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Cessioni IntraUe: valida la dichiarazione postuma del cessionario

Nelle cessioni intracomunitarie la prova della fuoriuscita dei beni dal territorio nazionale può essere fornita dal cedente anche con dichiarazione postuma del cessionario della ricezione della merce, atteso che l’isteresi temporale non è pregiudizievole all’applicazione del beneficio dell’esenzione ai fini IVA prevista dall’art. 41 del DL 331/93 e dalla normativa Ue in materia.

È questo il recente chiarimento fornito dalla C.G.T. II del Lazio con la sentenza n. 2338 del 2024.

In termini generali, ai sensi delle disposizioni richiamate, sono non imponibili ai fini IVA le cessioni a titolo oneroso di beni trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro dal cedente, dall’acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di soggetti passivi d’imposta.

In sostanza, affinché un’operazione possa essere qualificata come una cessione intracomunitaria devono sussistere congiuntamente alcuni elementi quali, l’onerosità dell’operazione, l’acquisizione o trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni, lo status di operatore economico del cedente nazionale e del cessionario Ue e l’effettiva movimentazione del bene dall’Italia a un altro Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

Ed è proprio sulla prova di quest’ultimo requisito che si sono concentrate le contestazioni dell’Agenzia delle Dogane nel caso in esame.

In particolare, a seguito di una verifica sull’applicazione dell’IVA alle cessioni intracomunitarie operate da una srl, l’Agenzia ha ritenuto carente la documentazione fornita a supporto per dimostrare l’effettiva uscita della merce dal territorio nazionale.

La srl aveva presentato quindi ricorso sostenendo che, con riferimento alle operazioni della società in ambito Ue, nel caso di specie ricorressero tutti gli elementi costitutivi per qualificare le operazioni cessioni intracomunitarie.

L’Agenzia, per altro verso, sosteneva che la documentazione fornita dalla srl non fosse sufficientemente probante e idonea a dimostrare la fuoriuscita dei beni dal territorio dello Stato e il trasferimento degli stessi al cessionario con sede in altro Stato membro, in quanto per una parte delle fatture di vendita la società non aveva esibito la lettera di vettura attestante la spedizione al di fuori dello Stato.

La C.G.T. II del Lazio riconosce le ragioni della srl. Difatti, la dichiarazione del cessionario di ricezione della merce, sebbene postuma, non incide sul beneficio del regime di non imponibilità IVA atteso che l’art. 41 del DL 331/93, così come la normativa Ue in materia, prevedono che anche le dichiarazioni rese successivamente all’operazione, come nel caso di specie, possono certificare la realità dell’operazione di trasferimento di merci da uno Stato membro Ue all’altro.

Si ricorda che in merito alla prova delle cessioni intracomunitarie importanti chiarimenti sono stati forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 12 del 2020, anche a seguito nell’introduzione in ambito unionale delle disposizioni dell’art. 45-bis del Regolamento Ue n. 282/2011, efficaci dal 1° gennaio 2020 e delle successive disposizioni di chiarimento con le Note Esplicative sui “quick fixes 2020”, che hanno uniformato le regole in materia di prova dell’avvenuto trasporto in relazione alle cessioni intra-Ue.

Secondo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate il soggetto passivo ha facoltà di dimostrare l’arrivo a destino della merce seguendo le indicazioni della prassi nazionale, in quanto il menzionato Regolamento non preclude l’applicazione di norme o prassi nazionali ulteriori rispetto a quelle unionali ed eventualmente più flessibili.

L’Amministrazione finanziaria a tale riguardo con precedente prassi aveva già riconosciuto la validità, ai fini della prova dell’avvenuta ricezione della merce in altro Paese Ue nelle cessioni intracomunitarie, della dichiarazione del cliente di ricezione della merce che contenga, oltre agli estremi delle fatture di vendita, l’anno di ricezione (si vedano la risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 100/2019 e le ris. nn. 19/2013 e 477/2008).

Tali precisazioni risultano di fondamentale importanza soprattutto per le vendite caratterizzate dal trasporto a carico del cliente estero, e in particolare nelle cessioni con clausola Incoterms “franco-fabbrica” (EXW), per le quali può risultare di fatto difficile recuperare una CMR o lettera di vettura firmata dal trasportatore, oltreché ulteriori documenti e ove la prova dell’arrivo della merce in altro Paese Ue può essere più facilmente fornita dalla dichiarazione di ricezione della merce da parte del cliente.

Alla luce della recente pronuncia, la dichiarazione di ricezione della merce attestante l’effettiva spedizione delle merci nazionali dall’Italia a un cliente con sede in un altro Paese dell’Ue, quindi intracomunitario, benché postuma, è soddisfacente e adeguata per poter dar prova della cessione intracomunitaria e beneficiare del regime di non imponibilità.

(MF/ms)




Agenzia Entrate, attivata la “piattaforma cessione crediti” per ripartire i crediti da opzione in 10 anni

Con il provvedimento del 18 aprile 2023 n. 132123, l’Agenzia delle Entrate ha dettato la disciplina di attuazione per la facoltà, prevista dall’art. 9 comma 4 del Dl 176/2022, di fruire in dieci rate annuali costanti dei crediti d’imposta residui derivanti dalle opzioni di cessione del credito o sconto sul corrispettivo di cui all’art. 121 del Dl 34/2020, relativi al superbonus ex art. 119 del Dl 34/2020, al bonus barriere 75% ex art. 119-ter del Dl 34/2020 e al sismabonus di cui all’art. 16 comma 1-bis – 1-septies del Dl 63/2013.In adempimento a tali disposizioni, il 2 maggio 2023, l’Agenzia ha messo a punto le correlate funzioni del servizio web denominato “Piattaforma cessione crediti” (le cui istruzioni vengono illustrate nell’apposito manuale operativo aggiornato a maggio 2023) per mezzo delle quali i titolari del credito, fornitori che hanno applicato lo sconto o cessionari del credito d’imposta derivante dall’opzione ex art. 121 del Dl 34/2020 (anche per cessione successiva alla prima), possono trasmettere telematicamente la comunicazione necessaria per procedere alla predetta rateazione in dieci anni, nonché effettuare un’interrogazione delle comunicazioni di rateazione effettuate.

Si ricorda che sino al 2 luglio 2023 potrà aderire per l’utilizzo in 10 rate soltanto il titolare del credito d’imposta, mentre dal 3 luglio 2023 potrà trasmettere la comunicazione anche un intermediario ex art. 3 comma 3 del Dpr 322/98, dotato di delega alla consultazione del cassetto fiscale del titolare dei crediti.

Nel manuale si richiama che tale ripartizione in dieci anni può riferirsi alla quota residua delle rate dei crediti d’imposta che siano riferite:

  •  agli anni 2022 e seguenti, per i crediti derivanti dalle comunicazioni di opzione inviate fino al 31 ottobre 2022, per gli interventi agevolati con superbonus (identificati con codici tributo 6921, 7701 e 7711);
  • agli anni 2023 e seguenti, per le comunicazioni di opzione inviate dal 1° novembre 2022 al 31 marzo 2023, per gli interventi agevolati con superbonus (codici tributo 7708 e 7718), o per le comunicazioni di opzione inviate fino al 31 marzo 2023, relative o sismabonus (codici tributo 6923, 7703 e 7713) o bonus barriere 75% (codici tributo 7707 e 7717).
La ripartizione in dieci rate annuali, decorrenti dall’anno successivo a quello di riferimento della rata originaria, può riguardare la quota residua di ciascuna rata annuale dei crediti d’imposta di cui sopra, non utilizzata in compensazione tramite F24, anche se acquisita a seguito di cessioni successive alla prima.Inoltre, la comunicazione per la rateazione può riferirsi anche solo ad una frazione della rata del credito disponibile al momento della trasmissione (in questa ipotesi andrà modificato il campo “importo da rateizzare” presente nella piattaforma): la restante parte della rata, nonché gli eventuali ulteriori crediti acquisiti, potranno essere rateizzati con successive comunicazioni, anche in più soluzioni.

A seguito della conferma della volontà di procedere alla rateizzazione della quota annuale del credito d’imposta selezionata (per l’importo indicato), la piattaforma genera un prospetto riepilogativo, ove vengono riportate le nuove dieci rate in cui sarà suddiviso l’importo della quota originaria, con l’indicazione, per ciascuna rata, dell’anno di riferimento, dell’importo, del termine entro il quale può essere utilizzata in compensazione (ciascuna rata è fruibile in compensazione dal 1° gennaio al 31 dicembre dell’anno di riferimento) e del codice tributo che la identifica.

Nuovi codici tributo per le rate risultanti dalla ripartizione

A tal proposito, si richiama che, con la risoluzione n. 19 del 2 maggio 2023, l’Agenzia delle Entrate ha, tra l’altro, istituito dei codici tributo ad hoc per le rate risultanti alla ripartizione in 10 anni, quali: “7711”, per i crediti da superbonus (sia derivanti da comunicazioni d’opzione ex art. 121 del Dl 34/2020 inviate fino al 31 ottobre 2022, sia relativi a comunicazioni trasmesse entro il 31 marzo 2023), “7772”, per i crediti da sismabonus, e “7773”, per i crediti da bonus barriere al 75%.

La risoluzione ha inoltre istituito ulteriori codici tributo per identificare i crediti derivanti dalle opzioni ex art. 121 del Dl 34/2020 comunicate dopo il 1° aprile 2023 (per i quali non è consentita la ripartizione in dieci quote annuali di pari importo ex art. 9 comma 4 del Dl 176/2022) relativi al superbonus (codice “7709” in caso di opzione di cessione del credito e “7719” per lo sconto sul corrispettivo), al sismabonus (codici “7738” e “7739”) ed al bonus barriere 75% (codici “7710” e “7740”).

Infine, il manuale evidenzia che in seguito alla conferma definitiva dell’operazione, la ripartizione in dieci rate diviene immediatamente efficace .

(MF/ms)




Cessioni comunitarie, le prove di arrivo merce in altro stato membro

Quando si effettuano cessioni comunitarie, spetta al contribuente dimostrare che le merci sono arrivate nel territorio di altro Stato Membro.

Nel 2020 è entrato in vigore l’articolo 45-bis del Regolamento Ue 282/2011, il quale indica degli elementi che, se sono forniti dal contribuente, creano una presunzione a suo favore circa il fatto che la merce è giunta a destino, ma questa prova è nei fatti utilizzabile solo quando il trasporto è effettuato da un trasportatore incaricato dal venditore.

La presunzione prevista dal Regolamento comunitario non è proprio applicabile nel caso in cui il trasporto sia eseguito coi mezzi propri di cedente o cessionario, mentre quando sono eseguiti con trasportatore incaricato dal cessionario, la raccolta dei documenti previsti dal Regolamento è praticamente impossibile, salvo che il cessionario non metta a disposizione del cedente documenti tipici della propria contabilità, come ad esempio le fatture del trasportatore.

Nel caso in cui comunque si riesca a farsi dare questi documenti, bisognerebbe farsi dare anche una dichiarazione di ricezione della merce, sulla quale la norma comunitaria prevede delle regole particolari, e su cui le linee guida della Commissione Europea hanno fornito interessanti chiarimenti; ad esempio, secondo la Commissione Europea, non è necessario avere un documento cartaceo, ma “sarebbe ragionevole aspettarsi che gli Stati membri siano flessibili al riguardo e non impongano limitazioni rigorose, ad esempio accettando solo un documento cartaceo, ma accettino anche una versione elettronica, nella misura in cui contenga tutte le informazioni richieste dall’articolo 45 bis, paragrafo 1, lettera b), punto i) del Regolamento 282/2011”.

Togliendo i casi di aziende che curano il trasporto della merce incaricando un trasportatore, che possono far valere le prove previste dal Regolamento Ue senza nemmeno chiedere al cliente un documento che certifichi l’arrivo della merce, negli altri casi il contribuente deve seguire le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate in alcuni chiarimenti di prassi e recuperare una serie di documenti che certifichino l’arrivo della merce in altro Stato; sul punto, l’Agenzia delle Entrate chiede che il contribuente abbia – alternativamente – un documento proveniente dal sistema informatico vettore (POD), una copia del documento di trasporto (tipicamente CRM) firmato dal cliente, oppure una dichiarazione di ricezione della merce firmata dal cliente; come chiarito con la risposta ad interpello 100/2019, è sufficiente che tale ultimo documento certifichi il mese ed il Paese di ricezione, e potrebbe elencare le merci ricevute facendo riferimento ai documenti di trasporto o alle fatture.

Il dubbio che potrebbe sorgere è con che modalità recuperare la dichiarazione di ricezione della merce.

Appare evidente che risulta molto attendibile un documento pdf allegato ad una mail proveniente da una casella di posta elettronica che viene utilizzata abitualmente nei contatti con il cliente; ovviamente, considerato che le mail sono quella “corrispondenza” che per il Codice civile deve essere conservata dall’imprenditore, deve essere conservata anche la mail a cui la dichiarazione era allegata.

Si ritiene che una dichiarazione di ricezione della merce, fatta pervenire dal cliente tramite mail, abbia la stessa validità giuridica di quella fatta avere tramite posta; peraltro, ricordiamo che con risoluzione 19/2013 l’Agenzia delle Entrate riconobbe prova valida il “CMR elettronico”, cioè un file (ad esempio pdf) ricevuto dal trasportatore; in tale risoluzione ricordò che se i files non hanno un “riferimento temporale” e la “sottoscrizione elettronica”, sono da considerare documenti analogici, e quindi da stampare e conservare in cartaceo (salva una loro conservazione a norma effettuata secondo altre regole).

Fatto sta che con la risposta ad interpello 272/2023 l’Agenzia delle Entrate ha dato conferma della validità dei documenti di prova ricevuti dal cliente in formato elettronico, e nello specifico via EDI.

In tale documento l’Agenzia ha precisato che – analogamente a quanto aveva chiarito riguardo al CMR – tutti i documenti che consentono di provare l’arrivo della merce a destino possono essere elettronici, e quindi anche la dichiarazione di arrivo della merce.

A tale riguardo è d’obbligo precisare che esiste il concetto di “documento elettronico” e di documento “analogico consegnato per via elettronica”; la differenza, emersa ad esempio nella circolare 45/E/2005 è che per una fattura “analogica” “la posta elettronica è un mezzo di spedizione della fattura, cosicché risulta indispensabile, per chi la riceve, la sua “materializzazione” su un documento cartaceo, nonché la sua sostanziale corrispondenza di contenuto tra l’esemplare dell’emittente e quello del ricevente e tra le annotazioni nei registri Iva di entrambi gli operatori; non è invece, obbligatorio che la fattura sia resa immodificabile mediante la firma elettronica qualificata il riferimento temporale”.

In sostanza, il documento contenuto in un file senza riferimento temporale e sottoscrizione elettronica è un documento “cartaceo”, che deve essere stampato, e conservato in tale forma (fatta salva una “successiva” smaterializzazione), mentre un documento che ha determinati requisiti (immodificabilità, definitività della data, certezza sulle origini, ecc…) è considerato documento elettronico e può essere conservato nella stessa forma.

Essendo quindi consentito l’invio per posta elettronica del documento di arrivo della merce (così come era consentito l’invio delle fatture analogiche dalla circolare 45/E/2005e dei CMR dalla risoluzione 19/E/2013) l’Agenzia conferma che lo stesso deve fornire “le medesime garanzie di una dichiarazione cartacea”. In questo senso, con gli ordinari mezzi e oneri della prova se ne dimostrerà o disconoscerà la fonte o la veridicità e quindi appare opportuno, nel caso, un sistema di archiviazione efficace della posta elettronica in arrivo.

Qualora invece non si intenda materializzare tale documento, e considerarlo “elettronico”, in un passaggio successivo l’Agenzia delle Entrate richiede dei requisiti che devono avere i files, e conferma che l’utilizzo della trasmissione EDI attribuisce ai files trasmessi con tale sistema determinate garanzie circa l’autenticità dell’origine e dell’integrità del contenuto.

(MF/ms)




La prova di consegna nelle cessioni intracomunitarie di beni

L’articolo 45-bis del Regolamento Ue di esecuzione n. 282/2011 del 15 marzo 2011, così come modificato dal Regolamento di esecuzione (Ue) 2018/1912 del 4 dicembre 2018, tratta in maniera specifica gli oneri documentali riguardanti le cessioni intracomunitarie di beni di cui all’articolo 138 della Direttiva Iva.
 
Ulteriori chiarimenti in materia sono stati forniti dalla Commissione europea con le Note Esplicative sui “quick fixes 2020”, pubblicate a dicembre 2019.

In particolare, con il paragrafo 1lettere a) e b), del citato articolo 45-bis è stata introdotta, dal 1° gennaio 2020, una presunzione relativa circa l’avvenuto trasporto di beni in ambito comunitario.

Il paragrafo 1, lettera a) tratta l’ipotesi in cui i beni vengono spediti o trasportati dal venditore o da un terzo per suo conto mentre la lettera b), quella in cui il trasporto è curato dall’acquirente o da un terzo per suo conto.

Nel primo caso – spedizione a cura o per conto del cedente – quest’ultimo, oltre a dichiarare che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da terzi per suo conto, deve produrre almeno due documenti, non contraddittori e provenienti da soggetti diversi tra loro (indipendenti sia dal venditore che dall’acquirente). Trattasi dei documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, di cui al paragrafo 3lettera a) dell’articolo 45-bis:

  • un documento o una lettera CMR riportante la firma del trasportatore,
  • una polizza di carico,
  • una fattura di trasporto aereo,
  • una fattura emessa dallo spedizioniere.
In alternativa, il venditore potrà presentare, oltre alla dichiarazione che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da terzi per proprio conto, un documento di cui al citato paragrafo 3, lettera a) ed uno qualsiasi dei documenti indicati alla successiva lettera b) del medesimo paragrafo 3:
  • una polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o i documenti bancari attestanti il pagamento per la spedizione o il trasporto dei beni;
  • documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ad esempio da un notaio, che confermano l’arrivo dei beni nello Stato membro di destinazione;
  • una ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato membro.
Nella seconda fattispecie (lettera b), dove il trasporto viene effettuato dall’acquirente oppure da un terzo per suo conto, per il venditore italiano le cose si complicano.

Il cedente nazionale deve richiedere al proprio cliente Ue una dichiarazione scritta dalla quale dovranno risultare le seguenti informazioni: lo Stato membro di destinazione dei beni, la data del rilascio, il nome e l’indirizzo dell’acquirente, la quantità e la natura dei beni ceduti, la data e il luogo del loro arrivo, l’identificazione della persona che ha accettato i beni per conto dell’acquirente e, qualora si tratti di mezzi di trasporto, il numero di identificazione del mezzo.

Oltre alla dichiarazione di cui sopra, il cedente dovrà essere in possesso di almeno due dei documenti relativi al trasporto delle merci, di cui alla lettera a) del paragrafo 3 dell’articolo 45-bis, rilasciati da due diverse parti indipendenti, l’una dall’altra, dal venditore e dall’acquirente oppure di un documento di trasporto di cui alla lettera a) citata, insieme ad un documento relativo agli altri mezzi di prova indicati nella lettera b) del medesimo paragrafo 3.

Il set documentale sopra esposto agevola notevolmente il cedente che organizza il trasporto (affidando ad esempio l’incarico ad un corriere), essendo in possesso sia della fattura dello spedizioniere che dei documenti bancari attestanti il pagamento della spedizione.

La presunzione contenuta nell’articolo 45-bis del Regolamento n. 282/2011 è invece difficilmente applicabile quando la spedizione è gestita dal cliente intra-Ue come, ad esempio, in caso di cessioni con resa ex-works.

È inoltre preclusa l’applicazione della presunzione quando le merci sono state trasportate o spedite in altro Stato membro, con trasporto o spedizione effettuati dal cedente o dal cessionario con mezzi propri senza l’intervento di altri soggetti (Note esplicative quick fixes 2020, par. 5.3.5).

In base all’articolo 45-bis, paragrafo 2, le Autorità fiscali dei Paesi Ue conservano la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuto trasporto o spedizione intracomunitaria, adottando ulteriori norme o prassi nazionali eventualmente più flessibili. Allo stesso modo, il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta, qualora non sia in possesso della documentazione richiesta dalla richiamata disposizione unionale.

Pertanto, in tutti i casi in cui non si renda applicabile la presunzione di cui all’articolo 45-bispuò continuare a trovare applicazione la prassi nazionale, anche adottata prima dell’entrata in vigore del medesimo articolo in tema di prova del trasporto intracomunitario dei beni (circolare12/E/2020).

Resta inteso, ad ogni modo, che detta prassi nazionale individua documenti la cui idoneità a provare l’avvenuto trasporto all’interno dell’Unione europea è comunque soggetta alla valutazionecaso per casodell’Amministrazione finanziaria.

Con la risposta n. 101/2022 l’Agenzia delle entrate ha recentemente ribadito tale orientamento, accogliendo come mezzi di prova, nel caso di specie, l’estrazione dal sito web del trasportatore della movimentazione della merce, rilevata con sistema satellitare GPS nei vari punti di sosta fino alla consegna, unita alla lettera di vettura del trasporto aereo (AWB) ed un documento di riepilogo di spedizione giornaliero rilasciato dallo spedizioniere.

(MF/ms)
 




Bonus edilizi: possibili due ulteriori cessioni dopo la prima

È in vigore dal 26 febbraio 2022 il Dl 25 febbraio 2022 n. 13, pubblicato nella G.U. di venerdì scorso e recante misure di contrasto alle frodi nel settore dei bonus edilizi e di altri crediti di imposta, nonché l’inasprimento delle sanzioni penali e amministrative per i tecnici che rilasciano false attestazioni, l’ampliamento dei termini di utilizzo di quei crediti di imposta che si ritrovassero sottoposti a sequestro penale e, infine, l’introduzione della pre-condizione dell’applicazione dei contratti collettivi di lavoro per poter beneficiare di taluni bonus edilizi.

L’art. 1 comma 1 del Dl 13/2022 abroga il comma 1 dell’art. 28 del Dl 4/2022, il quale aveva a sua volta modificato il comma 1 dell’art. 121 del Dl 34/2020, vietando ogni ipotesi di cessione dei bonus edilizi successiva alla prima cessione effettuata direttamente dal beneficiario, o, previo sconto in fattura, dal fornitore.

Contestualmente, però, il comma 2 del medesimo art. 1 riscrive integralmente le lett. a) e b) del comma 1 dell’art. 121 del Dl 34/2020, confermando che va “in soffitta” la disciplina ante Dl 4/2022 che consentiva illimitate cessioni dei bonus edilizi a favore di qualsiasi cessionario, ma consentendo per lo meno, dopo la prima cessione “verso chiunque”, da parte del beneficiario, o, previo sconto in fattura, del fornitore, ulteriori due cessioni, le quali possono però avvenire esclusivamente a favore dei “soggetti vigilati” (banche e intermediari finanziari, società appartenenti al gruppo bancario e imprese di assicurazione).

Ad esempio, il fornitore che applica lo sconto in fattura potrà cedere il credito di imposta anche a un “soggetto non vigilato” (come un’altra impresa industriale o commerciale), il quale potrà poi cederlo a sua volta esclusivamente a un “soggetto vigilato”, con una ulteriore facoltà di cessione da parte di quest’ultimo a favore di altro “soggetto vigilato”.

Viene altresì inserito nell’art. 121 del Dl 34/2020 un nuovo comma 1-quater che dispone la “targatura informatica” dei crediti di imposta, per consentire ai cessionari di poterne conoscere l’origine (mettendoli così nelle condizioni di non potersi sottrarre dall’obbligo di valutarne la “qualità” secondo la diligenza dovuta anche nei passaggi successivi al primo), con conseguente impossibilità di procedere a cessioni parziali, ma questa ulteriore novità troverà applicazione solo ai crediti di importi che sorgeranno nei cassetti fiscali a fronte di opzioni comunicate all’Agenzia delle Entrate a partire dal 1° maggio 2022.

L’art. 2 del Dl 13/2022 reca, oltre che alcune modifiche al codice penale, un significativo inasprimento delle responsabilità dei tecnici abilitati che rilasciano le asseverazioni superbonus e le attestazioni di congruità sulle spese oggetto di opzioni ex art. 121 del Dl 34/2020, i quali, ove espongano informazioni false, oppure omettano di riferire informazioni rilevanti, sui requisiti tecnici dell’intervento, sulla sua effettiva realizzazione o sulla congruità delle relative spese, vengono a essere puniti “con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro” (con ulteriore aumento di pena “se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri”).

Sempre l’art. 2 del Dl rende poi più stringente il massimale della copertura assicurativa di cui deve essere dotato il professionista che rilascia le asseverazioni superbonus, prevedendo che esso debba essere almeno pari agli importi di ciascun intervento con riguardo al quale rilascia attestazioni e asseverazioni (con riferimento all’ambito degli interventi di efficienza energetica, funzionava in verità già così, stante le disposizioni del Dm 6 agosto 2020 “Asseverazioni”, ma ora dovrà evidentemente funzionare in questo modo anche per l’ambito degli interventi di riduzione del rischio sismico).

L’art. 3 stabilisce che, nel caso di sequestro da parte dell’Autorità giudiziaria dei crediti di imposta, il loro utilizzo in compensazione può avvenire anche oltre il 31 dicembre di ogni anno, con un allungamento del periodo pari alla durata del sequestro (c.d. “norma salva Poste”).

L’art. 4 del Dl dispone infine che, per taluni lavori edili di importo superiore a 70.000 euro, la generalità dei bonus edilizi possa essere riconosciuta solo se nell’atto di affidamento dei lavori è indicato che i lavori edili sono eseguiti da datori di lavoro che applicano i contratti collettivi del settore edile, con obbligo di controllo di tale annotazione da parte dei professionisti incaricati di rilasciare il visto di conformità.

Quest’ultima disposizione entra in vigore decorsi 90 giorni dalla data di entrata in vigore del Dl (ossia dal 27 maggio 2022) e si applica “ai lavori edili ivi indicati avviati successivamente a tale data”, mentre le restanti disposizioni sono entrate in vigore il 26 febbraio (data di entrata in vigore del decreto).

(MF/ms)
 




Detrazioni edilizie: sblocco delle cessioni

Nella riunione del 18 febbraio, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che introduce misure urgenti per il contrasto alle frodi in materia edilizia e sull’elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili.

Sono interessate le disposizioni di contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche che sono state introdotte dal DL 4/2022 (c.d. decreto “Sostegni-ter”), la cui conversione è prevista entro il 28 marzo.

Preso atto della paralisi che le norme restrittive dell’art. 28 del DL 4/2022 hanno determinato sul versante delle acquisizioni di crediti di imposta anche da parte di intermediari finanziari che non sono stati minimamente toccati dal problema delle frodi fiscali e dei sequestri disposti dall’autorità giudiziaria, il Governo si è attivato per tornare, almeno in parte, sui suoi passi.

Stando alla bozza di DL, l’art. 28 comma 1 del DL 4/2022 sarebbe interamente sostituito e verrebbero modificate quindi sia la lett. a) che la lett. b) del comma 1 dell’art. 121 del DL 34/2020 per confermare, da un lato, il divieto generale di “cessioni successive alla prima”, ma “fatta salva la possibilità di due ulteriori cessioni solo se effettuate a favore di banche e intermediari finanziari iscritti all’albo previsto dall’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all’albo di cui all’articolo 64 del predetto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ovvero imprese di assicurazione autorizzate ad operare in Italia ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, ferma restando l’applicazione dell’articolo 122-bis, comma 4, del presente decreto per ogni cessione intercorrente tra i predetti soggetti, anche successiva alla prima”.

Come confermato al termine del CdM dal comunicato stampa di Palazzo Chigi, la disposizione prevede che sarà possibile cedere il credito per tre volte e solo in favore di banche, imprese di assicurazione e intermediari finanziari e che lo stesso non possa formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle Entrate.

A tal fine viene introdotto un codice identificativo univoco del credito ceduto per consentire la tracciabilità delle cessioni.

Questo compromesso avrebbe il pregio di consentire una seconda cessione, successiva alla prima, anche da parte di un soggetto diverso da quelli “vigilati” (purché effettuata nei confronti di detti soggetti), preservando in tal modo l’organizzazione “per filiera”, prassi operativa che si caratterizza per una prima cessione, da parte del “piccolo fornitore” che applica lo sconto sul corrispettivo al cliente finale, a favore del “grossista di filiera”, il quale procede poi alla seconda cessione dei crediti di imposta alla banca.

Di contro, avrebbe però il grande difetto di non consentire successive cessioni, da parte dei soggetti “vigilati”, a favore di soggetti “non vigilati”, restringendo significativamente la capacità di assorbimento delle offerte di cessione dei crediti di imposta da parte di contribuenti che pagano le spese e imprese che applicano gli sconti, perché tale capacità di assorbimento diverrebbe limitata alla “capienza complessiva” del comparto di tutti i soggetti “vigilati” medesimi.

Porre vincoli, che “canalizzano” le cessioni successive alla prima verso i soggetti “vigilati”, è senz’altro un giusto accorgimento volto a prevenire e limitare le condotte frodatorie (ora che risulta chiaro, anche a chi ha inizialmente fatto finta di non capire, che questi soggetti hanno precisi obblighi di verificare che i crediti di imposta offerti loro in acquisto corrispondano a lavori effettivamente realizzati o in corso di svolgimento).

Prevedere invece a priori che non possa poi esserci anche una cessione dai soggetti “vigilati” anche ad altri soggetti (quali, ad esempio, gruppi industriali, ma anche semplici persone fisiche), ferma restando poi l’esclusione, per i soggetti “non vigilati” acquirenti, della possibilità di rivendere a loro volta questi crediti, è invece una chiusura del tutto inutile rispetto all’obiettivo di prevenire e limitare le condotte frodatorie.

All’art. 121 del DL 34/2020, inoltre, come anticipato verrebbe introdotto il comma 1-quater, secondo cui i crediti che sono stati oggetto delle opzioni di cui alle lett. a) e b) dell’art. 121 “non possono formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle entrate”.

In pratica, alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate dal 1° maggio 2022, il fornitore (nel caso si sia optato per lo sconto sul corrispettivo) o il primo cessionario (in caso di cessione del credito relativo alla detrazione spettante) devono obbligatoriamente cedere (ove possibile secondo le nuove disposizioni) l’intero ammontare del credito acquisito.

A tal fine, verrebbe attribuito un codice identificativo univoco, da indicare nelle comunicazioni delle eventuali successive cessioni, secondo le modalità definite da un provvedimento.

Mai come in questo caso, tuttavia, sarà opportuno attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di norme che sono ormai da settimane al centro di un dibattito politico e tecnico a dir poco tumultuoso.

(MF/ms)




Nuovi modelli Intrastat: indicazione origine merce

In base alla determinazione dell’Agenzia delle Dogane e dei monopoli n. 493869/2021, nei modelli Intrastat relativi alle cessioni intracomunitarie (elenco Intra-1 bis) effettuate a partire dal 2022 è necessario indicare il dato relativo all’origine non preferenziale, da individuarsi sulla base delle regole doganali.

Tale informazione, riferita al Paese di origine della merce spedita (colonna 15), rilevante ai fini statistici del modello, è obbligatoria e aggiuntiva rispetto al dato della provincia di provenienza o di produzione dei beni.

Quest’ultimo elemento (provincia di origine o di produzione della merce) è attestato nella colonna 14 del modello Intra-1 bis, mediante la sigla automobilistica della provincia di riferimento (si veda l’elenco 1 secondo le istruzioni aggiornate, di recente, con la determinazione n. 493869/2021).

Qualora non sia un’informazione nota o essa sia estranea all’ambito nazionale, è riportata la provincia di spedizione della merce. 

Per quanto attiene, invece, al campo relativo al Paese di origine dei beni ceduti (colonna 15), lo stesso andrà rappresentato indicando il codice Iso dello Stato di origine della merce, il quale deve essere individuato in funzione di ciò che prevedono l’art. 60 del Regolamento Ue n. 952/2013 (Codice doganale dell’Unione o, in breve, Cdu) e l’art. 31 ss. del Regolamento Ue n. 2446/2015 (Regolamento delegato).

I beni interamente ottenuti in un unico Paese sono considerati originari di tale Paese.

Tra le merci che si considerano “interamente ottenute” in un Paese o territorio, sono stati individuati: i prodotti minerali ivi estratti, i prodotti del regno vegetale ivi raccolti, gli animali vivi, ivi nati e allevati, i prodotti provenienti da animali vivi ivi allevati, i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate, ecc.

Più complessa è l’individuazione dell’origine non preferenziale dei beni alla cui produzione contribuiscano due o più Stati.

I beni di questa categoria sono considerati originari del Paese in cui i medesimi hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata presso imprese attrezzate, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

In merito all’individuazione delle “imprese attrezzate” per la trasformazione o lavorazione sostanziale, si deve tenere conto degli elementi fattuali che attestino la “comprovata sussistenza dei requisiti tecnico-organizzativi che consentano di effettuare quelle lavorazioni / trasformazioni considerate significative ai fini dell’attribuzione dell’origine non preferenziale” (nota Agenzia delle Dogane e dei monopoli n. 70339/2018).

L’art. 34 del Cdu, inoltre, prevede un’elencazione di lavorazioni c.d. “minime”, ossia attività volte solo a migliorare l’aspetto esteriore delle merci o di mera conservazione, le quali sono sempre considerate inidonee al conferimento dell’origine.

Al fine di individuare la lavorazione sostanziale idonea ad attribuire al bene l’origine non preferenziale, è possibile fare riferimento all’allegato 22-01 del Regolamento Delegato, limitatamente ai beni ivi compresi.

Per i beni che, invece, non sono contemplati dal richiamato Allegato, si fa rinvio alle regole di lista indicate dalla Commissione europea – direzione generale TAXUD (https://ec.europa.eu/taxation_customs/table-list-rules-applicable-products-following-classification-cn_en), pur prive di valore vincolante per gli operatori (nota Agenzia delle Dogane n. 70339/2018).

Sul tema, è, inoltre, da considerare il recente Regolamento Ue n. 1934/2021, il quale stabilisce che, in caso di lavorazione o trasformazione minima realizzata in più Paesi, la loro ultima trasformazione sostanziale viene attribuita allo Stato di cui è originaria la maggior parte dei materiali.

Dunque, in base all’appena menzionato Regolamento, qualora il prodotto finale debba essere classificato:

  • nei capitoli da 1 a 29 o da 31 a 40 del sistema armonizzato, la quantificazione della maggior parte dei materiali andrà determinata in base al peso degli stessi;
  • nel capitolo 30 o nei capitoli da 41 a 97 del sistema armonizzato, la maggior parte dei materiali andrà quantificata sulla base del valore degli stessi.
Certificati richiedibili in Camera di Commercio

Il rilascio del certificato che attesta l’origine non preferenziale di un bene è a cura della Camera di Commercio competente in relazione alla sede legale, sede operativa o unità locale del soggetto richiedente (es. speditore, spedizioniere doganale delegato o rappresentante fiscale). La domanda deve essere presentata in modalità telematica, attraverso l’apposita piattaforma delle Camere di Commercio (Cert’o) ed essere firmata digitalmente dal richiedente (nota Ministero dello Sviluppo economico n. 62321/2019).

Da ultimo, si evidenzia che i certificati di origine sono espressamente esclusi dal novero dei documenti che possono essere rilasciati mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi dell’art. 49 comma 1 del Dpr 445/2000.

(MF/ms)
 




Prova cessioni Ue e dichiarazione di ricezione dei beni: precisazioni

Ai sensi dell’art. 138, Direttiva Ue n. 2006/112, alle cessioni intra Ue può essere applicato il regime di non imponibilità solo al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
  • il cedente / acquirente devono essere soggetti passivi d’imposta
  • la cessione deve essere a titolo oneroso
  • la cessione deve determinare il trasferimento della proprietà sul bene ceduto
  • i beni devono essere spediti / trasportati da uno Stato UE ad un altro
A livello nazionale, il citato art. 138 è stato recepito dall’art. 41, comma 1, lett. a), Dl n. 331/93, in base al quale le cessioni di beni effettuate da operatori italiani nei confronti di operatori Ue sono considerate operazioni non imponibili Iva in quanto alle stesse è applicabile il regime di tassazione nello Stato Ue di destinazione dei beni.

Affinché la cessione possa considerarsi “intra Ue”, è necessario che sussistano i seguenti requisiti:

1. soggettività passiva dell’acquirente in un altro Stato Ue (o ivi identificato)
2. onerosità dell’operazione
3. trasferimento della proprietà / altro diritto reale sul bene
4. destinazione dei beni in un altro Stato Ue

Essendo necessario il trasferimento dei beni in un altro Stato Ue, in quanto ciò consente di considerare non imponibile la cessione nello Stato di partenza ed imponibile nello Stato di destinazione dei beni, assume un ruolo rilevante la prova da parte del cedente del trasporto / spedizione dei beni.

La Direttiva UE n. 2018/1910 ha modificato il citato art. 138 attribuendo rilevanza sostanziale:

  • al fatto che il cedente / acquirente siano dotati di un numero identificativo IVA e siano iscritti al Vies
  • alla corretta compilazione dell’elenco riepilogativo (mod. Intra) da parte del cedente
Tali disposizioni, che dovevano trovare applicazione dall’1.1.2020, sono in corso di recepimento nell’ordinamento nazionale nell’ambito della c.d. “Legge europea 2019-2020” (il “ritardo” è stato oggetto di una specifica procedura di infrazione 2020/0070).
 
Prova dell’uscita dei beni

Tra le condizioni per la non imponibilità di una cessione intra Ue è richiesto il possesso di adeguate prove documentali in grado di attestare che i beni oggetto della cessione siano stati effettivamente trasferiti in un altro Stato Ue.

In materia di prove da fornire per giustificare la non imponibilità, l’art. 131, Direttiva n. 2006/112/Ce lascia ai singoli Stati membri la facoltà di disciplinare le condizioni per l’applicazione del regime stesso (il legislatore nazionale non si è avvalso di tale facoltà).
 

Regolamento Ue Nr. 2018/1912

A decorrere dall’1.1.2020 è entrato in vigore il Regolamento Ue n. 2018/1912 contenente il regime probatorio del trasferimento dei beni delle cessioni intra Ue.

In particolare il citato regolamento Ue ha introdotto il nuovo art. 45-bis al regolamento n. 282/2011 che individua le “prove” al verificarsi delle quali si presume che i beni siano stati spediti / trasportati dal territorio di uno Stato Ue di partenza diverso da quello di destinazione e pertanto consente l’applicazione della non imponibilità alle cessioni intra Ue.

Il citato art. 45-bis prende in considerazione le seguenti fattispecie:

  • i beni sono spediti / trasportati dal cedente / da un terzo per suo conto;
  • i beni sono spediti / trasportati dall’acquirente / da un terzo per suo conto.
 

Trasporto / spedizione da parte del cedente

Il trasporto / spedizione si presume effettuato se il cedente è in possesso di:

  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dell’acquirente
  • ​un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione o il trasporto rilasciato da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 

Trasporto / spedizione da parte dell’acquirente

ll trasporto / spedizione si considera effettuato se il cedente è in possesso di:

  • una dichiarazione scritta dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati / spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente e che identifica lo Stato Ue di destinazione dei beni. In particolare la dichiarazione in esame, che l’acquirente deve fornire al cedente entro il decimo giorno successivo alla cessione, deve contenere i seguenti elementi:
     
  • data di rilascio
  • nome e indirizzo dell’acquirente
  • quantità e natura dei beni
  • data e luogo di arrivo dei beni
  • numero di identificazione del mezzo di trasporto nel caso di cessione di mezzi di trasporto
  • identificazione della persona che accetta i beni per suo conto
e
  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti dal cedente o dall’acquirente
o
  • un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione / trasporto, rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 
Tabella A
  • crm firmato
  • polizza di carico
  • fattura di trasporto aereo
  • fattura emessa dallo spedizioniere
 
Tabella B
  • polizza assicurativa relativa alla spedizione / trasporto di beni o documenti bancari attestanti il pagamento della spedizione / trasporto dei beni
  • documenti ufficiali rilasciati da una Pubblica Autorità che confermano l’arrivo dei beni nello Stato Ue di destinazione
  • ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato Ue di destinazione
 
Posto che gli elementi di prova devono essere rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra, dal cedente e dall’acquirente, la predetta disposizione non è applicabile alle cessioni per le quali il trasporto è effettuato in conto proprio dal cedente / acquirente.
 
 
La questione legata alle prove idonee a “garantire” la non imponibilità delle cessioni intra Ue è stata oggetto di diversi interventi da parte dell’Agenzia delle Entrate.
 
In particolare l’operatività della citata disposizione è stata esaminata dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 12.5.2020, n. 12/E, nell’ambito della quale sono richiamati innanzitutto i chiarimenti forniti prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis nei seguenti documenti di prassi:
  • risoluzioni 25.3.2013, n. 19/E, 15.12.2008, n. 477/E, 28.11.2007, n. 345/E e 24.7.2014, n. 71/E
  • risposta interpello 8.4.2019, n. 100.
Dopo aver confermato che le nuove disposizioni introdotte dal legislatore comunitario rappresentano una presunzione relativa circa l’avvenuto trasporto / spedizione dei beni in ambito Ue, l’Agenzia evidenzia che la stessa può essere riconosciuta anche con riferimento alle operazioni poste in essere anteriormente all’1.1.2020 (data di entrata in vigore della citata disposizione) a condizione che “il contribuente possieda un corredo documentale integralmente coincidente con le indicazioni” ivi richieste, con conseguente dimostrazione dell’avvenuto arrivo dei beni in un altro Stato Ue.

L’Agenzia conferma inoltre che è esclusa l’operatività della presunzione della movimentazione dei beni da uno Stato Ue ad un altro Stato Ue nel caso in cui il trasporto / spedizione sia effettuato direttamente dal cedente / acquirente senza l’intervento di altri soggetti (ad esempio, spedizioniere / trasportatore).

Ciò è stato evidenziato nell’ambito delle note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue nel mese di dicembre 2019. Infatti, in tale contesto,
gli elementi di prova non contradditori richiesti ai fini dell’applicazione della presunzione … devono … provenire da due parti indipendenti tra loro, dal venditore e dall’acquirente“.
 
Richiamando i chiarimenti forniti dalla commissione Ue nelle citate note esplicative, l’Agenzia specifica che non è possibile considerare due parti “indipendenti” quando le stesse fanno parte del medesimo soggetto giuridico. Ciò si riscontra, ad esempio, in presenza di stabile organizzazione e casa madre ovvero di soggetti legati da vincoli familiari o altri stretti legami personali, gestionali, associativi, proprietari, finanziari o giuridici (ad esempio, amministratore delegato e società amministrata, società legate da rapporti di controllo ex art. 2359, c.c).

In merito al rapporto tra le presunzioni di cui all’art. 45-bis e la prassi nazionale in materia di prova del trasporto / spedizione di una cessione intra Ue, l’Agenzia evidenzia che le autorità fiscali dei singoli Stati Ue conservano comunque la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuta movimentazione dei beni.

A tal fine l’Agenzia rappresenta le seguenti fattispecie:

  • l’amministrazione finanziaria entra in possesso di elementi che dimostrano che il trasporto intra Ue non è stato effettuato (a titolo esemplicativo nel corso di un controllo si riscontra che i beni sono ancora presenti nel magazzino del cedente o la distruzione dei beni durante il trasporto)
  • l’amministrazione finanziaria dimostra che uno o più documenti contengono informazioni non corrette o addirittura false
In ogni caso anche nelle predette situazioni, il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta.
Conclude, così, l’Agenzia affermando che nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis.
 

Dichiarazione di ricezione dei beni rilasciata dal destinatario

La sopra descritta questione è stata oggetto di un nuovo intervento dell’Agenzia delle Entrate. Con la risposta 3.3.2021, n. 141 è stato affrontato il caso di una società italiana esercente attività di sviluppo di soluzioni tecnologiche avanzate che effettua cessioni intra Ue sia con clausola “franco fabbrica” (la consegna dei beni è effettuata al vettore incaricato dall’acquirente Ue, presso la sede dell’operatore italiano) sia con clausola “franco destino” (rischi e spese di spedizione a carico del fornitore).

In caso di trasporto effettuato dal cedente / da un terzo per suo conto, la società intende “provare”, il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:

  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • fattura del vettore incaricato con evidenza delle consegne effettuate e documentazione attestante il pagamento della fattura;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
In caso di trasporto effettuato dall’acquirente Ue / da un terzo per suo conto, la società intende “provare” il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:
  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
Considerata la difficoltà di recuperare il “cmr” firmato anche dal destinatario dei beni, quale prova di ricezione degli stessi, la società, in conformità a quanto specificato nella citata risoluzione n. 19/E e nella citata risposta n. 100, intende richiedere all’acquirente un’attestazione che conferma l’avvenuta ricezione dei beni nel proprio Stato Ue, contenente tra l’altro:
  • identificativo dell’acquirente;
  • numero di partita Iva dell’acquirente;
  • numero e data della fattura di vendita;
  • importo della fattura di vendita;
  • indicazione del peso del materiale oggetto della fattura;
  • dichiarazione dell’acquirente di ricezione dei beni (“il sottoscritto conferma la ricezione e la consegna dei beni relativi alla sopra menzionata fattura“);
  • timbro e firma dell’acquirente.
Nella risposta in esame l’Agenzia richiama innanzitutto i chiarimenti forniti nelle citate note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue evidenziando in particolare che:
  • il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta;
  • l’art. 45-bis non preclude agli Stati membri l’applicazione di norme / prassi nazionali ulteriori in materia di prova delle cessioni intra Ue, “eventualmente più flessibili della presunzione prevista dal regolamento Iva”.
Confermando quanto precisato nella citata circolare n. 12/E nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, ossia che continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis, l’Agenzia conclude affermando che le indicazioni contenute nella citata risoluzione n. 19/E riguardanti la conservazione della documentazione attestante la prova del trasporto / spedizione del bene da parte del fornitore, la sua esibizione e la tempistica di acquisizione, sono ancora valide. In ogni caso, sottolinea l’Agenzia che, l’idoneità dei documenti individuati dalla prassi nazionale “è comunque soggetta alla valutazione, caso per caso, dell’amministrazione finanziaria”.

(MF/ms)