Successivamente all’emissione della fattura, può accadere che, per vari motivi, venga ad aumentare l’ammontare
imponibile o quello dell’
IVA dell’operazione documentata.
In tale circostanza, il soggetto passivo è obbligato all’emissione della nota di variazione in aumento ai sensi dell’art. 26 comma 1 del DPR 633/72.
La norma, tuttavia, non fornisce indicazioni sul momento a decorrere dal quale il documento deve essere emesso, né sul termine entro cui ne è richiesta l’emissione (si veda R.M. 11 marzo 1976 n. 502716).
Ciò nondimeno, essa fa esplicito rinvio alle disposizioni relative alla fatturazione di cui all’art. 21 del DPR 633/72, sicché l’eventuale termine deve essere individuato tenendo conto delle previsioni specifiche contenute in tale articolo (Cass. 9 novembre 2022 n. 33093).
Ne discende che per l’emissione della nota di variazione in aumento occorre sempre far riferimento alla data in cui si verifica l’evento che dà luogo all’obbligo di rettifica.
Sempre con riferimento ai termini di emissione, è necessario considerare le fattispecie che portano a eseguire la rettifica, operando una distinzione fra la natura “fisiologica” o “patologica” della circostanza che determina la variazione.
Nella prima categoria può essere annoverato, ad esempio, il caso in cui sia convenuto uno sconto, condizionato all’effettuazione del pagamento entro una precisa scadenza.
Nel presupposto che tale riduzione del prezzo sia riconosciuta in fattura, la base imponibile ai fini IVA (ex art. 13 del DPR 633/72), sarà determinata al netto del suddetto sconto, “atteso che l’importo che così ne risulta costituisce l’effettivo corrispettivo della cessione o della prestazione convenuto tra le parti” (R.M. 30 giugno 1975 n. 501171).
Qualora i termini di pagamento non vengano rispettati, e, pertanto, non si verifichi la condizione per beneficiare dello sconto, il cedente o prestatore sarà tenuto a emettere una nota di variazione in aumento ex art. 26 comma 1 del DPR 633/72, in ragione dell’incremento della base imponibile (cfr. ancora R.M. n. 501171/75).
In linea generale le situazioni “fisiologiche” sono tipiche delle circostanze in cui le parti subordinano “l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto” (art. 1353 c.c.).
Si pensi, sempre a titolo esemplificativo, all’eventualità che la base imponibile delle merci vendute sia correlata alla quotazione delle materie prime nel trimestre di consegna dei beni. Posto che verosimilmente il prezzo originariamente fatturato avrà subito oscillazioni, un andamento crescente renderebbe necessaria una variazione in aumento da operare nel momento in cui sono noti i valori effettivi.
In circostanze come quelle appena rappresentate la nota, analogamente a quanto avviene per la fattura, va emessa nel rispetto dei termini previsti dall’art. 21 comma 4 del DPR 633/72, ossia entro 12 giorni dal verificarsi della condizione che ha dato origine alla variazione.
È differente, invece l’ipotesi in cui l’obbligo di operare la variazione in aumento discenda da cause “patologiche” come la non corretta definizione della base imponibile o dell’imposta nella fattura originaria.
L’Amministrazione finanziaria chiarì in passato che l’art. 26 comma 1 del DPR 633/72 “non stabilisce alcun termine per l’effettuazione della suesposta procedura di variazione” (R.M. n. 502716/76); il cedente o prestatore può, quindi, procedere alla regolarizzazione della propria posizione sine die. In circostanze simili, tuttavia, indipendentemente dal termine di emissione, si sarebbe comunque già perfezionata la sanzione di cui all’art. 6 comma 1 del DLgs. 471/97 (attualmente pari a un importo dal 90% al 180% dell’imposta non correttamente documentata).
Anche in questo caso può essere utile un esempio.
Si pensi al soggetto passivo che abbia erroneamente ritenuto che l’operazione effettuata possedesse i requisiti per beneficiare di una delle esenzioni di cui all’art. 10 del DPR 633/72. La cessione di beni – o la prestazione di servizi – sin dall’origine avrebbe dovuto essere considerata imponibile.
Pertanto, ferma restando la necessità di effettuare una variazione dell’imposta ai sensi dell’art. 26 comma 1, l’emissione del documento e la sua annotazione non saranno sufficienti ad escludere l’applicazione della sanzione.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, il comportamento del soggetto passivo, “che ha emesso fatture senza addebito di Iva, si traduce, inevitabilmente, in un effetto incidente sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e del conseguente versamento del tributo, non avendo la stessa adempiuto all’onere di provvedere al pagamento dell’Iva che avrebbe dovuto addebitare e conseguentemente versare in favore dell’erario nei tempi dovuti” (si veda ancora Cass. 9 novembre 2002 n. 33093).