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Rivalutazione di beni e partecipazioni: ecco i codici tributo per modello F24

Con la Risoluzione 30 aprile 2021, n. 29/E , sono stati istituiti i codici tributo per il versamento (con l’F24) delle imposte sostitutive dovute per la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni e per l’affrancamento del saldo attivo della rivalutazione, ai sensi dell’art. 110 del decreto “Agosto” (D.l. 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modifiche dalla Legge 13 ottobre 2020, n. 126), nonché per l’affrancamento del saldo attivo della rivalutazione, ai sensi dell’art. 6-bis del decreto “Liquidità” (D.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modifiche dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40).

In particolare:
 

CODICE TRIBUTO
“1857”, denominato “IMPOSTA SOSTITUTIVA SUL SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE –
art. 110, comma 3, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104”
1858”, denominato “IMPOSTA SOSTITUTIVA SUL MAGGIOR VALORE ATTRIBUITO AI BENI RIVALUTATI – art. 110, comma 4, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104”
1859”, denominato “IMPOSTA SOSTITUTIVA SUL SALDO ATTIVO DI RIVALUTAZIONE – settori alberghiero e termale – art. 6-bis del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23”
(MF/ms)



Regime premiale Isa: confermato il criterio della media semplice

Con il provvedimento n. 103206, pubblicato il 26 aprile, l’Agenzia delle Entrate ha definito le condizioni per l’accesso ai benefici del regime premiale ai fini Isa, confermando il sistema introdotto lo scorso anno basato non solo sul risultato di affidabilità relativo al 2020, ma anche sulla media del risultato di tale anno e quello dell’anno precedente.

Ove il risultato di affidabilità sia pari almeno a 8 per il periodo d’imposta 2020, oppure almeno a 8,5 come media semplice dei livelli di affidabilità 2019 e 2020, il contribuente può accedere ai seguenti benefici del regime premiale:

  • esonero dal visto di conformità sulla dichiarazione annuale per la compensazione dei crediti di importo non superiore a 50.000 euro annui relativi all’Iva, maturati nell’annualità 2021; a 20.000 euro annui relativi alle imposte dirette, maturati nel periodo 2020; a 20.000 euro annui relativi all’Irap, maturati nel periodo 2020
  • esonero dal visto di conformità sulla richiesta di compensazione del credito Iva infrannuale, maturato nei primi tre trimestri del 2022, per crediti di importo non superiore a 50.000 euro annui
  • esonero dal visto di conformità, ovvero dalla prestazione della garanzia, sulla richiesta di rimborso del credito Iva maturato per l’anno d’imposta 2021, per crediti d’importo non superiore a 50.000 euro annui
  • esonero dal visto di conformità, ovvero dalla prestazione della garanzia, sulla richiesta di rimborso del credito Iva infrannuale maturato nei primi tre trimestri dell’anno d’imposta 2022, per crediti di importo non superiore a 50.000 euro annui
Ove il risultato di affidabilità sia pari almeno a 9, tanto per il solo 2020, quanto come media semplice dei livelli di affidabilità 2019 e 2020, il contribuente può accedere ai seguenti benefici del regime premiale:
  • esclusione dalla disciplina delle società di comodo
  • esclusione della determinazione sintetica del reddito complessivo, a condizione che il reddito complessivo accertabile non ecceda di due terzi il reddito dichiarato
Ove il risultato di affidabilità sia pari almeno a 8,5 per il 2020, oppure a 9 come media semplice dei livelli di affidabilità 2019 e 2020, il contribuente può beneficiare dell’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici.

L’anticipazione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento con riferimento al reddito d’impresa e di lavoro autonomo è riconosciuta ai contribuenti con un risultato di affidabilità almeno pari a 8 per il medesimo periodo di imposta.

Il regime premiale è applicabile se per l’attività esercitata (o per quella esercitata in misura prevalente, in caso di esercizio di più attività d’impresa o più attività di lavoro autonomo) è previsto uno specifico Isa e se lo stesso è applicato dal contribuente. Conseguentemente, ne risultano esclusi i contribuenti che, per il periodo d’imposta interessato:

  • non presentano il modello Isa in presenza di una causa di esclusione;
  • oppure presentano il modello solo per fini statistici, o ai fini dell’acquisizione dei dati necessari all’elaborazione futura degli Isa (circ. Agenzia delle Entrate n. 17/2019, § 4, e n. 16/2020, § 8.1). 
Efficacia limitata per nuove esclusioni Covid

Da segnalare che, quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria sono state introdotte nuove cause di esclusione dagli Isa, in presenza delle quali permane l’obbligo di presentazione del modello a fini statistici. Ne consegue che, se la predetta impostazione verrà confermata, l’applicazione effettiva dei benefici premiali potrebbe risultare appannaggio di pochi. 

Infine, se sono conseguiti sia redditi d’impresa sia redditi di lavoro autonomo, l’accesso al regime premiale è possibile se:

  • il contribuente applica, per entrambe le categorie reddituali, i relativi Isa, ove previsti
  • il punteggio di ogni Isa, anche sulla base di più periodi d’imposta, è pari o superiore a quello minimo individuato per l’accesso al beneficio
(MF/ms)



Imposta di bollo sulle e-fatture: ecco la nuova guida dell’Agenzia delle Entrate

All’indomani dell’aggiornamento del portale “fatture e corrispettivi” resosi necessario per consentire di dare attuazione alla rinnovata procedura per l’assolvimento dell’imposta di bollo (cfr. art. 12-novies del Dl 34/2019, Dm 4 dicembre 2020 e provv. n. 34958/2021), l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una guida esplicativa delle nuove funzionalità.

Nel documento viene sottolineato come, ai fini del computo dell’importo dovuto per il trimestre di riferimento, vengono considerate le fatture elettroniche emesse nei confronti di privati in cui:

  • la data di consegna, indicata nella “ricevuta di consegna”, precede la fine del trimestre
  • la data di messa a disposizione, riportata nella “ricevuta di impossibilità di recapito”, è antecedente rispetto alla fine del trimestre
Per quanto concerne, invece, i documenti emessi nei confronti della Pubblica Amministrazione, saranno considerate le fatture:
  • consegnate e accettate dalla p.a. destinataria, per le quali la data di consegna indicata nella “ricevuta di consegna” precede la fine del trimestre
  • consegnate e in “decorrenza termini” (qualora la p.a. non abbia notificato né l’accettazione, né il rifiuto), relativamente alle quali la data di consegna è precedente alla fine del trimestre
  • non consegnate, per le quali la data di messa a disposizione (riportata nella “ricevuta di impossibilità di recapito”), è precedente alla fine del trimestre
Nella guida si osserva che l’eventuale anticipazione del versamento del tributo in un periodo antecedente a quello di competenza, pur non costituendo una violazione, potrebbe comportare un’eventuale “squadratura” tra gli importi versati e quelli conteggiati dall’amministrazione finanziaria, con la conseguente necessità di chiarire la differenza “con contatto presso l’Agenzia”.

Una delle caratteristiche peculiari del sistema consiste certamente nella messa a disposizione del soggetto passivo, entro il giorno 15 del primo mese successivo alla chiusura del trimestre:

  • dell’elenco A, immodificabile, nel quale sono riportate le fatture elettroniche in cui è correttamente riportato l’assoggettamento a imposta di bollo (essendo valorizzato il campo <bollo virtuale> con l’indicazione “si”)
  • dell’elenco B, oggetto, invece, di possibili modifiche, contenente gli estremi delle e-fatture nelle quali il campo <bollo virtuale> non è compilato pur essendo presenti i requisiti per l’assoggettamento al tributo
L’Agenzia sottolinea che i dati delle autofatture soggette a imposta di bollo, emesse a fronte della regolarizzazione di cui all’art. 6 commi 8 e 9-bis del D. lgs. 471/97 o all’art. 46 comma 5 del Dl 331/93, saranno riportati negli elenchi del cessionario o committente.

Al proposito si segnala, tuttavia, che nella guida, il codice TD20, in difformità rispetto alle specifiche tecniche allegate al provv. 34958/2021, parrebbe compreso fra le tipologie di documento (TD16, TD17, TD18 e TD19) non selezionate per la predisposizione dell’elenco B. Verosimilmente, anche se sul punto occorrerebbero conferme, si presume che il riferimento sia alle autofatture relative ad operazioni assoggettate a Iva.

Si ricorda che nella compilazione dell’elenco B vengono riportate dall’amministrazione finanziaria le fatture per le quali:

  • la sommatoria degli importi delle operazioni risulta superiore a 77,47 euro
  • il soggetto passivo ha indicato i codici natura: N2.1, N2.2, N3.5, N3.6 o N4
  • non è stata riportata alcuna codifica che indichi il possibile non assoggettamento al tributo
Sono escluse dal computo, invece, fra le altre, le e-fatture relative a operazioni effettuate da soggetti aderenti a regimi speciali (ad es. vendita di sali e tabacchi, commercio di fiammiferi, regime dell’editoria, ecc..).

Il soggetto passivo può modificare diverse volte l’elenco B entro il termine previsto, ossia, secondo quanto disposto dall’art. 6 del Dm 17 giugno 2014, “entro l’ultimo giorno del primo mese successivo alla chiusura del trimestre”, o, per le fatture elettroniche inviate mediante Sdi nel secondo trimestre solare, “entro il 10 settembre dell’anno di riferimento”.

Tuttavia, qualora decida di versare l’imposta di bollo entro la scadenza per la variazione dei dati, non potrà procedere più ad alcuna ulteriore modifica successivamente a detto versamento.

Le rettifiche possono essere operate per indicare le fatture che il contribuente non ritiene debbano essere soggette al tributo o per aggiungere gli estremi di quelle per le quali l’imposta è dovuta, ma che non sono presenti negli elenchi. Nel primo caso l’Agenzia rende noto che le relative motivazioni dovranno essere fornite in sede di eventuale verifica.

Per quanto concerne il primo trimestre 2021, si ricorda che il processo di modifica si dovrà concludere entro il prossimo 30 aprile. Entro il 15 maggio verrà comunicato l’importo dell’imposta di bollo dovuta, che dovrà essere versato entro il 31 maggio 2021.

(MF/ms)




Prova cessioni Ue e dichiarazione di ricezione dei beni: precisazioni

Ai sensi dell’art. 138, Direttiva Ue n. 2006/112, alle cessioni intra Ue può essere applicato il regime di non imponibilità solo al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
  • il cedente / acquirente devono essere soggetti passivi d’imposta
  • la cessione deve essere a titolo oneroso
  • la cessione deve determinare il trasferimento della proprietà sul bene ceduto
  • i beni devono essere spediti / trasportati da uno Stato UE ad un altro
A livello nazionale, il citato art. 138 è stato recepito dall’art. 41, comma 1, lett. a), Dl n. 331/93, in base al quale le cessioni di beni effettuate da operatori italiani nei confronti di operatori Ue sono considerate operazioni non imponibili Iva in quanto alle stesse è applicabile il regime di tassazione nello Stato Ue di destinazione dei beni.

Affinché la cessione possa considerarsi “intra Ue”, è necessario che sussistano i seguenti requisiti:

1. soggettività passiva dell’acquirente in un altro Stato Ue (o ivi identificato)
2. onerosità dell’operazione
3. trasferimento della proprietà / altro diritto reale sul bene
4. destinazione dei beni in un altro Stato Ue

Essendo necessario il trasferimento dei beni in un altro Stato Ue, in quanto ciò consente di considerare non imponibile la cessione nello Stato di partenza ed imponibile nello Stato di destinazione dei beni, assume un ruolo rilevante la prova da parte del cedente del trasporto / spedizione dei beni.

La Direttiva UE n. 2018/1910 ha modificato il citato art. 138 attribuendo rilevanza sostanziale:

  • al fatto che il cedente / acquirente siano dotati di un numero identificativo IVA e siano iscritti al Vies
  • alla corretta compilazione dell’elenco riepilogativo (mod. Intra) da parte del cedente
Tali disposizioni, che dovevano trovare applicazione dall’1.1.2020, sono in corso di recepimento nell’ordinamento nazionale nell’ambito della c.d. “Legge europea 2019-2020” (il “ritardo” è stato oggetto di una specifica procedura di infrazione 2020/0070).
 
Prova dell’uscita dei beni

Tra le condizioni per la non imponibilità di una cessione intra Ue è richiesto il possesso di adeguate prove documentali in grado di attestare che i beni oggetto della cessione siano stati effettivamente trasferiti in un altro Stato Ue.

In materia di prove da fornire per giustificare la non imponibilità, l’art. 131, Direttiva n. 2006/112/Ce lascia ai singoli Stati membri la facoltà di disciplinare le condizioni per l’applicazione del regime stesso (il legislatore nazionale non si è avvalso di tale facoltà).
 

Regolamento Ue Nr. 2018/1912

A decorrere dall’1.1.2020 è entrato in vigore il Regolamento Ue n. 2018/1912 contenente il regime probatorio del trasferimento dei beni delle cessioni intra Ue.

In particolare il citato regolamento Ue ha introdotto il nuovo art. 45-bis al regolamento n. 282/2011 che individua le “prove” al verificarsi delle quali si presume che i beni siano stati spediti / trasportati dal territorio di uno Stato Ue di partenza diverso da quello di destinazione e pertanto consente l’applicazione della non imponibilità alle cessioni intra Ue.

Il citato art. 45-bis prende in considerazione le seguenti fattispecie:

  • i beni sono spediti / trasportati dal cedente / da un terzo per suo conto;
  • i beni sono spediti / trasportati dall’acquirente / da un terzo per suo conto.
 

Trasporto / spedizione da parte del cedente

Il trasporto / spedizione si presume effettuato se il cedente è in possesso di:

  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dell’acquirente
  • ​un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione o il trasporto rilasciato da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 

Trasporto / spedizione da parte dell’acquirente

ll trasporto / spedizione si considera effettuato se il cedente è in possesso di:

  • una dichiarazione scritta dall’acquirente che certifica che i beni sono stati trasportati / spediti dall’acquirente, o da un terzo per conto dello stesso acquirente e che identifica lo Stato Ue di destinazione dei beni. In particolare la dichiarazione in esame, che l’acquirente deve fornire al cedente entro il decimo giorno successivo alla cessione, deve contenere i seguenti elementi:
     
  • data di rilascio
  • nome e indirizzo dell’acquirente
  • quantità e natura dei beni
  • data e luogo di arrivo dei beni
  • numero di identificazione del mezzo di trasporto nel caso di cessione di mezzi di trasporto
  • identificazione della persona che accetta i beni per suo conto
e
  • almeno 2 degli elementi di prova di cui alla Tabella A rilasciati da due diverse parti indipendenti dal cedente o dall’acquirente
o
  • un elemento di cui alla Tabella A in combinazione con uno di quelli previsti dalla Tabella B, che confermano la spedizione / trasporto, rilasciati da due diverse parti indipendenti, dal cedente e dall’acquirente.
 
Tabella A
  • crm firmato
  • polizza di carico
  • fattura di trasporto aereo
  • fattura emessa dallo spedizioniere
 
Tabella B
  • polizza assicurativa relativa alla spedizione / trasporto di beni o documenti bancari attestanti il pagamento della spedizione / trasporto dei beni
  • documenti ufficiali rilasciati da una Pubblica Autorità che confermano l’arrivo dei beni nello Stato Ue di destinazione
  • ricevuta rilasciata da un depositario nello Stato Ue di destinazione
 
Posto che gli elementi di prova devono essere rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra, dal cedente e dall’acquirente, la predetta disposizione non è applicabile alle cessioni per le quali il trasporto è effettuato in conto proprio dal cedente / acquirente.
 
 
La questione legata alle prove idonee a “garantire” la non imponibilità delle cessioni intra Ue è stata oggetto di diversi interventi da parte dell’Agenzia delle Entrate.
 
In particolare l’operatività della citata disposizione è stata esaminata dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 12.5.2020, n. 12/E, nell’ambito della quale sono richiamati innanzitutto i chiarimenti forniti prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis nei seguenti documenti di prassi:
  • risoluzioni 25.3.2013, n. 19/E, 15.12.2008, n. 477/E, 28.11.2007, n. 345/E e 24.7.2014, n. 71/E
  • risposta interpello 8.4.2019, n. 100.
Dopo aver confermato che le nuove disposizioni introdotte dal legislatore comunitario rappresentano una presunzione relativa circa l’avvenuto trasporto / spedizione dei beni in ambito Ue, l’Agenzia evidenzia che la stessa può essere riconosciuta anche con riferimento alle operazioni poste in essere anteriormente all’1.1.2020 (data di entrata in vigore della citata disposizione) a condizione che “il contribuente possieda un corredo documentale integralmente coincidente con le indicazioni” ivi richieste, con conseguente dimostrazione dell’avvenuto arrivo dei beni in un altro Stato Ue.

L’Agenzia conferma inoltre che è esclusa l’operatività della presunzione della movimentazione dei beni da uno Stato Ue ad un altro Stato Ue nel caso in cui il trasporto / spedizione sia effettuato direttamente dal cedente / acquirente senza l’intervento di altri soggetti (ad esempio, spedizioniere / trasportatore).

Ciò è stato evidenziato nell’ambito delle note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue nel mese di dicembre 2019. Infatti, in tale contesto,
gli elementi di prova non contradditori richiesti ai fini dell’applicazione della presunzione … devono … provenire da due parti indipendenti tra loro, dal venditore e dall’acquirente“.
 
Richiamando i chiarimenti forniti dalla commissione Ue nelle citate note esplicative, l’Agenzia specifica che non è possibile considerare due parti “indipendenti” quando le stesse fanno parte del medesimo soggetto giuridico. Ciò si riscontra, ad esempio, in presenza di stabile organizzazione e casa madre ovvero di soggetti legati da vincoli familiari o altri stretti legami personali, gestionali, associativi, proprietari, finanziari o giuridici (ad esempio, amministratore delegato e società amministrata, società legate da rapporti di controllo ex art. 2359, c.c).

In merito al rapporto tra le presunzioni di cui all’art. 45-bis e la prassi nazionale in materia di prova del trasporto / spedizione di una cessione intra Ue, l’Agenzia evidenzia che le autorità fiscali dei singoli Stati Ue conservano comunque la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuta movimentazione dei beni.

A tal fine l’Agenzia rappresenta le seguenti fattispecie:

  • l’amministrazione finanziaria entra in possesso di elementi che dimostrano che il trasporto intra Ue non è stato effettuato (a titolo esemplicativo nel corso di un controllo si riscontra che i beni sono ancora presenti nel magazzino del cedente o la distruzione dei beni durante il trasporto)
  • l’amministrazione finanziaria dimostra che uno o più documenti contengono informazioni non corrette o addirittura false
In ogni caso anche nelle predette situazioni, il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta.
Conclude, così, l’Agenzia affermando che nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis.
 

Dichiarazione di ricezione dei beni rilasciata dal destinatario

La sopra descritta questione è stata oggetto di un nuovo intervento dell’Agenzia delle Entrate. Con la risposta 3.3.2021, n. 141 è stato affrontato il caso di una società italiana esercente attività di sviluppo di soluzioni tecnologiche avanzate che effettua cessioni intra Ue sia con clausola “franco fabbrica” (la consegna dei beni è effettuata al vettore incaricato dall’acquirente Ue, presso la sede dell’operatore italiano) sia con clausola “franco destino” (rischi e spese di spedizione a carico del fornitore).

In caso di trasporto effettuato dal cedente / da un terzo per suo conto, la società intende “provare”, il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:

  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • fattura del vettore incaricato con evidenza delle consegne effettuate e documentazione attestante il pagamento della fattura;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
In caso di trasporto effettuato dall’acquirente Ue / da un terzo per suo conto, la società intende “provare” il trasporto dei beni in un altro Stato Ue sulla base del seguente “set documentale”:
  • fattura di vendita all’acquirente Ue;
  • mod. Intra relativo alle cessioni intra Ue effettuate;
  • rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento dei beni;
  • copia del contratto o dell’ordine / conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con l’acquirente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;
  • ddt con indicazione della destinazione dei beni, firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni;
  • documento di trasporto internazionale “cmr” firmato dal trasportatore per presa in carico dei beni e dal destinatario per ricevuta.
Considerata la difficoltà di recuperare il “cmr” firmato anche dal destinatario dei beni, quale prova di ricezione degli stessi, la società, in conformità a quanto specificato nella citata risoluzione n. 19/E e nella citata risposta n. 100, intende richiedere all’acquirente un’attestazione che conferma l’avvenuta ricezione dei beni nel proprio Stato Ue, contenente tra l’altro:
  • identificativo dell’acquirente;
  • numero di partita Iva dell’acquirente;
  • numero e data della fattura di vendita;
  • importo della fattura di vendita;
  • indicazione del peso del materiale oggetto della fattura;
  • dichiarazione dell’acquirente di ricezione dei beni (“il sottoscritto conferma la ricezione e la consegna dei beni relativi alla sopra menzionata fattura“);
  • timbro e firma dell’acquirente.
Nella risposta in esame l’Agenzia richiama innanzitutto i chiarimenti forniti nelle citate note esplicative “quick fixes 2020″ emanate dalla commissione Ue evidenziando in particolare che:
  • il contribuente conserva la possibilità di dimostrare con altri elementi oggettivi di prova che l’operazione sia realmente avvenuta;
  • l’art. 45-bis non preclude agli Stati membri l’applicazione di norme / prassi nazionali ulteriori in materia di prova delle cessioni intra Ue, “eventualmente più flessibili della presunzione prevista dal regolamento Iva”.
Confermando quanto precisato nella citata circolare n. 12/E nel caso in cui non sia applicabile la presunzione di cui all’art. 45-bis, ossia che continua a trovare applicazione la prassi nazionale, emanata anche prima dell’entrata in vigore del citato art. 45-bis, l’Agenzia conclude affermando che le indicazioni contenute nella citata risoluzione n. 19/E riguardanti la conservazione della documentazione attestante la prova del trasporto / spedizione del bene da parte del fornitore, la sua esibizione e la tempistica di acquisizione, sono ancora valide. In ogni caso, sottolinea l’Agenzia che, l’idoneità dei documenti individuati dalla prassi nazionale “è comunque soggetta alla valutazione, caso per caso, dell’amministrazione finanziaria”.

(MF/ms)




Inps: nuovo flusso Uniemens-Cig per il pagamento diretto ai lavoratori

Al fine di provvedere al pagamento diretto da parte dell’Inps degli interventi di integrazione salariale, sia con causale Covid19 che ordinarie, con la circolare n. 62 del 14 aprile 2021 l’istituto indica le prime istruzioni operative circa l’utilizzo del nuovo flusso UniEmens-Cig che andrà a sostituire il modello SR41 utilizzato sino ad ora.

È previsto, in ogni caso, un periodo transitorio di sei mesi fino al mese di settembre 2021 entro il quale entrambe le modalità potranno coesistere, in modo tale che le aziende e gli intermediari abilitati potranno apprendere la nuova modalità di invio ed adeguare i propri sistemi operativi.

È importante sottolineare che la scelta del nuovo flusso Uniemens-Cig genera un numero ticket definito “tipizzato” che dovrà essere sempre associato nella dichiarazione di tutte le richieste di pagamento successive al primo flusso inviato.

Il rispetto dei tempi di inoltro all’istituto rimangono invariati: le aziende e gli intermediari abilitati devono inviare il flusso di informazioni entro la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo di integrazione salariale ovvero entro il termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento di autorizzazione, se più favorevole.

L’istituto sottolinea cha la nuova procedura consentirà tempi più rapidi di analisi e verifica; potrà essere trasmessa senza dover attendere l’autorizzazione, poiché il riconoscimento avverrà attraverso l’associazione al ticket “tipizzato”; il pagamento sarà comunque effettuato solo dopo rilascio dell’autorizzazione da parte della sede competente per territorio.

Per i lavoratori beneficiari sprovvisti di conto corrente, l’istituto suggerisce di evitare la compilazione della casella “Iban” in modo da consentire l’attivazione automatica di un bonifico domiciliato presso Poste Italiane purchè sia di importo inferiore ai mille euro, limite determinato dalle norme antiriciclaggio: l’accorgimento consentirà di evitare blocchi e ritardi nell’accreditamento delle somme ai lavoratori.

Le istruzioni complete utili alla corretta compilazione del flusso UniEmens-Cig sono contenute nei documenti allegati.

(FP/fp)




Credito imposta locazioni: riconosciuto sulle mensilità 2020 anche se il pagamento avviene nel 2021

Il credito d’imposta sui canoni di locazione di immobili ad uso non abitativo di cui all’art. 28 del Dl 34/2020 può spettare, con riferimento ai mesi del 2020 per cui è previsto, anche se i canoni vengono corrisposti nel 2021, ma solo dopo il pagamento (in caso di cessione al locatore, dopo il pagamento parziale), purché siano presenti tutte le condizioni richieste dalla normativa.

Lo ribadisce l’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 263, pubblicata il 19 aprile. 

Si rammenta che il credito d’imposta locazioni, di cui all’art. 28 del Dl 34/2020, riguarda i soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione con ricavi/compensi inferiori a 5 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, ed è pari al 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, leasing o concessione di immobili a uso non abitativo destinati all’attività, ovvero al 30% in caso di affitto d’azienda o contratto di servizi a prestazioni complesse comprensivi di immobili (la misura sale al 50% per l’affitto d’azienda per le imprese turistico ricettive).

Per le strutture alberghiere, termali e agrituristiche, nonché per agenzie di viaggio e tour operator, il credito d’imposta spetta a prescindere dai ricavi del periodo precedente.

Alle imprese esercenti attività di commercio al dettaglio, con ricavi superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente, il credito d’imposta spetta nella misura del 20% (10% affitto d’azienda).

Per accedere al credito, i conduttori devono aver subito un calo del fatturato, nel mese di riferimento, di almeno il 50% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
La condizione del calo del fatturato non opera per i soggetti che hanno iniziato l’attività a partire dal 1° gennaio 2019, nonché per i soggetti che hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti da eventi calamitosi con stato di emergenza già in vigore al 31 gennaio 2020.

Il credito d’imposta riguarda ciascuno dei mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 2020 (aprile, maggio, giugno e luglio 2020 per le strutture turistico ricettive con attività solo stagionale).

Il bonus spetta per i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2020, indipendentemente dal volume di ricavi e compensi registrato nel periodo di imposta precedente (ma in presenza del calo del fatturato):

  • per le imprese operanti nei settori riportati nell’allegato 1 al Dl 137/2020 “Ristori”;
  • per le imprese operanti nei settori riportati nell’allegato 2 al Dl 137/2020 convertito, nonché per le imprese che svolgono le attività di agenzia di viaggio o tour operator (codici Ateco 79.1, 79.11, 79.12), aventi sede operativa in “zone rosse”.
Inoltre, la legge di bilancio 2021 (art. 1 comma 602 della L. 178/2020) ha esteso il credito fino al 30 aprile 2021 per le imprese turistico-ricettive, le agenzie di viaggio e i tour operator, specificando, poi (art. 2-bis del Dl 172/2020, come conv. dalla L. 6/2021) che la condizione del calo del fatturato, per i mesi del 2021, va verificata confrontando i mesi di riferimento dell’anno 2021 con gli stessi mesi dell’anno 2019 (e non 2020).

Il credito può essere utilizzato:

  • in compensazione nel modello F24 (codice tributo “6920”) successivamente all’avvenuto pagamento del canone;
  • nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento della spesa;
  • ceduto, anche parzialmente, ai sensi dell’art. 122 del Dl 34/2020 ad altri soggetti, compresi istituti di credito o il locatore stesso (in quest’ultimo caso occorre pagare solo la differenza tra canone dovuto e credito d’imposta ex art. 28 comma 5-bis del Dl 34/2020 convertito; cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2020, § 5).
Nel caso di specie, il contribuente istante si domandava se potesse accedere al tax credit locazioni con riferimento ai mesi agevolati del 2020, pur non avendo ancora pagato tali canoni. In particolare, egli intenderebbe cedere il credito al locatore e corrispondere, quindi, nel 2021, al locatore solo il 40% dei canoni 2020 oggetto di agevolazione. 

L’Agenzia delle Entrate conferma la possibilità di accedere al credito locazioni per le mensilità 2020 anche ove il canone venga corrisposto nel 2021 (come già affermato nel corso di Telefisco 2021, superando il dato letterale del comma 5 dell’art. 28 del Dl 34/2021, che fa riferimento a quanto “versato nel periodo d’imposta 2020”). Tale soluzione, d’altronde, pare necessitata a seguito dell’entrata in vigore della legge di bilancio 2021, che, per taluni soggetti, ha ammesso il credito anche per le prime 4 mensilità del 2021. 

Infine, l’Agenzia precisa, nuovamente, che il credito locazioni matura solo dopo il pagamento dei canoni e, quindi, in caso di cessione del credito al locatore, solo dopo il pagamento della quota del 40% del canone (per la locazione immobiliare), purché, peraltro, siano rispettate le prescrizioni in tema di efficacia della cessione del credito dettate dal provv. n. 250739/2020 e dai successivi provv. n. 378222/2020 e n. 43058/2021.

(MF/ms)




Conservazione scritture contabili per dieci anni

Con l’ordinanza n. 9794, depositata il 14 aprile, la Corte di Cassazione è tornata a precisare che resta fermo, in ogni caso, in capo al contribuente, l’obbligo di conservare la documentazione contabile per dieci anni e non solo per il minor lasso di tempo riconosciuto all’amministrazione finanziaria per l’espletamento dell’accertamento.

Il caso riguarda una S.p.a.  alla quale era stato notificato un avviso di accertamento volto al recupero di un credito d’imposta indebitamente utilizzato per l’anno 2011.

La società eccepiva la violazione dell’articolo 22 Dpr. 600/1973 e dell’articolo 2220 cod. civ.

In forza della prima delle citate disposizioni, le scritture contabili obbligatorie “devono essere conservate sino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta, anche oltre il termine stabilito dall’articolo 2220 o da altre leggi tributarie”.

In merito alla richiamata disposizione era già intervenuta la Corte di Cassazione, con la precedente sentenza n. 9834 del 13.05.2016, con la quale aveva chiarito che la norma doveva essere interpretata nel rispetto del principio specifico previsto dall’articolo 8, comma 5, L. 212/2000, in forza del quale “l’obbligo di conservazione di atti e documenti, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione”.

Alla luce della richiamata previsione la Corte di Cassazione, già nel 2016, aveva ritenuto che l’estensione oltre il termine decennale fosse possibile solo nel caso in cui il decennio fosse spirato prima che l’accertamento, seppur iniziato, non fosse definito, “diversamente derivandone, se non un interpretazione sostanzialmente abrogatrice della norma, un’applicazione di essa influenzata da un forte indice di discrezionalità, nel senso che, potendo l’amministrazione procedere all’accertamento nei termini del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 43, l’obbligo di conservazione, scaduto il periodo decennale, si protrarrebbe sino alla scadenza dei termini anzidetti per una durata che dipende esclusivamente dalla volontà dell’ufficio, rispetto alla quale il contribuente non avrebbe altra difesa che conservare le scritture sine die”.

La più recente pronuncia, pur tenendo conto di quanto appena richiamato, ha tuttavia ritenuto che la medesima disposizione non possa essere interpretata nel senso di derogare l’articolo 2220 cod. civ., prevedendo un obbligo di conservazione per un tempo più limitato dei dieci anni previsti dal codice civile, coincidente con il termine attribuito all’Amministrazione finanziaria per l’espletamento dell’accertamento.

Nel caso di specie, infatti:

  • l’accertamento aveva avuto inizio nell’anno 2011,
  • le agevolazioni con riferimento alle quali vi era un obbligo di conservazione della documentazione risalivano al 2003,
  • le dichiarazioni omesse riguardavano i periodi 2005-2009.
Trattandosi di documenti tutti rientranti nel lasso di tempo decennale previsto dall’articolo 2220 cod. civ., la Corte di Cassazione, con l’ordinanza depositata, ha qualificato come perdurante l’obbligo di conservazione, e, dunque, legittima la richiesta di documentazione avanzata dall’Agenzia delle entrate.

Con riferimento alla richiamata pronuncia e, soprattutto, alle disposizioni in materia di conservazione dei documenti contabili, non può ignorarsi quanto recentemente è stato stabilito dalle Sezioni Unite, con la nota sentenza n. 8500 del 25.03.2021: “una volta stabilito che la deduzione dell’elemento pluriennale in ogni singola annualità di imposta espone il contribuente alla potestà di accertamento dell’Amministrazione finanziaria indipendentemente dalla decadenza nella quale quest’ultima sia incorsa sulle annualità pregresse, non pare inesigibile – proprio in ottica, anche questa statutaria, di affidamento e reciproca collaborazione – che il contribuente sia onerato della diligente conservazione delle scritture, non sine die, ma fino allo spirare del termine di rettifica (anche se ultradecennale) dell’ultima dichiarazione accertabile”.

Alla luce del quadro richiamato, dunque, permane sempre, in capo al contribuente, l’onere di conservare la documentazione per dieci anni, nonché per il maggior termine di decadenza dell’accertamento (che, alla luce di quanto appena esposto, ben potrebbe essere superiore ai dieci anni).

(MFms)
 




Dichiarazione Iva 2021: 30 aprile 2021 il termine per la detrazione Iva sugli acquisti 2020

Entro il prossimo 30 aprile dovrà essere presentata la dichiarazione Iva 2021 relativa al 2020, come previsto in via ordinaria dall’art. 8 comma 1 del Dpr 322/98.

Il termine di presentazione della dichiarazione annuale Iva rappresenta altresì il limite temporale per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta, posto che, ai sensi dell’art. 19 comma 1 del Dpr 633/72, esso è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui è sorto.

Come chiarito nella circ. Agenzia delle Entrate n. 1/2018, tale anno è da individuarsi sulla base del momento in cui si è verificato il duplice presupposto:

  • dell’esigibilità dell’imposta (art. 6 comma 5 del Dpr 633/72);
  • del possesso della fattura di acquisto da parte del cessionario o committente (art. 178 della direttiva 2006/112/Ce).
Ciò sta a significare che, per gli acquisti di beni e/o servizi il cui diritto è sorto nell’anno 2020 (e il documento ricevuto entro la fine di tale anno), la detrazione potrà essere operata con la dichiarazione Iva riferita al 2020, vale a dire – senza sanzioni – entro il 30 aprile 2021.

Per chi non dovesse esercitare il diritto alla detrazione nel termine anzidetto, il recupero dell’imposta potrà avvenire esclusivamente presentando una dichiarazione Iva integrativa “a favore” (art. 8 comma 6-bis del Dpr 322/98), entro il 31 dicembre 2026.

Quanto esposto non vale per le fatture che siano state ricevute a inizio 2021, relative a operazioni la cui esigibilità si è verificata nel 2020; in questa evenienza l’esercizio del diritto alla detrazione è possibile sino alla dichiarazione Iva 2022 relativa al 2021 (anno di ricezione del documento di acquisto), atteso che la contemporanea presenza dei requisiti sostanziale (esigibilità dell’imposta) e formale (possesso della fattura), si è potuta verificare soltanto nel 2021.

Il termine di presentazione della dichiarazione Iva annuale incide, inoltre, sui termini per emettere le note di variazione in diminuzione di cui all’art. 26 comma 2 ss. del DPR 633/72.

Secondo quanto indicato nella richiamata circ. Agenzia delle Entrate n. 1/2018, la nota di variazione in diminuzione deve essere emessa (e la maggiore imposta a suo tempo versata può essere detratta), al più tardi, entro la data di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione.

Sul punto, sono da evidenziare, tuttavia, due recenti interventi di prassi dell’Agenzia delle Entrate che paiono discostarsi rispetto al principio di cui alla circolare n. 1/2018.

Nella risposta a interpello n. 192/2020, per un verso viene ribadito che la nota di variazione in diminuzione, per una procedura la cui “infruttuosità” si è manifestata nel 2019, può essere emessa entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva 2020 per il 2019 (il cui termine era stato differito al 30 giugno 2020).

Per altro verso, il documento di prassi indica che l’Iva detratta dovrebbe confluire “nella dichiarazione annuale Iva 2021 relativa al periodo d’imposta 2020” (qualora la nota sia emessa nel 2020)

Si tratta di un’affermazione che desta qualche perplessità: non risulta del tutto comprensibile, difatti, per quale ragione la nota di variazione debba essere emessa entro il termine per la presentazione della dichiarazione Iva riferita al periodo 2019, se il diritto alla detrazione è esercitato nella dichiarazione successiva.

Analoghe considerazioni sono contenute nella risposta a interpello n. 119/2021, con riferimento a un caso di risoluzione contrattuale, da parte di una società di fornitura di energia elettrica (in mancanza del pagamento del corrispettivo da parte del cessionario), avvenuta nel 2019, con emissione della nota di variazione nel 2020, entro il termine per la presentazione del modello Iva.

Anche in questa circostanza, si sostiene che l’Iva detratta avrebbe dovuto confluire nella liquidazione relativa al periodo di emissione del documento “o, al più tardi, nella dichiarazione annuale Iva di riferimento (ossia, nella fattispecie in esame, la dichiarazione 2021 relativa al periodo d’imposta 2020)”.

La conclusione a cui sono pervenute le due recenti risposte a interpello non appare coerente neppure con le istruzioni contenute nel modello dichiarativo (si veda, ad esempio, il modello Iva 2021, riferito al 2020).
In tale sede, è precisato che nei righi da Ve1 a Ve12 devono essere riportate le operazioni per le quali si è verificata l’esigibilità dell’imposta nell’anno, “tenendo conto delle variazioni di cui all’art. 26 registrate per lo stesso anno”.
La predetta locuzione lascerebbe intendere che, nei righi da Ve1 a Ve12 del modello Iva 2021 relativo al 2020 possano essere incluse anche le note di credito registrate con riferimento all’anno cui la dichiarazione si riferisce.

(MF/ms)




Agenzia delle Entrate: online la guida all’utilizzo della piattaforma cessione crediti

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una guida sulla piattaforma “cessione crediti”, dedicata ai vari crediti d’imposta cedibili a soggetti terzi.

Per una serie di spese sostenute, infatti, il contribuente può usufruire, in alternativa alla detrazione:

  1. di un contributo sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, che viene anticipato dal fornitore
  2. della possibilità di cedere ad altri soggetti il credito d’imposta spettante
A tal fine, in particolare, occorre distinguere tra due tipologie di crediti:
  • quelli già inseriti in via automatica nella piattaforma: si tratta ad esempio del bonus vacanze, del credito d’imposta riconosciuto per le spese di sanificazione e per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, nonché del credito d’imposta previsto per le spese sostenute per l’adeguamento degli ambienti di lavoro. Per tali misure, i titolari del credito accedono alla piattaforma dall’area riservata del sito delle Entrate, e possono comunicare la cessione a terzi
  • quelli che, invece, non sono noti all’Agenzia, in quanto possono essere utilizzati senza una preventiva comunicazione. Si tratta ad esempio del Superbonus e dei crediti d’imposta riconosciuti per i canoni di locazione
Chi riceve il credito attraverso la piattaforma può:
  1. monitorare i crediti
  2. cedere i crediti
  3. confermare di accettare la cessione tramite la funzione “accettazione crediti”
  4. consultare l’elenco delle comunicazioni di cessione dei crediti in cui risulta come cedente o cessionario
La piattaforma – spiega la guida in esame – è infatti composta dalle seguenti quattro funzioni, accessibili dalla home page:
  • monitoraggio crediti
  • cessione crediti
  • accettazione crediti
  • lista movimenti
In quest’ultima area della piattaforma, l’utente può consultare la lista delle comunicazioni di cessione dei crediti in cui risulta come cedente o cessionario, nonché le eventuali operazioni successive; a tal fine è necessario specificare il periodo temporale oggetto della consultazione o il codice fiscale del cedente o del cessionario (anche parzialmente) e poi cliccare sul pulsante “visualizza”.

(MF/ms)




Esterometro 2021: prima scadenza 30 aprile 2021

Scade il 30 aprile 2021 il termine per trasmettere telematicamente all’Agenzia delle Entrate la comunicazione delle operazioni transfrontaliere, di cui all’articolo 1, comma 3-bis, Dlgs. 127/2015, relativa al I trimestre 2021 (gennaio-febbraio-marzo).

Quest’anno sarà, come noto, l’ultimo per il c.d. esterometro: l’adempimento è stato abrogato dall’articolo 1, comma 1103, L.178/2020.

Con riferimento alle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2022, i dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato andranno trasmesse telematicamente utilizzando il formato della fattura elettronica, ossia trasmettendo un file xml al sistema di interscambio.

Pertanto, nel 2021 siamo ancora interessati all’invio dell’esterometro.
I dati delle fatture relative ad operazioni verso o da soggetti non residenti, non stabiliti in Italia, vanno trasmessi trimestralmente all’agenzia delle entrate, entro la fine del mese successivo al trimestre di riferimento.

Per quanto riguarda il primo trimestre 2021, occorre attenersi al contenuto dell’allegato A – specifiche tecniche versione 1.6.2 (provvedimento agenzia delle entrate del 20 aprile 2020), che ha introdotto un maggior grado di dettaglio nei campi del tracciato xml utilizzato sia per la fattura elettronica che per l’esterometro.
Non tutte le novità introdotte dalla citata versione 1.6 (e seguenti aggiornamenti) hanno effetti sulla comunicazione delle operazioni transfrontaliere.
Esclusivamente per i dati delle fatture emesse verso soggetti non residenti, non stabiliti in Italia (blocco DTE), occorre valorizzare il campo “codice destinatario” con il valore “XXXXXXX” ed il campo “natura”, volto ad esprimere il “motivo” specifico per il quale il cedente/prestatore non indica l’imposta in fattura.

A decorrere dal 1° gennaio 2021 il campo “natura” non può più accogliere il codice generico N2, N3 o N6, in analogia con quanto previsto per la fatturazione elettronica: di conseguenza sono stati introdotti i seguenti sottocodici di dettaglio.

  • 1 non soggette ad Iva ai sensi degli articoli da 7 a 7-septies del Dpr. 633/1972
  • 2 non soggette – altri casi
  • 1 non imponibili – esportazioni
  • 2 non imponibili – cessioni intracomunitarie
  • 3 non imponibili – cessioni verso San Marino
  • 4 non imponibili – operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione
  • 5 non imponibili – a seguito di dichiarazioni d’intento
  • 6 non imponibili – altre operazioni che non concorrono alla formazione del plafond
Dal 1° gennaio 2021, qualora venga indicato il valore generico N2, N3 o N6 come codice natura dell’operazione, il file viene scartato con codice errore 00448.

Esemplificando, una prestazione di servizi resa ad un committente soggetto passivo Iva estero richiede l’utilizzo della “natura” N2.1, in quanto operazione non soggetta ai sensi dell’articolo 7-ter Dpr. 633/1972mentre una cessione intracomunitaria di beni necessita del codice “natura” N3.2 – operazione non imponibile ai sensi dell’articolo 41 Dl. 331/1993.
Dal lato degli acquisti (blocco DTR), invece, restano validi i codici “tipo documento” utilizzati fino allo scorso anno. Pertanto, occorre riportare uno tra i seguenti codici:

  • TD01 fattura
  • TD04 nota di credito
  • TD05 nota di debito
  • TD07 fattura semplificata
  • TD08 nota di credito semplificata
  • TD10 fattura per acquisto intracomunitario beni
  • TD11 fattura per acquisto intracomunitario servizi
  • TD12 documento riepilogativo (art.6, Dpr  695/1996).
Restano escluse, in ogni caso, le operazioni per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche; in quest’ultimo caso, il contribuente può scegliere facoltativamente di avvalersi della fatturazione elettronica anche per le operazioni effettuate con controparti estere (operazione attive e/o passive), evitando la comunicazione delle operazioni transfrontaliere già per l’anno in corso.
Tale scelta non comporta alcuna opzione preventiva né l’onere per il contribuente di seguire una strada piuttosto che l’altra: resta inteso che, salvo ripensamenti da parte del legislatore, con l’approssimarsi della fine dell’anno è consigliabile iniziare a prendere dimestichezza con la fatturazione elettronica anche per le operazioni estere. A tal proposito segnaliamo che le specifiche tecniche della fatturazione elettronica prevedono dei codici “tipo documento” in parte distinti da quelli sopra elencati.

Riportiamo di seguito i codici “tipo documento” di maggior utilizzo con riferimento alla fatturazione elettronica:

  • TD01 fattura
  • TD02 acconto/anticipo su fattura
  • TD03 acconto/anticipo su parcella
  • TD04 nota di credito
  • TD05 nota di debito
  • TD06 parcella
  • TD16 integrazione fattura reverse charge interno
  • TD17 integrazione/autofattura per acquisto servizi dall’estero
  • TD18 integrazione per acquisto di beni intracomunitari
  • TD19 integrazione/autofattura per acquisto di beni ex art.17 c.2 Dpr. 633/1972
(MF/ms)