione del TD17 lo stesso va comunque inviato allo SDI ai fini dell’esterometro (e ciò sia nel caso in cui si emetta un’autofattura con TD20 sia che si proceda con il TD20. In ipotesi di ritardato invio (ma con tempestiva emissione), in questo caso, le sanzioni in questo ammonterebbero a 2,00 euro.
 

(MF/ms)




Nuovi modelli Intrastat: indicazione origine merce

In base alla determinazione dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli n. 493869/2021, nei modelli Intrastat relativi alle cessioni intracomunitarie (elenco Intra-1 bis) effettuate a partire dal 2022 è necessario indicare il dato relativo all’origine non preferenziale, da individuarsi sulla base delle regole doganali.

Tale informazione, riferita al Paese di origine della merce spedita (colonna 15), rilevante ai fini statistici del modello, è obbligatoria e aggiuntiva rispetto al dato della provincia di provenienza o di produzione dei beni.

Quest’ultimo elemento (provincia di origine o di produzione della merce) è attestato nella colonna 14 del modello Intra-1 bis, mediante la sigla automobilistica della provincia di riferimento (si veda l’elenco 1 secondo le istruzioni aggiornate, di recente, con la determinazione n. 493869/2021).

Qualora non sia un’informazione nota o essa sia estranea all’ambito nazionale, è riportata la provincia di spedizione della merce. 

Per quanto attiene, invece, al campo relativo al Paese di origine dei beni ceduti (colonna 15), lo stesso andrà rappresentato indicando il codice Iso dello Stato di origine della merce, il quale deve essere individuato in funzione di ciò che prevedono l’art. 60 del Regolamento Ue n. 952/2013 (Codice doganale dell’Unione o, in breve, Cdu) e l’art. 31 ss. del Regolamento Ue n. 2446/2015 (Regolamento delegato).

I beni interamente ottenuti in un unico Paese sono considerati originari di tale Paese.

Tra le merci che si considerano “interamente ottenute” in un Paese o territorio, sono stati individuati: i prodotti minerali ivi estratti, i prodotti del regno vegetale ivi raccolti, gli animali vivi, ivi nati e allevati, i prodotti provenienti da animali vivi ivi allevati, i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate, ecc.

Più complessa è l’individuazione dell’origine non preferenziale dei beni alla cui produzione contribuiscano due o più Stati.

I beni di questa categoria sono considerati originari del Paese in cui i medesimi hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata presso imprese attrezzate, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

In merito all’individuazione delle “imprese attrezzate” per la trasformazione o lavorazione sostanziale, si deve tenere conto degli elementi fattuali che attestino la “comprovata sussistenza dei requisiti tecnico-organizzativi che consentano di effettuare quelle lavorazioni / trasformazioni considerate significative ai fini dell’attribuzione dell’origine non preferenziale” (nota Agenzia delle Dogane e dei monopoli n. 70339/2018).

L’art. 34 del Cdu, inoltre, prevede un’elencazione di lavorazioni c.d. “minime”, ossia attività volte solo a migliorare l’aspetto esteriore delle merci o di mera conservazione, le quali sono sempre considerate inidonee al conferimento dell’origine.

Al fine di individuare la lavorazione sostanziale idonea ad attribuire al bene l’origine non preferenziale, è possibile fare riferimento all’allegato 22-01 del Regolamento Delegato, limitatamente ai beni ivi compresi.

Per i beni che, invece, non sono contemplati dal richiamato Allegato, si fa rinvio alle regole di lista indicate dalla Commissione europea – direzione generale TAXUD (https://ec.europa.eu/taxation_customs/table-list-rules-applicable-products-following-classification-cn_en), pur prive di valore vincolante per gli operatori (nota Agenzia delle Dogane n. 70339/2018).

Sul tema, è, inoltre, da considerare il recente Regolamento Ue n. 1934/2021, il quale stabilisce che, in caso di lavorazione o trasformazione minima realizzata in più Paesi, la loro ultima trasformazione sostanziale viene attribuita allo Stato di cui è originaria la maggior parte dei materiali.

Dunque, in base all’appena menzionato Regolamento, qualora il prodotto finale debba essere classificato:

  • nei capitoli da 1 a 29 o da 31 a 40 del sistema armonizzato, la quantificazione della maggior parte dei materiali andrà determinata in base al peso degli stessi;
  • nel capitolo 30 o nei capitoli da 41 a 97 del sistema armonizzato, la maggior parte dei materiali andrà quantificata sulla base del valore degli stessi.
Certificati richiedibili in Camera di Commercio

Il rilascio del certificato che attesta l’origine non preferenziale di un bene è a cura della Camera di Commercio competente in relazione alla sede legale, sede operativa o unità locale del soggetto richiedente (es. speditore, spedizioniere doganale delegato o rappresentante fiscale). La domanda deve essere presentata in modalità telematica, attraverso l’apposita piattaforma delle Camere di Commercio (Cert’o) ed essere firmata digitalmente dal richiedente (nota Ministero dello Sviluppo economico n. 62321/2019).

Da ultimo, si evidenzia che i certificati di origine sono espressamente esclusi dal novero dei documenti che possono essere rilasciati mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi dell’art. 49 comma 1 del Dpr 445/2000.

(MF/ms)
 




Modelli Intrastat 2022: la nuova struttura

Con la determinazione n. 493869/2021 dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli, d’intesa con le Entrate e l’Istat, sono stati approvati i nuovi modelli Intrastat e le nuove istruzioni di compilazione.

Le nuove modalità di presentazione si applicano a decorrere dalle operazioni effettuate nell’anno 2022. 

Sono confermate le precedenti modalità per gli elenchi riferiti al quarto trimestre 2021 o al mese di dicembre 2021, da presentare entro il 25 gennaio 2022.

La presentazione dei modelli Intrastat relativi alle vendite ha, oltretutto, assunto valore costitutivo ai fini del regime di non imponibilità Iva delle cessioni intracomunitarie, ai sensi dell’art. 41 comma 2-ter del Dl 331/93, fermi gli altri requisiti che qualificano le suddette cessioni.

Riepilogando le principali modifiche applicabili agli elenchi aventi periodi di riferimento decorrenti dal 1° gennaio 2022, si evidenzia che, per le cessioni di beni (modello Intra-1 bis):

  • i dati relativi alla natura della transazione sono stati disaggregati in due colonne A e B (quest’ultima obbligatoria solo per quei soggetti che hanno realizzato nell’anno precedente, o in caso di inizio dell’attività, presumono di realizzare nell’anno in corso, un valore delle spedizioni non superiore a 20 milioni di euro);
  • è stata prevista una semplificazione per le spedizioni di valore inferiore a 1.000 euro, in base alla quale è possibile utilizzare il codice convenzionale “99500000”, senza la necessità di procedere con la scomposizione della Nomenclatura combinata (colonna 7);
  • è introdotto, ai fini statistici, il dato relativo al Paese di origine delle merci (colonna 15).
Con riferimento alle cessioni è, altresì, introdotta la sezione 5 del modello Intra-1, vale a dire il nuovo elenco Intra-1 sexies, per le operazioni in regime di “call-off stock”, alla luce della nuova disciplina di cui all’art. 41-bis del Dl 331/93.

Nel modello, sono fornite le informazioni relative all’identità e al numero di identificazione Iva del soggetto destinatario dei beni trasferiti in un altro Stato membro sulla base di un accordo di “call-off stock”.

La compilazione dell’elenco Intra-1 sexies diviene, così, un adempimento che si aggiunge alla tenuta del registro di cui all’art. 50 comma 5-bis del Dl 331/93, ove riportare l’identità e il numero di partita Iva del soggetto passivo destinatario dei beni.

La tenuta del registro è, infatti, una delle nuove condizioni per il regime di “call-off stock” ai sensi del richiamato art. 41-bis del Dl 331/93.

Per gli acquisti di beni (modello Intra-2 bis), è confermata l’abolizione della presentazione su base trimestrale.

Per i soggetti tenuti alla presentazione mensile, la soglia di presentazione è innalzata a 350.000 euro (per gli acquisti effettuati nel trimestre o in almeno uno dei quattro trimestri precedenti), rispetto alla precedente soglia di 200.000 euro.

Inoltre, negli elenchi relativi agli acquisti intracomunitari di beni (Intra-2 bis) non sono più rilevate le informazioni relative allo Stato del fornitore, al codice Iva del fornitore e all’ammontare delle operazioni in valuta.

Come già rilevato per le cessioni, anche per gli acquisti di beni:

  • è possibile avvalersi del codice convenzionale “99500000”, nel caso di spedizioni di valore inferiore a 1.000 euro, senza disaggregare il dato della nomenclatura combinata;
  • i dati relativi alla natura della transazione sono stati suddivisi in due colonne A e B (quest’ultima non obbligatoria nel caso in cui il valore degli acquisti non superi 20 milioni di euro).
Relativamente alle prestazioni di servizi ricevute (modello Intra-2 quater), oltre alla conferma del venir meno dell’obbligo di presentazione su base trimestrale, rimane ferma la soglia di 100.000 euro (per almeno uno dei quattro trimestri precedenti).

Non è più prevista l’indicazione dei dati relativi al codice Iva del fornitore, all’ammontare delle operazioni in valuta, alla modalità di erogazione del servizio, alla modalità di incasso del corrispettivo, nonché al Paese di pagamento.

Resta possibile riepilogare, sommando i relativi importi, tutti i servizi ricevuti che presentano medesime caratteristiche, vale a dire il caso in cui siano uguali lo Stato della controparte, il codice del servizio, nonché il numero e la data della fattura (se forniti).
 

Abolito l’obbligo per le cessioni a San Marino

In via più generale, si rammenta che, per le operazioni effettuate dal 1° ottobre 2021, è venuto meno l’obbligo di indicare nei modelli i dati riferiti alle cessioni di beni verso San Marino anche laddove l’operazione sia certificata con fattura in formato cartaceo. Lo ha precisato un avviso dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli datato 16 dicembre 2021.

Il Dm 21 giugno 2021, infatti, nel disciplinare gli scambi tra i due Paesi, ha abrogato il precedente Dm 24 dicembre 1993, con effetti dal 1° ottobre 2021, abolendo di conseguenza l’obbligo di compilazione degli elenchi relativi alle vendite (Intra-1 bis e Intra-1 ter), per la sola parte fiscale, in riferimento alle cessioni di beni non imponibili dall’Italia a San Marino.

(MF/ms)
 




Cessione a San Marino: anche per le fatture cartacee cambia l’obbligo di indicare i dati nei modelli Intra

In relazione agli scambi con la Repubblica di San Marino, è venuto meno l’obbligo di indicare nei modelli Intra 1bis e Intra 1ter le informazioni riferite alla cessione di beni, anche laddove il soggetto obbligato emetta fattura in formato cartaceo: lo ha precisato l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli con un avviso pubblicato sul proprio sito.

Al riguardo si ricorda quanto segue:

  1. per effetto dell’art. 12 del decreto “Crescita” (Dl. n. 34/2019, convertito con modifiche dalla L. n. 58/2019), gli adempimenti relativi ai rapporti di scambio con la Repubblica di San Marino devono essere effettuati in via elettronica secondo modalità stabilite con apposito decreto ministeriale;
  2. tale norma è stata attuata con il Dm. 21 giugno 2021, entrato in vigore il 1° ottobre 2021 in sostituzione del Dm. 24 dicembre 1993;
  3. successivamente sono stati emanati i Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 2021/211273 e n. 2021/0248717.
Si ricorda che il richiamato Dm. 21 giugno 2021, stabilisce in particolare quanto segue:
  • sono non imponibili ai sensi degli artt. 8 e 9 del Dpr. n. 633/1972 le cessioni effettuate mediante trasporto o consegna dei beni nel territorio della Repubblica di San Marino, e i servizi connessi, da parte dei soggetti passivi Iva residenti, stabiliti o identificati in Italia, nei confronti di operatori economici che abbiano comunicato il numero di identificazione agli stessi attribuito dalla Repubblica di San Marino;
  • fatte salve talune eccezioni indicate dalla norma, è assimilato alle cessioni l’invio di beni nel territorio della Repubblica di San Marino, mediante trasporto o spedizione a cura del soggetto passivo in Italia o da terzi per suo conto;
  • in relazione alle cessioni di beni effettuate nell’ambito degli scambi tra Italia e San Marino (ex art. 71 del Dpr. n. 633/1972), dal 1° luglio 2022 dovrà essere emessa fattura elettronica attraverso il Sistema di interscambio;
  • gli operatori economici residenti, stabiliti o identificati in Italia, che per le cessioni di beni spediti o trasportati nella Repubblica di San Marino non sono obbligati ad emettere fattura elettronica, possono emettere alternativamente la fattura elettronica o cartacea;
  • è posto in capo al cessionario italiano che non abbia ricevuto fattura, o abbia ricevuto una fattura irregolare, l’obbligo di emettere la fattura stessa o provvedere alla sua regolarizzazione, nei termini di cui all’art. 6, comma 9-bis, del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471;
  • sono soggette ad Iva anche le cessioni di beni effettuate nei confronti di soggetti sammarinesi non operanti nell’esercizio di imprese, arti o professioni, mentre sono soggette ad imposta nella Repubblica di San Marino le cessioni di beni effettuate nei confronti di soggetti italiani non operanti nell’esercizio di imprese, arti o professioni.
(MF/ms)
 



Cessioni intracomunitarie di beni: requisiti necessari

Con quasi due anni di ritardo si è concluso l’iter normativo che porta al recepimento nell’ordinamento interno dei cosiddetti “2020 quick fixes”.

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 novembre il D.Lgs. 5 novembre 2021 n. 192, che entra in vigore il 1° dicembre 2021.

Il decreto integra e modifica alcune disposizioni del Dl 331/93 inerenti le cessioni e gli acquisti intra-Ue di beni.

Di primaria rilevanza è l’introduzione (art. 41 comma 2-ter) di due ferme condizioni affinché a una cessione di beni si possa riconoscere l’applicazione del regime di non imponibilità ai fini Iva, ossia che:

  • il cessionario comunitario abbia comunicato al cedente nazionale il numero identificativo Iva attribuitogli da uno Stato membro diverso dall’Italia;
  • il cedente nazionale abbia compilato l’elenco riepilogativo INTRASTAT (art. 50, comma 6) o ne abbia debitamente giustificato l’incompleta o mancata compilazione.
A seguito dell’emanazione del decreto, inoltre, la disciplina armonizzata per le operazioni in regime di “call-off stock” (art. 17-bis della direttiva 2006/112/Ce) trova collocazione rispettivamente nel nuovo art. 38-ter del Dl 331/93 per gli acquisti intra-Ue e nel neo introdotto art. 41-bis del Dl 331/93 per le cessioni all’interno dell’Unione.

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate aveva già da tempo riconosciuto l’applicazione del regime semplificativo in parola, seppure denominandolo “consignment stock” (R.M. nn. 235/96 e 44/2000).

Le disposizioni attribuiscono effetti sospensivi al trasferimento in altro Stato membro di beni propri per la costituzione di uno stock, fino a che il destinatario presso il quale detto stock è posto, prelevando le merci, non ne divenga proprietario.

Ne consegue che, al verificarsi di determinati presupposti, colui il quale trasferisce la giacenza non è tenuto a identificarsi ai fini Iva nello Stato di destinazione delle merci (come prescritto in via ordinaria dall’art. 41, comma 2, lett. c) del Dl 331/93).

Pertanto, ad esempio, con riferimento al citato art. 41-bis, il soggetto passivo Iva italiano pone in essere una cessione intra-Ue di beni se sono soddisfatte contemporaneamente le seguenti condizioni:

  • i beni sono spediti o trasportati dal soggetto passivo nazionale (o da un terzo per suo conto) dall’Italia a destinazione di un altro Stato membro, in previsione del fatto che, dopo il loro arrivo, detti beni saranno ceduti a un altro soggetto passivo che ha diritto di acquistarli in conformità di un accordo preesistente tra le spesse parti;
  • il soggetto passivo nazionale non ha la sede della propria attività o una stabile organizzazione nello Stato membro in cui i beni sono spediti;
  • il soggetto comunitario destinatario è identificato ai fini Iva nello Stato membro in cui i beni sono spediti o trasportati e la sua identità e il numero di identificazione sono noti al soggetto passivo italiano nel momento in cui ha inizio la spedizione o il trasporto dei beni;
  • il soggetto nazionale che spedisce o trasporta i beni annota detto trasferimento nel registro di cui all’art. 50, comma 5-bis del Dl 331/93 e inserisce l’identità e il numero identificativo Iva del soggetto destinatario negli elenchi INTRASTAT delle cessioni intra-Ue.
La cessione, tuttavia, ha luogo se e quando la proprietà delle merci è trasferita all’acquirente Ue, ovvero allo scadere del termine massimo di 12 mesi dall’arrivo nell’altro Stato membro. Viceversa, non ha luogo alcuna cessione qualora, entro il predetto termine, i beni sono rispediti in Italia e il soggetto nazionale ne annota il ritorno nel registro di cui all’art. 50, comma 5-bis del Dl 331/93.

In ultimo, il nuovo art. 41-ter regola le cessioni a catena, ossia quelle cessioni successive di beni che sono oggetto di un’unica spedizione o trasporto – da uno Stato membro a un altro – direttamente dal primo cedente all’ultimo acquirente.

Per quelle cessioni successive il cui trasporto inizia in Italia ed è effettuato da un operatore intermedio (un cedente diverso dal primo cedente), l’operazione non imponibile è quella effettuata nei confronti di detto operatore intermedio, salvo che questi non comunichi al suo fornitore un numero di partita Iva italiano; in tal caso, ha natura di cessione intra-Ue non imponibile quella posta in essere dall’operatore intermedio.

Si ricorda che sono già efficaci, dal 1° gennaio 2020, le regole armonizzate in tema di prova del trasporto o della spedizione dei beni nelle cessioni intra-Ue, di cui all’art. 45-bis del regolamento 282/2011, istitutive di una presunzione relativa, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento interno.

In chiusura, una notazione di natura terminologica sembra opportuna: il legislatore nazionale, probabilmente per ragioni sistematiche, continua a definire le operazioni “intracomunitarie” e non “intraunionali”, secondo la dizione adottata nelle direttive Ue da cui le norme promanano.

(MF/ms)
 




Prova cessioni Ue e dichiarazione di ricezione dei beni: precisazioni

Ai sensi dell’art. 138, Direttiva Ue n. 2006/112, alle cessioni intra Ue può essere applicato il regime di non imponibilità solo al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
  • il cedente / acquirente devono essere soggetti passivi d’imposta
  • la cessione deve essere a titolo oneroso
  • la cessione deve determinare il trasferimento della proprietà sul bene ceduto
  • i beni devono essere spediti / trasportati da uno Stato UE ad un altro
A livello nazionale, il citato art. 138 è stato recepito dall’art. 41, comma 1, lett. a), Dl n. 331/93, in base al quale le cessioni di beni effettuate da operatori italiani nei confronti di operatori Ue sono considerate operazioni non imponibili Iva in quanto alle stesse è applicabile il regime di tassazione nello Stato Ue di destinazione dei beni.

Affinché la cessione possa considerarsi “intra Ue”, è necessario che sussistano i seguenti requisiti:

1. soggettività passiva dell’acquirente in un altro Stato Ue (o ivi identificato)
2. onerosità dell’operazione
3. trasferimento della proprietà / altro diritto reale sul bene
4. destinazione dei beni in un altro Stato Ue

Essendo necessario il trasferimento dei beni in un altro Stato Ue, in quanto ciò consente di considerare non imponibile la cessione nello Stato di partenza ed imponibile nello Stato di destinazione dei beni, assume un ruolo rilevante la prova da parte del cedente del trasporto / spedizione dei beni.

La Direttiva UE n. 2018/1910 ha modificato il citato art. 138 attribuendo rilevanza sostanziale:

  • al fatto che il cedente / acquirente siano dotati di un numero identificativo IVA e siano iscritti al Vies
  • alla corretta compilazione dell’elenco riepilogativo (mod. Intra) da parte del cedente
Tali disposizioni, che dovevano trovare applicazione dall’1.1.2020, sono in corso di recepimento nell’ordinamento nazionale nell’ambito della c.d. “Legge europea 2019-2020” (il “ritardo” è stato oggetto di una specifica procedura di infrazione 2020/0070).
 
Prova dell’uscita dei beni

Tra le condizioni per la non imponibilità di una cessione intra Ue è richiesto il possesso di adeguate prove documentali in grado di attestare che i beni oggetto della cessione siano stati effettivamente trasferiti in un altro Stato Ue.

In materia di prove da fornire per giustificare la non imponibilità, l’art. 131, Direttiva n. 2006/112/Ce lascia ai singoli Stati membri la facoltà di disciplinare le condizioni per l’applicazione del regime stesso (il legislatore nazionale non si è avvalso di tale facoltà).
 

Regolamento Ue Nr. 2018/1912

A decorrere dall’1.1.2020 è entrato in vigore il Regolamento Ue n. 2018/1912 contenente il regime probatorio del trasferimento dei beni delle cessioni intra Ue.

In particolare il citato regolamento Ue ha introdotto il nuovo art. 45-bis al regolamento n. 282/2011 che individua le “prove” al verificarsi delle quali si presume che i beni siano stati spediti / trasportati dal territorio di uno Stato Ue di partenza diverso da quello di destinazione e pertanto consente l’applicazione della non imponibilità alle cessioni intra Ue.

Il citato art. 45-bis prende in considerazione le seguenti fattispecie:

  • i beni sono spediti / trasportati dal cedente / da un terzo per suo conto;
  • i beni sono spediti / trasportati dall’acquirente / da un terzo per suo conto.
 

Trasporto / spedizione da parte del cedente

Il trasporto / spedizione si presume effettuato se il cedente è in possesso di:

  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dell’acquirente
  • ​un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione o il trasporto rilasciato da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 

Trasporto / spedizione da parte dell’acquirente

ll trasporto / spedizione si considera effettuato se il cedente è in possesso di:

  • una dichiarazione scritta dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati / spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente e che identifica lo Stato Ue di destinazione dei beni. In particolare la dichiarazione in esame, che l’acquirente deve fornire al cedente entro il decimo giorno successivo alla cessione, deve contenere i seguenti elementi:
     
  • data di rilascio
  • nome e indirizzo dell’acquirente
  • quantità e natura dei beni
  • data e luogo di arrivo dei beni
  • numero di identificazione del mezzo di trasporto nel caso di cessione di mezzi di trasporto
  • identificazione della persona che accetta i beni per suo conto
e
  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti dal cedente o dall’acquirente
o
  • un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione / trasporto, rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 
Tabella A
  • crm firmato
  • polizza di carico
  • fattura di trasporto aereo
  • fattura emessa dallo spedizioniere
 
Tabella B
  • polizza assicurativa relativa alla spedizione / trasporto di beni o documenti bancari attestanti il pagamento della spedizione / trasporto dei beni
  • documenti ufficiali rilasciati da una Pubblica Autorità che confermano l’arrivo dei beni nello Stato Ue di destinazione
  • ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato Ue di destinazione
 
Posto che gli elementi di prova devono essere rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra, dal cedente e dall’acquirente, la predetta disposizione non è applicabile alle cessioni per le quali il trasporto è effettuato in conto proprio dal cedente / acquirente.
 
 
La questione legata alle prove idonee a “garantire” la non imponibilità delle cessioni intra Ue è stata oggetto di diversi interventi da parte dell’Agenzia delle Entrate.
 
In particolare l’operatività della citata disposizione è stata esaminata dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 12.5.2020, n. 12/E, nell’ambito della quale sono richiamati innanzitutto i chiarimenti forniti prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis nei seguenti documenti di prassi:
  • risoluzioni 25.3.2013, n. 19/E, 15.12.2008, n. 477/E, 28.11.2007, n. 345/E e 24.7.2014, n. 71/E
  • risposta interpello 8.4.2019, n. 100.
Dopo aver confermato che le nuove disposizioni introdotte dal legislatore comunitario rappresentano una presunzione relativa circa l’avvenuto trasporto / spedizione dei beni in ambito Ue, l’Agenzia evidenzia che la stessa può essere riconosciuta anche con riferimento alle operazioni poste in essere anteriormente all’1.1.2020 (data di entrata in vigore della citata disposizione) a condizione che “il contribuente possieda un corredo documentale integralmente coincidente con le indicazioni” ivi richieste, con conseguente dimostrazione dell’avvenuto arrivo dei beni in un altro Stato Ue.

L’Agenzia conferma inoltre che è esclusa l’operatività della presunzione della movimentazione dei beni da uno Stato Ue ad un altro Stato Ue nel caso in cui il trasporto / spedizione sia effettuato direttamente dal cedente / acquirente senza l’intervento di altri soggetti (ad esempio, spedizioniere / trasportatore).

Ciò è stato evidenziato nell’ambito delle note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue nel mese di dicembre 2019. Infatti, in tale contesto,
gli elementi di prova non contradditori richiesti ai fini dell’applicazione della presunzione … devono … provenire da due parti indipendenti tra loro, dal venditore e dall’acquirente“.
 
Richiamando i chiarimenti forniti dalla commissione Ue nelle citate note esplicative, l’Agenzia specifica che non è possibile considerare due parti “indipendenti” quando le stesse fanno parte del medesimo soggetto giuridico. Ciò si riscontra, ad esempio, in presenza di stabile organizzazione e casa madre ovvero di soggetti legati da vincoli familiari o altri stretti legami personali, gestionali, associativi, proprietari, finanziari o giuridici (ad esempio, amministratore delegato e società amministrata, società legate da rapporti di controllo ex art. 2359, c.c).

In merito al rapporto tra le presunzioni di cui all’art. 45-bis e la prassi nazionale in materia di prova del trasporto / spedizione di una cessione intra Ue, l’Agenzia evidenzia che le autorità fiscali dei singoli Stati Ue conservano comunque la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuta movimentazione dei beni.

A tal fine l’Agenzia rappresenta le seguenti fattispecie:

  • l’amministrazione finanziaria entra in possesso di elementi che dimostrano che il trasporto intra Ue non è stato effettuato (a titolo esemplicativo nel corso di un controllo si riscontra che i beni sono ancora presenti nel magazzino del cedente o la distruzione dei beni durante il trasporto)
  • l’amministrazione finanziaria dimostra che uno o più documenti contengono informazioni non corrette o addirittura false
In ogni caso anche nelle predette situazioni, il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta.
Conclude, così, l’Agenzia affermando che nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis.
 

Dichiarazione di ricezione dei beni rilasciata dal destinatario

La sopra descritta questione è stata oggetto di un nuovo intervento dell’Agenzia delle Entrate. Con la risposta 3.3.2021, n. 141 è stato affrontato il caso di una società italiana esercente attività di sviluppo di soluzioni tecnologiche avanzate che effettua cessioni intra Ue sia con clausola “franco fabbrica” (la consegna dei beni è effettuata al vettore incaricato dall’acquirente Ue, presso la sede dell’operatore italiano) sia con clausola “franco destino” (rischi e spese di spedizione a carico del fornitore).

In caso di trasporto effettuato dal cedente / da un terzo per suo conto, la società intende “provare”, il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:

  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • fattura del vettore incaricato con evidenza delle consegne effettuate e documentazione attestante il pagamento della fattura;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
In caso di trasporto effettuato dall’acquirente Ue / da un terzo per suo conto, la società intende “provare” il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:
  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
Considerata la difficoltà di recuperare il “cmr” firmato anche dal destinatario dei beni, quale prova di ricezione degli stessi, la società, in conformità a quanto specificato nella citata risoluzione n. 19/E e nella citata risposta n. 100, intende richiedere all’acquirente un’attestazione che conferma l’avvenuta ricezione dei beni nel proprio Stato Ue, contenente tra l’altro:
  • identificativo dell’acquirente;
  • numero di partita Iva dell’acquirente;
  • numero e data della fattura di vendita;
  • importo della fattura di vendita;
  • indicazione del peso del materiale oggetto della fattura;
  • dichiarazione dell’acquirente di ricezione dei beni (“il sottoscritto conferma la ricezione e la consegna dei beni relativi alla sopra menzionata fattura“);
  • timbro e firma dell’acquirente.
Nella risposta in esame l’Agenzia richiama innanzitutto i chiarimenti forniti nelle citate note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue evidenziando in particolare che:
  • il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta;
  • l’art. 45-bis non preclude agli Stati membri l’applicazione di norme / prassi nazionali ulteriori in materia di prova delle cessioni intra Ue, “eventualmente più flessibili della presunzione prevista dal regolamento Iva”.
Confermando quanto precisato nella citata circolare n. 12/E nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, ossia che continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis, l’Agenzia conclude affermando che le indicazioni contenute nella citata risoluzione n. 19/E riguardanti la conservazione della documentazione attestante la prova del trasporto / spedizione del bene da parte del fornitore, la sua esibizione e la tempistica di acquisizione, sono ancora valide. In ogni caso, sottolinea l’Agenzia che, l’idoneità dei documenti individuati dalla prassi nazionale “è comunque soggetta alla valutazione, caso per caso, dell’amministrazione finanziaria”.

(MF/ms)