Perdite su mini crediti: deducibilità a scelta dell’impresa
Con la risposta a interpello n. 342 del 13 maggio, l’Agenzia delle Entrate torna a occuparsi della deducibilità, ai fini Ires, delle perdite su crediti di modesto importo scaduti da più di sei mesi.
In via preliminare, si ricorda che, con le modifiche a suo tempo introdotte dal Dl 83/2012 e dalla L. 147/2013, sono state ampliate le ipotesi di deducibilità “automatica” delle perdite relative a crediti vantati nei confronti sia di debitori assoggettati a procedure concorsuali (e istituti assimilati), sia di debitori non soggetti a tali procedure.
Riguardo a questi ultimi, l’art. 101 comma 5 del Tuir stabilisce che gli elementi certi e precisi, atti a fondare il diritto alla deducibilità della perdita, sussistono “in ogni caso”, tra l’altro, quando il credito è di modesta entità ed è decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento (c.d. “mini crediti”).
A tali fini, il credito è considerato di modesta entità quando risulta di importo non superiore a:
- 5.000 euro, per le imprese di più rilevante dimensione (intendendosi per tali quelle che hanno conseguito un volume d’affari o ricavi non inferiore a 100.000.000 di euro);
- 2.500 euro, per le altre imprese.
La perdita è deducibile anche nel caso in cui a conto economico sia confluito il costo a titolo di svalutazione.
In pratica, la svalutazione dei “mini crediti” può essere interamente dedotta ex art. 101 comma 5 del Tuir, senza sottostare ai limiti di cui all’art. 106 comma 1 dello stesso Tuir (0,5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio).
Quanto all’esercizio di deducibilità, con una disposizione di carattere interpretativo (e, dunque, con effetto retroattivo), l’art. 13 comma 3 del D.lgs. 147/2015 ha stabilito che le svalutazioni contabili dei suddetti “mini crediti”, deducibili a decorrere dall’esercizio in cui sussistono gli elementi certi e precisi, sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili.
In pratica, viene consentito al contribuente di rinviare la deduzione, come perdite, delle svalutazioni relative ai c.d. “mini crediti” al momento dell’eliminazione del credito stesso dal bilancio, evitando così l’automatica “trasformazione” delle svalutazioni stesse in perdite e i connessi problemi di gestione.
Pertanto, come confermato dalla risposta n. 342/2021, per effetto di tale disposizione, compete all’impresa creditrice la scelta circa l’esercizio in cui portare in deduzione la relativa perdita e la determinazione del rispettivo ammontare, una volta soddisfatti i requisiti minimi richiesti per ammetterne la rilevanza fiscale (nel nostro caso, avvenuta scadenza del termine di pagamento da più di sei mesi).
In altre parole, in presenza di svalutazioni contabili “analitiche” o “forfetarie”, la scelta dell’esercizio in cui dedurre il componente negativo divenuto fiscalmente rilevante è rimessa all’impresa creditrice, con l’unico limite temporale rappresentato dal periodo d’imposta nel corso del quale il credito viene cancellato dal bilancio.
Ciò posto, laddove i “mini crediti” siano stati interamente svalutati e le svalutazioni siano state dedotte a titolo di perdita prima del loro stralcio dal bilancio, l’utilizzo del fondo svalutazione afferente ai medesimi crediti, all’atto della loro eliminazione dal bilancio, sarà fiscalmente irrilevante.
In altri termini, la cancellazione in bilancio dei “mini crediti” svalutati e dedotti in un esercizio precedente, non implicando più alcuna deduzione, non produce effetti fiscali.
Inoltre, se prima della cancellazione dal bilancio, i “mini crediti”, la cui svalutazione è stata dedotta come perdita, vengono incassati in tutto in parte, si produce una sopravvenienza attiva fiscalmente rilevante pari all’importo riscosso.
(MF/ms)