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Decreto sostegni, accesso al fondo perduto per i forfetari

L’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sul calcolo del fatturato per i contributi del Dl Sostegni.

Tra i chiarimenti relativi al contributo a fondo perduto ex art. 1 del DL 41/2021 (Dl “Sostegni” in corso di conversione in legge), la circ. Agenzia delle Entrate n. 5/2021 si è espressa in merito al calcolo della riduzione del fatturato medio mensile degli anni 2019 e 2020.

In particolare, è stato reso noto che anche i soggetti in regime forfetario dovranno assumere come riferimento la data di effettuazione dell’operazione che, per le fatture immediate e i corrispettivi, corrisponde rispettivamente alla data della fattura (nel caso di fattura elettronica il campo 2.1.1.3 <Data>) o alla data del corrispettivo giornaliero.

Si deve, dunque, fare riferimento alla documentazione tenuta ai fini della verifica del superamento della soglia massima prevista per l’accesso al regime di cui all’art. 1 comma 54 della L. 190/2014.

Di riflesso, risulta irrilevante, per la determinazione del fatturato e dei corrispettivi dei soggetti forfetari, il momento in cui è avvenuto il pagamento del corrispettivo delle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate.

Viene, inoltre, ribadito che, ai fini del calcolo del fatturato medio mensile e dei corrispettivi del 2019 e del 2020:

  • devono essere considerate tutte le fatture attive (al netto dell’IVA) con data di effettuazione dell’operazione nel periodo 2019 e 2020 di riferimento, nonché le fatture differite emesse nel mese di gennaio 2020 e 2021 e relative a operazioni effettuate nel mese di dicembre dell’anno precedente;
  • i commercianti al minuto e gli altri contribuenti di cui all’art. 22 del DPR 633/72 devono considerare l’ammontare globale dei corrispettivi (al netto dell’IVA) delle operazioni effettuate nel periodo di riferimento;
  • concorrono a formare l’ammontare del fatturato anche le cessioni di beni ammortizzabili;
  • nel caso di operazioni la cui imposta viene calcolata con il metodo della ventilazione dei corrispettivi ovvero con applicazione del regime del margine, per le quali risulta difficoltoso il calcolo dei corrispettivi o delle fatture al netto dell’IVA, l’importo può essere riportato al lordo dell’IVA (sia con riferimento al 2019 che al 2020).
Più in generale, la circolare n. 5/2021, riferita al contributo ex Dl 41/2021, precisa che, in linea di principio, rimangono applicabili i chiarimenti già forniti in relazione ai precedenti contributi a fondo perduto con le circolari n. 15/2020 e n. 22/2020.

Tra le altre indicazioni, è confermato che la data di effettuazione dell’operazione vale, ai fini del calcolo del fatturato, anche per i soggetti che applicano il regime di IVA per cassa.

Si chiarisce che alla determinazione del fatturato concorrono anche le somme addebitate in rivalsa al committente a titolo di contributo integrativo per le casse di previdenza e assistenza. Trattasi, difatti, di importi inclusi nella base imponibile IVA.

Nella circolare in analisi, trova spazio anche una precisazione in merito alle operazioni che concorrono alla determinazione del fatturato del periodo.

Viene specificato che sono da considerare tutte le somme che costituiscono il “fatturato” (o i corrispettivi) del periodo di riferimento “purché le stesse rappresentino ricavi dell’impresa di cui all’articolo 85 del TUIR (o compensi derivanti dall’esercizio di arti o professioni, di cui all’articolo 54, del medesimo TUIR” ovvero “rappresentative di altri componenti di reddito che, a causa del non perfetto allineamento tra la data di effettuazione dell’operazione di cessione dei beni o di prestazione dei servizi (…) sono antecedenti o successivi alla data di fatturazione”.

Nella precedente circolare n. 22/2020 si faceva riferimento alle sole operazioni configuranti ricavi dell’impresa. Con il documento di prassi più recente, si precisa che le operazioni da computare nel fatturato devono configurare, più in generale, componenti positivi di reddito (includendo, ad esempio, plusvalenze o sopravvenienze attive).

Escluse dal fatturato le assegnazioni di immobili ai soci

Tuttavia, con un’affermazione che non appare del tutto coerente con il quadro generale appena descritto, la circ. Agenzia delle Entrate n. 5/2021 esclude dal computo del fatturato del periodo le assegnazioni di immobili ai soci e le estromissioni.

Trattandosi di operazioni “nell’ambito dei rapporti tra soci e società”, finalizzate “a una distribuzione in natura del patrimonio della società stessa”, l’Agenzia ritiene che esse non rientrino tra le operazioni riconducibili alla nozione di fatturato di cui all’art. 1 del DL 41/2021, seppure si tratti di cessioni che, in talune ipotesi, sono incluse nel campo di applicazione dell’IVA e, ai fini delle imposte sui redditi, assimilabili alla cessione di beni ai soci.
 

(MF/ms)




Assolvimento dell’imposta di bollo su registri contabili elettronici

Con la risposta a interpello n. 346, pubblicata il 17 maggio 2021, l’Agenzia delle Entrate torna a occuparsi della tenuta dei registri contabili con sistemi elettronici, precisando che il comma 4-quater dell’art. 7 del Dl 357/94, come modificato dal Dl 34/2019, consente di derogare all’obbligo della stampa o dell’archiviazione sostitutiva degli stessi.

Inoltre, l’imposta di bollo sui registri contabili tenuti in modalità informatica è assolta secondo l’art. 6 del Dm 17 giugno 2014, senza poter ricorrere per il versamento al contrassegno telematico o al modello F23.

Il comma 4-quater dell’art. 7 del Dl 357/94 dispone, in deroga al precedente comma 4-ter, che la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi elettronici su qualsiasi supporto si consideri, in ogni caso, regolare, anche in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, se in sede di accesso, ispezione o verifica:

  • risulti aggiornato sui supporti elettronici;
  • sia stampato su richiesta degli organi procedenti e in loro presenza.
Avvalendosi di tale norma, l’istante intende effettuare “una stampa periodica virtuale dei libri contabili (stampa su file «pdf») e versare l’imposta di bollo in base al numero delle pagine (generate al momento della stampa in «pdf»)”, utilizzando, alternativamente, il modello F23 (con codice tributo “458T”) oppure il modello F24 (codice tributo “1552”).

Si segnala che la norma citata è stata recentemente oggetto di chiarimenti con la risposta a interpello n. 236/2021.

In tale occasione, partendo dal presupposto che tenuta e conservazione fossero “concetti ed adempimenti distinti, seppure posti in continuità”, era stato precisato che l’introduzione e la modifica del comma 4-quater non ha comportato una deroga agli ordinari obblighi di conservazione dei registri tenuti con sistemi informatici, da realizzarsi mediante stampa cartacea o conservazione elettronica.

Era stato chiarito, inoltre, che la tenuta dei registri contabili in modalità elettronica determina l’assolvimento dell’imposta di bollo a norma dell’art. 6 del Dm 17 giugno 2014 “indipendentemente dalla successiva conservazione”.

Nella risposta a interpello non è stata ribadita la medesima impostazione.

L’Agenzia, infatti, riconosce la portata innovativa dell’art. 12-octies del Dl 34/2019 che, intervenendo sull’art. 7 comma 4-quater del Dl 357/94, ha esteso l’operatività della norma dai soli registri Iva a qualsiasi registro contabile. Attraverso tale disposizione diventa possibile “derogare all’obbligo della stampa o dell’archiviazione sostitutiva”, adempimenti che, di regola, sarebbero da assolvere entro i tre mesi successivi alla presentazione della dichiarazione dei redditi.

Sotto il profilo dell’imposta di bollo, viene ribadita la distinzione tra registri tenuti con sistemi meccanografici e trascritti su supporto cartaceo, oppure tenuti in modalità informatica. 

Nel primo caso, l’imposta è:

  • dovuta ogni 100 pagine, o frazione di esse, nella misura di 16 euro, per le società di capitali che versano in misura forfetaria la tassa di concessione governativa, oppure di 32 euro, per tutti gli altri soggetti (art. 16 della Tariffa Parte I allegata al Dpr 642/72);
  • assolta prima che il registro sia posto in uso, ossia prima di effettuare le annotazioni sulla prima pagina (circ. n. 92/2001, § 2.1) o su un nuovo blocco di pagine (circ. nn. 9/2002, § 8.2, e 64/2002);
  • versata mediante contrassegno telematico o tramite modello F23 utilizzando il codice tributo “458T”.
Se i registri sono tenuti invece in modalità informatica – caso che ricorre nella fattispecie oggetto di interpello – l’imposta di bollo è:
  • dovuta ogni 2.500 registrazioni, o frazioni di esse, per i registri utilizzati durante l’anno (intendendosi per “registrazione” ogni singolo accadimento contabile, a prescindere dalle righe di dettaglio: ris. n. 161/2007);
  • versata con modello F24 – codice tributo “2501” – in un’unica soluzione entro centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio (art. 6 del Dm 17 giugno 2014)
 (MF/ms)



Perdite su mini crediti: deducibilità a scelta dell’impresa

Deducibilità a scelta dell’impresa decorsi sei mesi dalla scadenza del pagamento.

Con la risposta a interpello n. 342 del 13 maggio, l’Agenzia delle Entrate torna a occuparsi della deducibilità, ai fini Ires, delle perdite su crediti di modesto importo scaduti da più di sei mesi.

In via preliminare, si ricorda che, con le modifiche a suo tempo introdotte dal Dl 83/2012 e dalla L. 147/2013, sono state ampliate le ipotesi di deducibilità “automatica” delle perdite relative a crediti vantati nei confronti sia di debitori assoggettati a procedure concorsuali (e istituti assimilati), sia di debitori non soggetti a tali procedure.

Riguardo a questi ultimi, l’art. 101 comma 5 del Tuir stabilisce che gli elementi certi e precisi, atti a fondare il diritto alla deducibilità della perdita, sussistono “in ogni caso”, tra l’altro, quando il credito è di modesta entità ed è decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento (c.d. “mini crediti”).

A tali fini, il credito è considerato di modesta entità quando risulta di importo non superiore a:

  • 5.000 euro, per le imprese di più rilevante dimensione (intendendosi per tali quelle che hanno conseguito un volume d’affari o ricavi non inferiore a 100.000.000 di euro);
  • 2.500 euro, per le altre imprese.
Pertanto, la perdita afferente a un credito di 2.000 euro, “scaduto” il 25 maggio 2020 e non ancora incassato al 31 dicembre 2020, è deducibile nel periodo d’imposta 2020 “solare” (modello REDDITI 2021), previa imputazione del componente negativo a conto economico, senza la necessità di dimostrare la sussistenza degli elementi “certi e precisi” (quali, ad esempio, la persistente assenza del debitore, i documenti attestanti l’esito negativo di azioni esecutive, ecc.).

La perdita è deducibile anche nel caso in cui a conto economico sia confluito il costo a titolo di svalutazione.

In pratica, la svalutazione dei “mini crediti” può essere interamente dedotta ex art. 101 comma 5 del Tuir, senza sottostare ai limiti di cui all’art. 106 comma 1 dello stesso Tuir (0,5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio).

Quanto all’esercizio di deducibilità, con una disposizione di carattere interpretativo (e, dunque, con effetto retroattivo), l’art. 13 comma 3 del D.lgs. 147/2015 ha stabilito che le svalutazioni contabili dei suddetti “mini crediti”, deducibili a decorrere dall’esercizio in cui sussistono gli elementi certi e precisi, sono deducibili nell’esercizio in cui si provvede alla cancellazione del credito dal bilancio in applicazione dei principi contabili.

In pratica, viene consentito al contribuente di rinviare la deduzione, come perdite, delle svalutazioni relative ai c.d. “mini crediti” al momento dell’eliminazione del credito stesso dal bilancio, evitando così l’automatica “trasformazione” delle svalutazioni stesse in perdite e i connessi problemi di gestione.

Pertanto, come confermato dalla risposta n. 342/2021, per effetto di tale disposizione, compete all’impresa creditrice la scelta circa l’esercizio in cui portare in deduzione la relativa perdita e la determinazione del rispettivo ammontare, una volta soddisfatti i requisiti minimi richiesti per ammetterne la rilevanza fiscale (nel nostro caso, avvenuta scadenza del termine di pagamento da più di sei mesi).

In altre parole, in presenza di svalutazioni contabili “analitiche” o “forfetarie”, la scelta dell’esercizio in cui dedurre il componente negativo divenuto fiscalmente rilevante è rimessa all’impresa creditrice, con l’unico limite temporale rappresentato dal periodo d’imposta nel corso del quale il credito viene cancellato dal bilancio.

Ciò posto, laddove i “mini crediti” siano stati interamente svalutati e le svalutazioni siano state dedotte a titolo di perdita prima del loro stralcio dal bilancio, l’utilizzo del fondo svalutazione afferente ai medesimi crediti, all’atto della loro eliminazione dal bilancio, sarà fiscalmente irrilevante.

In altri termini, la cancellazione in bilancio dei “mini crediti” svalutati e dedotti in un esercizio precedente, non implicando più alcuna deduzione, non produce effetti fiscali.

Inoltre, se prima della cancellazione dal bilancio, i “mini crediti”, la cui svalutazione è stata dedotta come perdita, vengono incassati in tutto in parte, si produce una sopravvenienza attiva fiscalmente rilevante pari all’importo riscosso.

(MF/ms)
 




Inps: chiarimenti sul rinnovo delle integrazioni salariali introdotte dal Decreto Sostegni

L’Inps con la circolare n. 72/2021 riepiloga gli adempimenti previsti per le integrazioni salariali Cig ordinaria, Assegno ordinario e Cig deroga rinnovati con il Decreto Sostegni e chiarisce i dubbi legati alla “scopertura” delle giornate dal 29 al 31 marzo 2021.
I datori di lavoro che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19, hanno la possibilità di richiedere fino a un massimo di:
  • 13 settimane di trattamento ordinario di integrazione salariale Covid-19 (artt. 19 e 20 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18), da utilizzare nel periodo compreso tra il 1° aprile 2021 e il 30 giugno 2021, esenti da contributo addizionale;
  • 28 settimane di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga Covid-19 (artt. 19, 21, 22 e 22-quater del D.L. 17 marzo 2020, n. 18), da utilizzare nel periodo dal 1° aprile 2021 al 31 dicembre 2021, esenti da contributo addizionale. Le 28 settimane sono aggiuntive alle 12 settimane già previste dalla Legge di Bilancio 2021, quest’ultime vincolate all’utilizzo entro il 30 giugno 2021.
Data la collocazione temporale del nuovo periodo di trattamenti, la decorrenza del 1° aprile 2021 non consente ai datori di lavoro di accedere alle previste misure di sostegno in regime di continuità con quelle precedentemente introdotte dalla Legge n. 178/2020.
L’Inps, sulla base di parere conforme da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e nelle more di conversione in legge del Decreto Sostegni, ha chiarito che il nuovo periodo di trattamenti può essere richiesto a decorrere dall’inizio della settimana in cui si colloca il 1° aprile 2021, ovvero da lunedì 29 marzo 2021, e i trattamenti integrativi spettano per i lavoratori in forza alla data del 23 marzo 2021.
Le domande di accesso possono essere presentate all’Inps non oltre la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa, utilizzando la causale “COVID 19 – DL 41/21”. L’istituto precisa che anche per le sospensioni o riduzioni iniziate nel mese di aprile 2021, comprese quelle iniziate il 29 marzo 2021, il termine di decadenza per l’invio dell’istanza è il 31 maggio 2021.

Le imprese che alla data del 23 marzo 2021 hanno in corso un trattamento di cassa integrazione salariale straordinario (Cigs) possono ulteriormente sospendere il programma di Cigs ed accedere al trattamento di integrazione salariale ordinario, per una durata massima di 13 settimane, per periodi decorrenti dal 1° aprile 2021 al 30 giugno 2021, a condizione che rientrino in un settore per il quale sussista il diritto di accesso alla prestazione di cassa integrazione ordinaria.
In questo caso la domanda di integrazione salariale ordinaria deve essere presentata con la nuova causale “COVID 19 – DL 41/21-sospensione Cigs”. Resta confermato che, per i datori di lavoro che hanno completato le 12 settimane di trattamenti introdotte dalla Legge di Bilancio 2021, è possibile richiedere il nuovo periodo di 13 settimane a far tempo dal 29 marzo 2021, anche se è già stata presentata istanza di sospensione al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con decorrenza 1° aprile 2021.

Con riferimento all’assegno ordinario, l’Inps ribadisce la regola secondo la quale l’assegno ordinario per Covid-19 è concesso ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 addetti nel semestre precedente la data di inizio del periodo di sospensione riguarda esclusivamente le domande proposte da datori di lavoro che non hanno mai richiesto l’accesso all’assegno ordinario per Covid-19 ai sensi delle normative emergenziali precedenti.
Per coloro i quali, invece, hanno già avuto accesso all’assegno ordinario per Covid-19, si tiene conto del requisito dimensionale posseduto al momento della definizione della prima domanda.
Per le domanda di Cassa Integrazione Guadagni in deroga, restano esonerati dalla definizione dell’accordo esclusivamente i datori di lavoro con dimensioni aziendali fino a 5 dipendenti. Per le aziende con dimensioni superiori, resta ferma la previsione della definizione di un accordo sindacale tra l’azienda e le Organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale da concludersi anche in via telematica.

Tuttavia, al fine di garantire continuità di reddito ai beneficiari della prestazione, l’Inps ha precisato, su conforme avviso del Ministero del Lavoro, che in caso di domande di nuovi periodi di Cig deroga – che di fatto prorogano lo stato di crisi emergenziale dell’azienda – proposte anche non in continuità rispetto a precedenti sospensioni per Covid-19, non è ritenuta necessaria la definizione di un nuovo accordo inerente al periodo oggetto della domanda, ferme restando le opportune procedure di informazione alle Organizzazioni sindacali, che non determinano comunque effetti sulla procedibilità delle autorizzazioni. L’accordo resta, invece, obbligatorio per i datori di lavoro che occupano più di 5 addetti, qualora non abbiano mai fatto ricorso ai trattamenti di Cig deroga con causale Covid-19.
Riguardo alle aziende plurilocalizzate, l’Inps ricorda che potranno inviare domanda come “deroga plurilocalizzata” esclusivamente le aziende che hanno ricevuto la prima autorizzazione con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; tutte le altre aziende, invece, anche con più unità produttive, dovranno trasmettere domanda come “deroga Inps”, con riferimento alle singole unità produttive.

I datori di lavoro che hanno erroneamente inviato domanda per trattamenti diversi da quelli cui avrebbero avuto diritto o comunque con errori o omissioni che ne hanno impedito l’accettazione, possono trasmettere l’istanza nelle modalità corrette entro trenta giorni dalla comunicazione dell’errore da parte dell’amministrazione di riferimento, a pena di decadenza, anche nelle more della revoca dell’eventuale provvedimento di concessione emanato dall’amministrazione competente.
E’ rinnovata sia la modalità di pagamento diretto da parte dell’Inps (compreso l’anticipo del 40%) sia il pagamento a conguaglio della prestazione, anche con riferimento alla Cig deroga e per tutti i periodi decorrenti dal 1° aprile 2021.

Gestione periodo dal 29 al 31 marzo 2021
Data la temporanea assenza di indicazioni prima della pubblicazione della circolare n.72/2021, è’ possibile che alcuni datori di lavoro abbiano già trasmesso la domanda con causale “COVID 19 – DL 41/21” inserendo nella prima settimana di intervento quale “data di effettivo inizio” il 1° aprile 2021.
In questo caso, per poter coprire il periodo dal 29 al 31 marzo 2021, sarà consentito trasmettere una nuova domanda integrativa con la medesima causale per i trattamenti di Cig ordinaria, Assegno ordinario e Cig deroga: la domanda integrativa dovrà riguardare i lavoratori in forza presso la medesima unità produttiva oggetto dell’istanza originaria.
Solo per le domande integrative di assegno ordinario, la corretta gestione dell’istanza prevede che nel campo “note” deve essere indicato il numero di protocollo della domanda integrata.
Il termine di scadenza per la trasmissione delle domande integrative è fissato sempre al 31 maggio 2021.

Compilazione flusso Uniemens
Ai fini della corretta gestione relativa alle somme dei trattamenti integrativi anticipati dal datore di lavoro, l’istituto ricorda che le aziende dovranno utilizzare il codice di conguaglio che verrà comunicato dall’Istituto tramite il servizio “Comunicazione bidirezionale” presente all’interno del cassetto previdenziale aziende, unitamente al rilascio dell’autorizzazione all’integrazione salariale.
Detti codici potranno essere differenziati per effetto della disponibilità economica stanziata ovvero se la prestazione è finanziata dal regime ordinario (D.lgs n. 148/2015) oppure dai fondi previsti dalla legislazione emergenziale.
I codici di conguaglio saranno definiti come segue: per la Cig ordinaria L038 oppure L080; per l’Assegno ordinario L001 oppure L007; per le aziende che sospendono la Cigs per ricorrere alla Cig ordinaria L068; per la Cig deroga G812 oppure G811 per le aziende plurilocalizzate.

(FP/fp)




Nota credito estera: adempimenti

Può capitare di ricevere una nota di credito emessa da un soggetto non residente, a storno di una precedente operazione di acquisto di beni o di una prestazione di servizi.

Con la risposta n. 308 del 30 aprile 2021 l’Agenzia delle Entrate ha analizzato gli adempimenti che gravano sul cessionario/committente.

La società istante italiana ha acquistato nel mese di novembre 2020 una licenza di un software venduta da una società del Regno Unito.
Subito dopo l’acquisto il soggetto italiano, riscontrata un’anomalia tecnica nei propri sistemi, richiede il rimborso di quanto pagato: fornitore GB ed acquirente IT convengono nella risoluzione consensuale per sopravvenuto accordo fra le parti.

La società italiana riceve l’accredito delle somme pagate ma il fornitore non emette alcuna nota credito: pertanto, viene interpellata l’Agenzia per chiarire il corretto trattamento ai fini Iva dell’operazione, con particolare riferimento alle modalità di emissione della fattura elettronica, oltre all’eventuale necessità di includere l’operazione nella comunicazione delle operazioni transfrontaliere (esterometro).

Occorre preliminarmente ricordare che la cessione ad un soggetto passivo d’imposta stabilito nel territorio dello Stato della licenza d’uso di un software (personalizzato o standard) per via telematica rientra tra le prestazioni di servizi che si considerano effettuate in Italia da soggetti non residenti, ai sensi dell’articolo 7-ter Dpr. 633/1972.

Nel caso di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro stato membro dell’Unione europea (acquisto avvenuto ante effetti della Brexit) il cessionario o committente adempie gli obblighi di fatturazione e di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 D.l 331/1993, convertito, con modificazioni, dalla L. 427/1993 (integrazione fattura con doppia registrazione nel registro Iva vendite e acquisti).

La nota di variazione è invece disciplinata dall’articolo 26 Dpr 633/1972 che, al comma 2, dispone quanto segue: “se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili […] il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25”.
La disposizione precedente non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti.

Nel caso in cui il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di cui al comma 2, il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione, deve in tal caso registrare la variazione nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa (articolo 26, comma 5, Dpr. 633/1972).

Ricorrendo i presupposti sopra descritti, tale facoltà può essere esercitata “anche dai cessionari e committenti debitori dell’imposta ai sensi dell’articolo 17”.

Nel rispondere all’interpello l’Agenzia ricorda che, in linea generale, nelle ipotesi di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro stato membro il cessionario/committente ha sempre la possibilità di variare in diminuzione l’imponibile/imposta dell’operazione.

In particolare:

  • l’esercizio di tale facoltà prescinde dalla natura del cedente/prestatore (soggetto passivo Ue o extra Ue), ma è legato alla sussistenza dei requisiti indicati nel richiamato articolo 26, commi 2 e 3, del decreto Iva
  • si tratta di una possibilità e non di un obbligo
Nel caso di specie, venuta meno l’operazione con la restituzione di quanto corrisposto – risoluzione per sopravvenuto accordo fra le parti – l’istante:

a) entro un anno dall’operazione (ossia entro novembre 2021) potrà emettere nota di variazione in diminuzione riferita alla stessa
b) la nota, se elettronica via Sdi, avrà come tipo documento “TD17 integrazione/autofattura per acquisto servizi dall’estero

Sul punto con la “Guida alla compilazione della fatturazione elettronica ed esterometro” l’Agenzia aveva già chiarito che per le note di credito finalizzate a rettificare una fattura trasmessa in cui non è indicata l’Iva, in quanto il debitore d’imposta è il cessionario/committente, quest’ultimo può integrare la nota di credito ricevuta con il valore dell’imposta, utilizzando la medesima tipologia di documento trasmessa allo Sdi per integrare la prima fattura ricevuta. Si tratta dei casi in cui è prevista la trasmissione allo Sdi di un documento integrativo o di un’autofattura con i codici da TD16 a TD19.

La relativa nota di credito richiederà l’invio di un file xml con medesimo tipo documento dell’operazione principale (nel nostro caso TD17), indicando gli importi con segno negativo. Pertanto, il contribuente non deve utilizzare il documento TD04. Infine, emessa la nota di variazione, si dovrà operare le conseguenti annotazioni nei registri Iva e non sarà necessario inserire tale operazione nell’esterometro.

Laddove invece si scelga di non gestire la variazione tramite Sdi, ma di procedere in via analogica, l’operazione andrà inserita nella comunicazione delle operazioni transfrontaliere.

Esiste, a nostro avviso, una terza strada non contemplata nella risposta dell’Agenzia.

Il committente italiano potrebbe decidere di dare solo rilevanza contabile all’operazione di storno (fuori campo Iva articolo 26), evitando tutti gli adempimenti connessi alla registrazione della nota sul registro Iva (esterometro o invio tramite Sdi).

(MF/ms)



Export: limiti alla fatturazione elettronica

Le cessioni all’esportazione di cui all’art. 8 comma 1 lett. a) e b) del Dpr 633/72 possono essere documentate, al momento di spedizione dei beni, mediante emissione di fattura in formato analogico o, in alternativa, elettronico via sistema di interscambio, con indicazione, nel campo riferito alla “natura” dell’operazione, del codice “N3.1”.

Trattandosi di operazioni nei confronti di soggetti non stabiliti in Italia, il ricorso alla e-fattura via Sdi è infatti da ritenersi facoltativo ai sensi dell’art. 1 comma 3 del D.lgs. 127/2015.

Un aspetto che appare opportuno indagare riguarda la possibilità di documentare le cessioni all’esportazione di cui trattasi mediante la fattura differita, disciplinata dall’art. 21 comma 4 lett. a) del Dpr 633/72 e prevista per le cessioni di beni accompagnati da Ddt o da altro documento idoneo.

La norma appena richiamata non esclude di per sé la possibilità di emettere, anche per le cessioni all’esportazione, un documento unico per più operazioni effettuate nello stesso mese solare nei confronti del medesimo soggetto (sulla base della data di spedizione dei beni), entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione.

Inoltre, sulla base di quanto disposto dall’art. 8 comma 1 lett. a) del Dpr 633/72, tale procedura risulterebbe possibile, atteso che la norma stabilisce che l’esportazione “deve risultare da documento doganale, o da vidimazione apposta dall’ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento emessa a norma dell’art. 2 del Dpr 6 ottobre 1978, n. 627, o, se questa non è prescritta, sul documento di cui all’articolo 21, comma 4, terzo periodo, lettera a)”, lasciando intendere che la prova dell’esportazione possa risultare anche da Ddt o documenti equivalenti.

Tuttavia, l’assenza di una fattura immediata accompagnatoria, da presentare in Dogana, ai fini della dichiarazione di esportazione, potrebbe costituire un limite di carattere operativo, soprattutto per quanto concerne la determinazione del valore della merce.

Va segnalato che la prassi ministeriale sul punto aveva ritenuto, in passato, che la fattura fosse elemento imprescindibile per il compimento dell’operazione doganale e che, dunque, non vi fosse la possibilità per il cedente nazionale di emettere fattura differita nella fattispecie (cfr. R.m. n. 108/1998; C.m. n. 35/1997).

Più recentemente, tuttavia, considerato l’avvento del sistema Ecs (Export Control System), che consente di ottenere prova dell’esportazione mediante numero elettronico di riferimento della dichiarazione doganale (Mrn), l’Agenzia delle Entrate, ritenendo “non più necessario che la dogana di uscita apponga materialmente sulla fattura il visto uscire”, ha riconosciuto la possibilità dell’emissione della fattura in formato elettronico, reputando, conseguentemente, non indispensabile la presentazione del documento “fisico” in Dogana (risposta a interpello n. 130/2019).

Un ulteriore aspetto riguarda il caso delle esportazioni c.d. “triangolari”, le quali vedono coinvolti, in linea generale, tre operatori, dei quali il primo (A) cede dei beni al secondo (B), il quale li rivende a sua volta a un terzo (C), extra Ue, con incarico da parte di B ad A di consegnare direttamente i beni a C. Si tratta di una doppia cessione che beneficia del regime di non imponibilità di cui all’art. 8 comma 1 lett. a) del Dpr 633/72, ferma la prova del trasporto o spedizione dei beni al di fuori del territorio dell’Ue.

In relazione a tale fattispecie, la prassi sembrerebbe aver riconosciuto la possibilità per il primo cedente, di avvalersi della fattura differita, essendo possibile documentare – anche ai fini della prova dell’esportazione – la cessione mediante documento di trasporto ex art. 1 comma 3 del Dpr 472/96 (cfr. C.m. n. 35/1997).

Tuttavia, laddove entrambe le parti intendano ottenere prova dell’esportazione mediante MRN, il primo cessionario dovrebbe inserire nella documentazione doganale i dati della fattura emessa dal primo cedente al fine di ottenere dalla Dogana la prova dell’effettiva triangolazione, rendendo, di fatto, impossibile il ricorso alla fatturazione differita da parte di quest’ultimo.

Esclusa la fatturazione “super-differita”

Dovrebbe, infine escludersi la facoltà di avvalersi della c.d. fatturazione “super-differita” di cui all’art. 21 comma 4 lett. b) del Dpr 633/72, vale a dire del maggiore differimento dei termini di emissione della fattura per le cessioni di beni effettuate dal cessionario nei confronti di un soggetto terzo per il tramite del proprio cedente, vale a dire per le operazioni c.d. “triangolari”.

Benché la norma richiamata si riferisca genericamente alle cessioni effettuate dal cessionario nei confronti di un terzo per il tramite del primo cedente, non parendo limitare l’agevolazione alle sole operazioni domestiche, di recente la circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2019 ha definito tali operazioni come “triangolazioni nazionali”.

Così facendo, l’Amministrazione finanziaria sembrerebbe implicitamente essersi espressa per una limitazione della fattispecie alle sole operazioni domestiche, escludendo, quindi, le cessioni triangolari nei confronti di soggetti extra Ue.

(MF/ms)




Dichiarazioni 730/2021: accesso alle precompilate dal 10 maggio 2021

Con il provvedimento n. 113064 pubblicato il 7 maggio, l’Agenzia delle Entrate ha definito le modalità di accesso per il 2021 alla dichiarazione precompilata da parte del contribuente e degli altri soggetti autorizzati, a seguito del parere positivo espresso del Garante della privacy.

Il nuovo provvedimento dell’Agenzia delle Entrate conferma in larga parte le disposizioni applicabili lo scorso anno, di cui al provvedimento n. 183002 del 30 aprile 2020.

Le principali novità sono invece collegate alle disposizioni emanate per far fronte all’emergenza epidemiologica da coronavirus.

Le dichiarazioni precompilate relative al 2020 (modelli 730/2021) avrebbero infatti dovuto essere messe a disposizione entro il 30 aprile scorso, per effetto del nuovo termine a regime previsto dall’art. 1 comma 1 del D.lgs. 175/2014, come modificato dall’art. 16-bis del Dl 124/2019.
Per effetto dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, in conseguenza delle proroghe che sono state disposte in relazione all’invio dei dati delle certificazioni uniche 2021 e degli oneri deducibili e detraibili relativi al 2020, il termine è stato differito al 10 maggio 2021 (art. 5 comma 22 del Dl 22 marzo 2021 n. 41).

A partire da lunedì 10 maggio 2021, i contribuenti e i soggetti delegati possono quindi visualizzare la dichiarazione precompilata e l’elenco delle informazioni disponibili, con l’indicazione dei dati inseriti e non inseriti e delle relative fonti informative.
In particolare, sono disponibili le informazioni relative ai redditi, agli oneri detraibili e deducibili, ai versamenti, agli acconti o ai crediti d’imposta presenti nell’anagrafe tributaria o comunicate dai soggetti obbligati.

Tra i dati precaricati, quest’anno si aggiungono:

  • le spese per la frequenza scolastica e i relativi rimborsi, ai sensi del Dm 10 agosto 2020, qualora gli istituti scolastici abbiano provveduto all’invio delle comunicazioni relative al 2020, previste in via facoltativa
  • le detrazioni spettanti a titolo di “bonus vacanze”, di cui all’art. 176 del Dl 34/2020
Per accedere alla dichiarazione precompilata, disponibile sull’area autenticata del sito dall’Agenzia delle Entrate, i contribuenti possono utilizzare uno dei seguenti strumenti di autenticazione:
  • le credenziali Fisconline dell’Agenzia delle Entrate
  • il Sistema pubblico per l’identità digitale (Spid)
  • la Carta di identità elettronica (Cie)
  • la Carta Nazionale dei Servizi (Cns)
  • il Pin dispositivo rilasciato dell’Inps
In relazione agli strumenti di autenticazione utilizzabili per accedere alla dichiarazione precompilata, si ricorda che, come indicato dall’Agenzia delle Entrate con il comunicato stampa 16 febbraio 2021 n. 13:
  • per i cittadini, a partire dal 1° marzo scorso non è più possibile ottenere le credenziali di Fisconline
  • in via transitoria, fino al 30 settembre 2021 è possibile continuare ad utilizzare le credenziali di Fisconline già rilasciate e rinnovare le password scadute
  • a partire dal 1° ottobre 2021 tali credenziali non saranno più attive e sarà necessario accedere attraverso Spid, Cie o Cns
Presentazione dei 730/2021 entro il 30 settembre

Il suddetto regime transitorio per l’utilizzo delle credenziali di Fisconline copre comunque l’intero periodo di presentazione dei modelli 730/2021, che devono infatti essere presentati entro il 30 settembre 2021.

Il 730/2021 precompilato potrà essere accettato o modificato/integrato e inviato direttamente via web dal contribuente a partire dal prossimo 19 maggio.

Per accettare, modificare e inviare il modello 730 precompilato, i contribuenti possono anche rivolgersi ad un Caf o professionista abilitato, oppure al sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale diretta.

Il provvedimento n. 113064/2021 stabilisce inoltre che si applicano le disposizioni in materia di assistenza fiscale “a distanza” di cui all’art. 25 del Dl 8 aprile 2020 n. 23, disposte lo scorso anno in considerazione dell’emergenza sanitaria da coronavirus con riferimento al solo periodo d’imposta 2019.

Al riguardo, occorre però tenere presente che:

  • il suddetto art. 25 è stato soppresso in sede di conversione del Dl 23/2020 nella L. 40/2020
  • le relative disposizioni sono di fatto “confluite” nel comma 4-septies dell’art. 78 del Dl 18/2020, inserito in sede di conversione nella L. 27/2020, che ha introdotto una disciplina di carattere più generale
In base a quest’ultima disposizione, infatti, in considerazione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e fino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria, i soggetti che intendono presentare dichiarazioni, denunce e atti all’Agenzia delle Entrate per il tramite degli intermediari abilitati alla trasmissione telematica possono inviare per via telematica ai predetti intermediari la copia per immagine della delega o del mandato all’incarico sottoscritta e della documentazione necessaria, unitamente alla copia del documento di identità. Tuttavia, una volta cessata la situazione emergenziale, si dovrà provvedere alla regolarizzazione delle deleghe o dei mandati e della documentazione.

(MF/ms)
 




Autofattura elettronica tramite Sdi: le Faq dell’Agenzia delle Entrate

Con l’entrata in vigore del nuovo tracciato della fatturazione elettronica – versione 1.6 e seguenti aggiornamenti – è stata incrementata la base informativa a disposizione dell’Agenzia delle Entrate.
L’intervento ha un duplice effetto: agevolare l’amministrazione nei controlli e il contribuente, che potrà accedere alla propria area riservata (portale “fatture e corrispettivi”) per consultare le bozze delle liquidazioni periodiche Iva e dei registri, oltre che della dichiarazione annuale Iva.

A partire dalle operazioni Iva effettuate dal 1° luglio 2021, in via sperimentale, nell’ambito di un programma di assistenza on line basato sui dati delle operazioni acquisiti con le fatture elettroniche e con le comunicazioni delle operazioni transfrontaliere, nonché sui dati dei corrispettivi acquisiti telematicamente e sugli ulteriori dati fiscali presenti nel sistema dell’anagrafe tributaria, l’Agenzia delle Entrate metterà a disposizione di tutti i soggetti passivi Iva residenti e stabiliti in Italia, le bozze dei seguenti documenti:
a) registri di cui agli articoli 23 e 25 Dpr 633/1972,
b) liquidazione periodica dell’Iva.

A partire dalle operazioni Iva effettuate dal 1° gennaio 2022, in via sperimentale, oltre alle bozze dei documenti descritti in precedenza, verrà predisposta anche la bozza della dichiarazione annuale Iva (articolo 4, comma 1-bis, D.lgs. 127/2015, modificato recentemente dal Dl. 41/2021).
Il processo sopra descritto richiede pertanto un maggior grado di dettaglio dei dati forniti all’interno del tracciato xml della fattura raggiunto, ad esempio, con l’introduzione dei sotto codici del campo natura (N2.1, N.2.2, etc.) e del campo tipo documento (TD01, TD24, etc.).
Per quest’anno resta ancora facoltativo applicare il reverse charge interno o esterno con modalità cartacea o elettronica.
Per chi sceglie questa seconda modalità (file xml in formato elettronico) sono stati introdotti determinati codici tipo documento: ai fini del presente contributo, analizziamo il codice TD16 (reverse charge interno), TD18 (acquisti di beni intracomunitari), TD17 (acquisto di servizi da soggetto Ue/extra-Ue).

In data 23 aprile 2021, l’Agenzia delle Entrate ha aggiornato diverse Faq pubblicate sul proprio sito istituzionale, riguardanti la fatturazione elettronica.
In particolare, la Faq 36 tratta le modalità di emissione dell’autofattura/integrazione elettronica.
Per gli acquisti intracomunitari l’operatore Iva italiano può comunicare i dati dell’imponibile e dell’imposta trasmettendo un file xml al sistema di interscambio (SdI) con il codice TD18 “integrazione per acquisto di beni intracomunitari”, dove nel campo cedente/prestatore va riportato l’identificativo fiscale del cedente effettivo (fornitore Ue) e nel capo cessionario/committente i dati di chi trasmette il documento elettronico (acquirente It).
Per gli acquisti di servizi extracomunitari o intracomunitari, l’operatore Iva nazionale può trasmettere un documento in formato xml allo SdI che contenga i dati dell’imponibile e dell’imposta, utilizzando il codice TD17 “integrazione/autofattura per acquisto servizi dall’estero”. Anche in questo caso, nel campo cedente/prestatore deve essere riportato l’identificativo fiscale del cedente (prestatore estero) e nel campo cessionario/committente i dati di chi trasmette.
Alternativamente, in entrambi i casi, l’operatore Iva residente o stabilito in Italia sarà tenuto ad effettuare l’adempimento della comunicazione dei dati delle fatture d’acquisto ai sensi dell’articolo 1, comma 3bis, D.lgs. 127/2015 (esterometro), salvo quelle per le quali è stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche.
Si precisa che i contribuenti tenuti all’invio dell’esterometro (I trimestre 2021, in scadenza il 30 aprile 2021) dovranno utilizzare il tipo documento TD10 per gli acquisti di beni intra-Ue e il TD11 per gli acquisti di servizi intra-Ue (da non confondere con i precedenti TD18 e TD17, da usare per le integrazioni elettroniche).

L’Agenzia chiarisce infine che, per gli acquisti interni dove l’operatore Iva italiano riceve una fattura elettronica riportante uno dei codici natura in regime di inversione contabile interno (si pensi, ad esempio, al codice N6.7 – prestazioni comparto edile e settori connessi), ai sensi dell’articolo 17 Dpr 633/1972 l’adempimento contabile previsto dalle disposizioni normative in vigore prevede una “integrazione” della fattura ricevuta con l’aliquota e l’imposta dovuta e conseguente registrazione della stessa ai sensi degli articoli 23 e 25 D.P.R. 633/1972.
Al fine di rispettare il dettato normativo, con la circolare 13/E/2018 era già stato precisato che una modalità alternativa all’integrazione della fattura potesse essere la predisposizione di un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della stessa.
Al riguardo, si evidenzia che tale documento andrà compilato indicando nel campo cedente/prestatore la partita Iva del cedente/prestatore effettivo e nel campo cessionario/committente l’identificativo Iva dell’operatore che effettua l’integrazione: tale documento xml “può essere inviato al Sistema di Interscambio con il codice tipo documento il TD16 Integrazione fattura reverse charge interno”. Non vi è alcun obbligo di invio del documento in questione al cedente/prestatore.

(MF/ms)
 




Sanzioni per errata applicazione Reverse Charge

Quale sanzione si applica per l’errata emissione di una fattura in Reverse Charge?

A questa domanda risponde l’Agenzia delle Entrate con l’interpello n. 301 del 28.04.2021.

Nel caso specifico la società istante (soggetto estero con posizione Iva in Italia e deposito di merci in Italia) chiede come regolarizzare alcune fatture emesse dalla propria partita Iva comunitaria a clienti con partita Iva italiana in Reverse Charge (articolo 17, comma 2, DP.R. 633/1972), nell’errata convinzione che questi fossero stabili organizzazioni italiane destinatarie delle vendite.

In realtà le società acquirenti, facenti parte di un gruppo, hanno acquistato in Italia non con una stabile organizzazione ma con un’identificazione diretta; pertanto, avrebbero dovuto ricevere dal fornitore estero, tramite la posizione Iva italiana, una fattura con Iva.

Le sanzioni applicabili ai fini Iva per errata emissione di fattura in reverse charge colpiscono in parte il soggetto che ha emesso il documento, ed in parte il soggetto che l’ha ricevuta.

Riassumiamo la disciplina sanzionatoria.

In base alla regola generale (articolo 6, comma 1, D.Lgs. 471/1997) chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero all’individuazione di prodotti determinati, è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il 90 e il 180% dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. La sanzione non può essere inferiore a 500 euro.

Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, un’imposta inferiore a quella dovuta.

La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo.

In deroga, l’articolo 6, comma 9-bis.2, D.lgs. 471/1997, stabilisce che, qualora, in assenza dei requisiti prescritti per l’applicazione dell’inversione contabile, l’imposta relativa a una cessione di beni o a una prestazione di servizi di cui agli articoli 17, 34, comma 6, secondo periodo, e 74, comma 7 e 8, Dpr. 633/1972, e agli articoli 46, comma 1, e 47, comma 1, Dl. 331/1993, sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti Dpr 633/1972, il cedente o il prestatore non è tenuto all’assolvimento dell’imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.

Pertanto, il cliente che ha assolto l’Iva può detrarla ed il fornitore è soggetto ad una sanzione fissa a partire da 250 euro.

La sanzione compresa tra 250 euro e 10.000 euro è dovuta in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun committente (circolare 16/E/2017, paragrafo 4).

Secondo la risoluzione 140/E/2010 “la violazione, concernente l’irregolare assolvimento dell’Iva a causa dell’erronea applicazione del regime dell’inversione contabile, si realizza di fatto quando viene operata la liquidazione mensile o trimestrale: è in tale sede, infatti, che il cedente ed il cessionario procedono erroneamente alla determinazione dell’imposta relativa alle operazioni attive da «assolvere»“.

Al pagamento della sanzione è solidalmente tenuto il cessionario o committente.

Diversi sono i casi di inversione contabile, nei quali il debitore di imposta è il cessionario o committente; li abbiamo osservati con l’introduzione dei nuovi codici natura (N6.x) dal 2021 e tipo documento TD16, TD17, TD18 e TD19 obbligatori dal prossimo anno.

In particolare, gli articoli citati nell’articolo 6, comma 9bis.2, D.lgs. 471/1997 sono:

  • l’articolo 17 Dpr 633/1972,
  • l’articolo 34, comma 6, secondo periodo Dpr. 633/1972
  • l’articolo 74, comma 7 e 8, Dpr. 633/1972
  • l’articolo 46, comma 1, Dl. 331/1993
  • l’articolo 47, comma 1, Dl. 331/1993
Si pensi (mutuando l’esempio dalla circolare 16/E/2017, paragrafo 4) alla fattura emessa dall’impiantista che realizza in appalto un impianto idraulico in un giardino, con natura operazione N6.7 inversione contabile – prestazioni comparto edile e settori connessi.

Il codice N6.7 va adoperato nel caso di fattura trasmessa via Sdi per prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifici per le quali l’imposta è dovuta dal cessionario, ai sensi dell’articolo 17, comma 6, lett. a-ter) del decreto Iva.

La fattura viene trattata con Reverse Charge dal cliente che, pertanto, la integra con Iva ed effettua la doppia registrazione negli acquisti e nelle vendite; eventualmente utilizza il tipo documento TD16, ed effettua l’invio allo SdI.

Se il fornitore si accorge, in un secondo momento, che il giardino non è di pertinenza di un edificio, la fattura emessa avrebbe dovuto essere assoggettata ad Iva: la sanzione applicabile sarà quella indicata nell’articolo 6, comma 9bis.2, D.lgs. 471/1997 eventualmente ravvedibile a norma dell’articolo 13, D.lgs. 472/1997.

Si tratta, in particolare, di tutte “le ipotesi in cui l’imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell’inversione contabile … per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione” […]. In base alla ratio della norma, le disposizioni di cui al comma 9-bis.2 non si applicano, invece, nel caso di ricorso all’inversione contabile in ipotesi palesemente estranee a detto regime. In tale evenienza tornano applicabili al cedente/prestatore e al cessionario/committente, rispettivamente le sanzioni di cui ai citati commi 1 e 8 dell’art. 6”.

Queste disposizioni in deroga non si applicano, ed il cedente o prestatore è punito con la sanzione della regola generale (di cui al comma 1), quando l’applicazione dell’imposta mediante l’inversione contabile (anziché nel modo ordinario) è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cedente o prestatore era consapevole.

Nel caso specifico dell’interpello l’Agenzia delle Entrate ritiene applicabile la sanzione fissa da 250 a 10.000 euro, in quanto l’istante è caduto in errore a causa di imprecise informazioni fornite dai propri clienti non residenti e l’Iva è stata effettivamente assolta in reverse charge.

(MF/ms)
 




Pagamenti cartelle: rinviati a fine giugno 2021

Il Ministero dell’Economia e delle finanze, con il comunicato stampa n. 88 del 30 aprile, comunica che è in corso di predisposizione il provvedimento normativo che, ancora una volta, differisce di un ulteriore mese la sospensione della notifica delle cartelle di pagamento.

In breve, la sospensione della notifica delle cartelle di pagamento, nonché delle attività esecutive/cautelari slitta dal 30 aprile 2021 al 31 maggio 2021.

La norma di riferimento è l’art. 68 comma 1 del Dl 18/2020, secondo cui “con riferimento alle entrate tributarie e non tributarie, sono sospesi i termini dei versamenti, scadenti nel periodo dall’8 marzo 2020 al 30 aprile 2021 [ndr. ora 31 maggio 2021], derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, nonché dagli avvisi previsti dagli articoli 29 e 30 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. I versamenti oggetto di sospensione devono essere effettuati in unica soluzione entro il mese successivo al termine del periodo di sospensione”.

Pertanto, come per le precedenti modifiche, da un lato, la sospensione delle cartelle slitta come detto da fine aprile a fine maggio, dall’altro, i pagamenti andranno effettuati entro il 30 giugno 2021.

In armonia con quanto, ormai da quasi un anno, specificato da Agenzia delle Entrate-Riscossione mediante apposite Faq:

  • sino al 31 maggio 2021 non è sospesa la sola notifica delle cartelle di pagamento, ma anche l’adozione di misure cautelari (fermi delle auto, ipoteche esattoriali) nonché esecutive (pignoramenti);
  • sebbene, dal punto di vista normativo, il pagamento debba avvenire “in unica soluzione” entro il 30 giugno 2021, è possibile domandare la dilazione dei ruoli;
  • sono sospese, sino al 31 maggio 2021, le procedure di blocco dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni;
  • comunque, gli agenti della riscossione esaminano, anche nel periodo di sospensione, eventuali domande di dilazione;
  • se fosse già stato disposto il fermo dell’auto, rimane possibile pagare la prima rata del piano di dilazione per “sbloccarlo”.
La sospensione riguarda anche fermi e ipoteche

La sospensione vale, oltre che per gli avvisi di addebito Inps, altresì per gli accertamenti esecutivi dei comuni e altri enti locali, soggetti alla proroga come sancisce l’art. 68 del Dl 18/2020, per le ingiunzioni fiscali e accertamenti doganali.

Ancora una volta, non possiamo non rilevare il (per quanto ci consta immutato) censurabile orientamento dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui la sospensione non trova applicazione per gli accertamenti esecutivi emessi dalla stessa (per tutte, si veda la circolare 20 marzo 2020 n. 5).

In relazione agli accertamenti esecutivi, la sospensione opererebbe da quando le somme sono affidate in riscossione (in sostanza non opera, considerato che in questa fase non ci sono nemmeno veri e propri termini di pagamento). Tale prassi sembra anche “confermata” dal comunicato del Mef che parla di “avvisi di accertamento esecutivi affidati all’agente della riscossione”.

Nulla muta per quanto riguarda i termini decadenziali per la notifica delle cartelle di pagamento e degli avvisi di accertamento, per i quali rimangono valide le regole dell’art. 68 del Dl 18/2020 e dell’art. 157 del Dl 34/2020.

(MF/ms)