Fatturazione elettronica e esterometro: ulteriori precisazioni
Con giovedì 1° ottobre 2020, per l’invio a SDI delle fatture elettroniche e dell’esterometro, sono utilizzabili, in via facoltativa, le specifiche tecniche 1.6.1, approvate dall’Agenzia delle Entrate con Provvedimento del 28.02.2020, poi modificato con Provvedimento del 20.04.2020.
A decorrere dal 1° gennaio 2021, l’utilizzo delle nuove specifiche tecniche diventerà obbligatorio.
La possibilità di utilizzare in via facoltativa le nuove specifiche tecniche potrà creare qualche problema nello scambio di fatture; qualora, infatti, il soggetto emittente inviasse a SDI una fattura secondo le nuove specifiche, ed il ricevente non fosse ancora aggiornato alle stesse, potrebbe crearsi qualche problema pratico, quale ad esempio l’impossibilità di conversione del documento XML in un file leggibile (tipo PDF).
E’ quindi consigliabile che l’aggiornamento dei software contabili avvenga quanto prima, e che le modalità di aggiornamento siano concordate tra software house e utilizzatore del software; infatti, la cosa richiede, contestualmente, competenze informatiche ma anche una conoscenza delle regole Iva e delle modalità di gestione delle operazioni da parte delle aziende.
Attualmente, non esiste nessun chiarimento riguardante le nuove specifiche tecniche, che, lo precisiamo, sono un documento di 244 pagine scritto per informatici.
Le interpretazioni sono basate sulla lettura delle stesse e sulla logica che ritengo abbia portato all’aggiornamento: l’Agenzia delle Entrate, dal 2021, deve proporre al contribuente la bozza dei registri Iva, delle liquidazioni periodiche, e della dichiarazione annuale.
L’Agenzia delle Entrate, nel corso dell’ultimo Telefisco, ha chiarito che verrà messo a disposizione dei contribuenti un sistema con il quale possono essere accettate le bozze proposte, o modificate “online”.
Premesso che difficilmente le bozze potranno essere esatte (ad esempio l’Agenzia non può sapere quale è la detraibilità Iva dei vari acquisti), e che una eventuale accettazione non ha alcun effetto concreto sul contribuente (differentemente dall’accettazione di un 730 precompilato), la cosa da evitare è quella di commettere degli errori informatici che portino i dati elaborati dall’Agenzia ad essere talmente differenti da quelli comunicati tramite una LiPe, da condurre all’emissione di un “invito alla compliance” per spiegare le differenze, con dispendio di tempo, e spesso di denaro.
Fatta tale premessa, passiamo, ad esempio, a capire perché siano stati introdotti dei nuovi “tipi documento”, accanto a quelli già esistenti che individuano la fattura (TD01), la nota di accredito (TD04), e così via.
Scopriamo, quindi, che abbiamo due nuovi codici per la fattura differita: TD24 per quella emessa comunemente a seguito di cessioni documentate da ddt e per prestazioni di servizi documentate con documenti assimilabili al ddt, e TD25 per la fattura emessa dal promotore di una operazione triangolare.
La necessità di individuare la prima tipologia di fattura differita potrebbe essere dettata dal fatto che, differentemente da una fattura immediata, la stessa potrebbe essere datata in un mese, ma dover confluire nella liquidazione del mese precedente, cioè quello di consegna o spedizione della merce. La seconda tipologia di fattura differita, invece, deve confluire nella liquidazione del mese di emissione, il quale è tuttavia quello successivo a quello di consegna o spedizione.
Un nuovo campo è stato istituito per gestire le autofatture per splafonamento (TD21); attualmente si ritiene che tale operazione vada gestita con il codice TD20, utilizzabile per la “autofattura denuncia”, dove si deve indicare, come “cedente/prestatore”, colui che ha emesso la fattura senza Iva che ha portato allo splafonamento.
In realtà, la procedura fin qui utilizzata non era esente da critiche, posto che tale codice viene letto dall’Agenzia delle Entrate come una “denuncia”, con la quale il cessionario/committente invita l’Agenzia delle Entrate ad andare a controllare un proprio fornitore che non gli ha emesso una fattura, o la ha emessa sbagliata.
Nel caso dello splafonamento, invece, chi ha sbagliato è il cessionario/committente, che ha consegnato una dichiarazione di intento al proprio fornitore, il quale ha legittimamente emesso fattura non imponibile, e non la ha revocata per tempo raggiunto l’ammontare del plafond: la colpa dello splafonamento è unicamente imputabile all’esportatore abituale.
Dalla lettura dei nuovi codici errore presenti nelle specifiche tecniche emerge che nell’autofattura per splafonamento con codice TD21 non devono più essere riportati gli estremi del fornitore, ma sia come “cedente/prestatore”, che come “cessionario/committente” deve essere indicato il soggetto che emette il documento.
Sempre riguardo alla “natura documento”, è stato istituito il codice TD27, per la fattura per cessioni gratuite senza rivalsa o per autoconsumo.
In questi casi, si emette in genere una autofattura nella quale si risulta sia come cedenti/prestatori che come cessionari/committenti, ma si registra la stessa solo nel registro delle fatture emesse.
Tale codice dovrebbe quindi consentire al sistema dell’Agenzia di inserire tale documento nel quadro VE ma non nel VF.
Inoltre è stato istituito il codice TD26, cessioni di beni ammortizzabili e passaggi interni, che servirà per la compilazione del campo VE40 della dichiarazione Iva.
Questo campo serve per la corretta determinazione del volume d’affari, e, a sua volta, il volume d’affari, serve ad esempio per determinare se ci sono le condizioni per chiedere rimborsi e compensazioni dell’Iva a credito; una non corretta compilazione, anche se probabilmente non dovrebbe essere sanzionabile, potrebbe però rallentare l’erogazione di un rimborso Iva o far nascere un controllo mirato a verificare le condizioni di spettanza: insomma, come minimo una perdita di tempo!
C’è tuttavia da sottolineare che il tempo speso per codificare con il codice TD26 le cessioni di beni ammortizzabili, dovrebbe venire poi risparmiato in sede di redazione della dichiarazione annuale.
Sono state illustrate le nuove causali da dedicare al campo “tipo documento”, ed analizzato quelle relative alle fatture differite (TD24 e TD25), quelle per l’autofattura per splafonamento (TD21), quella per cessione gratuita senza rivalsa e per autoconsumo (TD27) e quella per cessione di beni ammortizzabili e passaggi interni (TD26).
Queste causali possono consentire all’Agenzia di determinare con maggiore precisione il totale dell’Iva vendite, e compilare in automatico alcuni campi del quadro VE della dichiarazione Iva.
Per poter, però, aumentare la precisione di compilazione, sono stati introdotti dei nuovi codici utilizzabili nel campo relativo alla “natura”, cioè quello che deve essere compilato quando, a fronte di un imponibile positivo, c’è una imposta uguale a zero.
Ad oggi erano presenti i codici da N1 a N7, che codificavano le operazioni escluse, non soggette, non imponibili, esenti, in regime monofase, in reverse charge, con addebito di Iva estera.
Di tali codici, non saranno più utilizzabili i codici N2 (non soggette), N4 (non imponibili) e N6 (operazioni in reverse charge), in quanto sostituiti da una serie di sottocodici con maggiori dettagli.
Partiamo dalle operazioni non soggette ad Iva: sono quelle per le quali manca un requisito (soggettivo, oggettivo o territoriale), e, in quanto “fuori campo Iva”, per le stesse non dovrebbero applicarsi in toto le regole previste da tale imposta, comprese quelle di fatturazione e di indicazione in dichiarazione.
Ciò nonostante, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nelle Faq sulla fattura elettronica, per le stesse può comunque essere emessa una “fattura”, indicando la causale N2, ma le stesse non andranno indicate nel modello dichiarativo.
Si pensi, ad esempio, alle emissioni di fatture per risarcimenti danni causati dal cedente o prestatore, alle cessioni di buoni multiuso, di terreni agricoli, alle emissioni di note di variazione fuori campo ai sensi dell’articolo 26.
Tuttavia, ai sensi dell’articolo 21 del Decreto Iva, vi sono delle operazioni fuori campo Iva per le quali vige l’obbligo di fatturazione e di indicazione nel rigo VE34 della dichiarazione: sono alcune operazioni non territoriali, tra cui le più frequenti sono quelle per le quali si emette fattura senza Iva ai sensi dell’articolo 7-ter, per aver reso un servizio ad un soggetto passivo stabilito all’estero.
Sulla base di tali premesse, si ritiene che la nuova causale “N2.1 – non soggette ad Iva ai sensi degli articoli da 7 a 7-septies del D.P.R. 633/1972” sia da utilizzare per tutte le fatture emesse obbligatoriamente per operazioni non territoriali, da indicare nel campo VE34 della dichiarazione, mentre la causale “N2.2 – non soggette – altri casi” sia da utilizzare per le fatture fuori campo emesse facoltativamente e da non indicare in dichiarazione.
L’opinione di chi scrive è che – a questo punto – con il codice N2.1 vadano indicate le fatture emesse senza Iva ai sensi dell’articolo 7-ter, sia nei confronti di soggetti comunitari che extracomunitari.
Ciò andrebbe a superare un orientamento manifestato da Assosoftware prima, ed avallato dall’Agenzia delle Entrate, per il quale erano da codificare con il codice N2 solo le fatture in 7-ter verso extracomunitari e con il codice N6 quelle emesse a comunitari.
Tale interpretazione nasceva dal fatto che – come indicato nell’articolo 21 del Decreto Iva – sulle prime deve essere indicata l’annotazione “operazione non soggetta” e sulle seconde quella “inversione contabile”. Tuttavia, indipendentemente dalle annotazioni da riportare, entrambe sono operazioni non soggette, e confluiscono nel medesimo rigo dichiarativo; rigo che è di particolare importanza qualora si chieda il rimborso dell’Iva in quanto le operazioni non territoriali superano il 50% del volume d’affari.
A supporto della tesi per cui tutte le operazioni fatturate con l’articolo 7-ter andranno valorizzate con la causale “N2.1”, depone anche il fatto che nell’esterometro non esisterà più il codice N6. Chi, quindi, comunicherà le fatture in 7-ter verso comunitari con l’esterometro, anziché emettere direttamente la fattura via SDI, anche volendo non potrà utilizzare un codice della famiglia N6.
Dovesse essere confermata l’opinione di chi scrive, è probabile che molti software contabili richiederanno un aggiornamento, e per chi, per evitare l’esterometro, emette le fatture via SDI anche nei confronti di committenti non stabiliti in Italia, andrà previsto che tutte vengano catalogate con lo stesso codice e poi, a seconda del Paese di stabilimento del cliente, si riporti l’indicazione obbligatoria “non soggetta” piuttosto che “inversione contabile”.
Questo cambio di codice per le operazioni in 7-ter verso committenti comunitari, potrebbe far emergere un problema relativamente all’assoggettamento ad imposta di bollo.
Ai sensi del D.L. 34/2019, l’Agenzia dovrebbe integrare con procedure automatizzate le fatture che non riportano l’imposta di bollo ed inviare un invito al pagamento, a cui seguirà nel caso una iscrizione a ruolo.
È infatti comunemente riconosciuto che per i documenti che certificano operazioni fuori campo di applicazione dell’Iva sia dovuta l’imposta di bollo e questo vale anche per le operazioni non territoriali; tuttavia, a parere di chi scrive, l’assoggettamento ad imposta di bollo delle fatture in 7-ter verso soggetti comunitari sarebbe contraria ai principi di non discriminazione previsti dal Trattato UE, dal momento che la stessa operazione resa verso italiani non è in genere assoggettata ad imposta.
Qualora le procedure automatizzate dell’Agenzia dovessero inviare tali comunicazioni, alle quali seguirà la cartella di pagamento ed il relativo contenzioso, è probabile che in caso di importi rilevanti, dovrà essere coinvolta la Corte di Giustizia UE.
Tornando alla fattura, il codice che certifica le operazioni non imponibili (N3), viene suddiviso nei codici da N3.1 a N3.6 per la corretta compilazione dei vari campi del rigo VE34 (operazioni che formano il plafond), del rigo VE35 (operazioni verso gli esportatori abituali) e VE36 (altre operazioni non imponibili che non formano il plafond).
Anche in questo caso vi sono dei codici per i quali è pacifico che l’imposta di bollo è dovuta (operazioni verso gli esportatori abituali) e che non è dovuta (esportazioni, cessioni comunitarie), mentre per altre operazioni non imponibili l’obbligo di assolvimento dell’imposta di bollo è legata ad eventi che non sono codificabili (ad esempio se una operazione internazionale è legata ad una esportazione o meno) e quindi non è chiaro come possa l’Agenzia fare un controllo automatizzato delle fatture.
Ulteriore modifica è la suddivisione del codice “N6-inversione contabile”, nei sottocodici da N6.1 a N6.8, che servono per distinguere le varie casistiche di applicazione del reverse charge, come individuate dal rigo VE35 della dichiarazione; è stato istituito inoltre il codice “N6.9 inversione contabile-altri casi” che attualmente non ha riscontro in nessun rigo dichiarativo.
Sembra che l’Agenzia possa proporre una bozza di quadro VE della dichiarazione Iva che sia molto fedele alla realtà.
La domanda che sorge spontanea è come gestire le note di variazione; se è vero che esistono degli specifici codici da utilizzare come “tipo documento” (TD04 nota di credito), qualora si debba stornare una fattura di cessione di beni ammortizzabili codificata con TD26, affinché il sistema dell’Agenzia provveda alla corretta compilazione del rigo VE40, si dovrà emettere una fattura con segno negativo sempre con codice TD26?
Le modifiche con riferimento alla registrazione delle operazioni passive.
Partiamo in primo luogo dalla determinazione dell’ammontare dell’Iva detraibile: l’Agenzia non può conoscere se una cessione di beni o una prestazione di servizi dà diritto alla detrazione dell’Iva al cessionario o committente, in quanto non è a conoscenza di come viene applicata l’indetraibilità oggettiva, quella mirata, e in alcuni casi nemmeno quella da pro-rata.
Quello che l’Agenzia può sapere, senza essere comunque precisa, è quale sarebbe l’ammontare massimo di Iva detraibile, ipotizzando che non ci siano casi di indetraibilità: tale importo sarebbe dato dall’Iva indicata in tutte le fatture elettroniche ricevute nell’anno (l’Iva relativa può essere infatti detratta solo nell’anno di ricezione della fattura), sommata all’Iva all’importazione (nonostante per l’importatore la bolletta doganale sia un documento cartaceo, i relativi dati dovrebbero essere inseriti a sistema), e sommata all’Iva pagata dallo stesso cessionario o committente al posto del cedente o prestatore, con il meccanismo del reverse charge.
Prima di addentrarci nel discorso relativo al reverse charge, evidenziamo che l’Agenzia non vede in automatico l’Iva che viene addebitata con fattura cartacea da enti non commerciali con attività commerciale inferiore a 65.000 euro, e forse non vede nemmeno quella che potrebbe addebitare un cedente della Repubblica di San Marino.
Ciò premesso, importi rilevanti di imposta possono essere detratti dopo aver effettuato il reverse charge, cioè assolto l’Iva al posto del cedente o prestatore, emettendo una autofattura o integrando la fattura del fornitore. Chiaramente l’imposta assolta deve confluire poi come debito nella liquidazione Iva.
L’Iva che viene assolta con reverse charge confluisce nel quadro VJ della dichiarazione Iva, il quale riporta dei campi per il cosiddetto “reverse charge interno” e per quello “estero”.
Il reverse charge estero si effettua in particolare quando si fanno acquisti comunitari, quando si è committenti di prestazioni di servizi con territorialità italiana, rese da soggetti passivi stabiliti all’estero, e quando si acquistano da soggetti stabiliti all’estero beni che già si trovano in Italia.
In tutti i casi di “reverse charge estero” l’operazione va comunicata con l’esterometro, e, logica vuole che tale comunicazione riporti come imposta o come titolo di non imponibilità quello applicato dal cessionario o committente italiano con reverse charge.
Ad esempio, se un soggetto italiano riceve una fattura da un trasportatore tedesco e la integra con Iva, andrà indicato l’imponibile e la relativa imposta integrata, mentre se dovesse integrarla con l’articolo 9, andrà indicata la causale N3.4.
Ricordiamo che, con le nuove specifiche tecniche, in esterometro è stata eliminata la possibilità di utilizzare la causale “N6”, che le specifiche tecniche 1.5 consideravano applicabile in caso di “inversione contabile (per le operazioni in reverse charge ovvero nei casi di autofatturazione per acquisti extra UE di servizi ovvero per importazioni di beni nei soli casi previsti)”.
Una anomalia presente nelle precedenti specifiche tecniche e non eliminata con la versione 1.6, è che qualora il fornitore indicato nell’esterometro sia di un Paese comunitario, come tipo di documento potrà essere messo solo “TD10 Fattura per acquisto intracomunitario di beni” o “TD11 fattura per acquisto intracomunitario di servizi”.
Purtroppo questa è una semplificazione difforme dalla realtà, posto che molto frequentemente fornitori comunitari cedono merce che è già presente in Italia (si pensi alle cessioni di carburante effettuate dai numerosi venditori su internet con depositi in Italia), e quindi non si è in presenza di una operazione comunitaria.
Inoltre, a tali complessità si aggiungerà la Brexit e le implicazioni connesse agli scambi con il Nord Irlanda. Di ciò, chiaramente, dovranno tenerne conto le software house.
Il reverse charge estero, ad oggi, viene effettuato dalla quasi totalità dei soggetti in forma cartacea: al ricevimento di un documento cartaceo (o in formato elettronico, ma extra SdI, come un Pdf via mail), si procede alla stampa del documento estero, all’emissione della autofattura cartacea o all’integrazione del documento cartaceo, ed alla conservazione analogica di tali documenti.
Vero è che l’Agenzia, già nel passato, aveva precisato che era possibile inviare una specie di “autofattura” a SdI per smaterializzare questa operazione, ma la cosa è stata sconsigliata da tutti, per la confusione informatica che poteva generarsi anche nei controlli dell’Agenzia.
A questo riguardo, la novità delle nuove specifiche che sembra andare incontro a chi intende smaterializzare completamente la fase del reverse charge, è l’istituzione di tre nuovi codici del “tipo documento”, che sono TD17, TD18 e TD19, utilizzabili per il reverse charge da farsi su servizi acquistati da soggetti stranieri, sugli acquisti comunitari, e su acquisti di beni da soggetti stranieri.
La logica di tali nuovi codici dovrebbe essere quella di rendere possibile che, già in sede di registrazione del documento estero, il sistema informativo possa creare un file xml da inviare all’Agenzia con i dati del fornitore estero e l’importo dell’Iva da assolvere, che oltre ad eliminare l’incombenza di dover comunicare l’operazione nell’esterometro, eviti proprio la stampa e la conservazione cartacea del documento integrato o dell’autofattura, ed inserisca l’operazione nel corretto rigo del quadro VJ della dichiarazione.
Analoga logica sembra avere il “tipo documento” “TD16 – integrazione reverse charge interno”.
Tale codice consente al cessionario o committente di una operazione in reverse charge interno (acquisto di rottami, di servizi di pulizia, subappalti edili, pallet usati, ecc…), di inviare a SdI un documento che sostituisce l’integrazione della copia cartacea della fattura del fornitore (elettronica inviata via SdI).
Dalle specifiche tecniche capiamo che se generiamo questo file xml da inviare a SdI, come cedente/prestatore andrà messo colui che ha ceduto il bene o prestato il servizio (ad esempio l’impresa di pulizia).
A parere di chi scrive, nel documento dovrebbe essere valorizzata l’imposta che si è assolta in reverse charge, anche se tale modus operandi non consente di determinare in che rigo del quadro VJ inserire l’operazione (salvo che l’Agenzia non riesca a incrociare questo documento con il campo “natura” inserito nella fattura emessa dal fornitore). L’alternativa (indicazione di un codice della famiglia N6), permetterebbe di individuare il rigo di competenza, ma non l’imposta assolta in reverse charge (si pensi ad esempio a chi riceve le fatture di subappalto edile, che le integra talvolta al 4% altre volte al 10% ed altre volte ancora al 22%).
In conclusione, le nuove specifiche tecniche, che per molti saranno solo una complicazione, per altri potrebbero essere uno stimolo per una maggiore automatizzazione dei processi amministrativi ed una eliminazione di documenti cartacei.
Tuttavia, molti chiarimenti sono necessari e, considerati i tempi di aggiornamento dei software gestionali utilizzati in particolare nelle grandi aziende, tali chiarimenti sono già in estremo ritardo.
(MF/ms)