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Cessioni crediti edilizi: chiarimenti

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 240/2025 del 15 settembre 2025, interviene su una delle principali criticità emerse dopo le recenti modifiche normative alla cessione dei crediti fiscali da bonus edilizi, chiarendo i limiti e le possibilità operative a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 39/2024 e della relativa Legge di conversione.

Nuovi divieti sulla cessione del credito: il contesto – Dal 29 maggio 2024 è stato introdotto il divieto per i beneficiari delle detrazioni previste dall’art. 121, comma 2 , D.L. n. 34/2020, di optare per la cessione delle rate residue non ancora fruite delle detrazioni stesse. Il blocco riguarda i cosiddetti “bonus edilizi” e si applica a coloro che, avendo sostenuto spese per interventi agevolati negli anni 2020-2024, intendevano cedere solo le rate residue delle detrazioni aspettanti, non ancora godute tramite dichiarazione dei redditi.

Chiarimenti operativi dell’Agenzia: chi è bloccato e chi no – L’Agenzia specifica che il divieto non si applica alle aziende o ai soggetti che abbiano già acquisito il credito tramite sconto in fattura, e che risultano cessionari dei crediti. In sostanza:

  • il beneficiario originario della detrazione non può più “smobilizzare” le rate residue cedendole a terzi dopo il 29 maggio 2024;
  • tuttavia, il cessionario che, ad esempio, abbia acquisito il credito a seguito di sconto in fattura (o altra forma di cessione), può continuare a cedere i crediti ancora presenti in piattaforma e non ancora utilizzati in compensazione, conformemente alle regole (limiti e tracciabilità) dell’art. 121 D.L. n. 34/2020.
In pratica, la “catena” successiva di cessioni dei crediti già circolanti nel sistema (purché rispettino i vincoli di numero e tipologia di cessionari previsti) NON è interrotta dal nuovo divieto, che si applica solo ai beneficiari originari e solo alle rate residue non ancora fruite.

Rilevanza fiscale per i professionisti – È confermato che la cessione dei crediti a fronte di prestazioni professionali rappresenta un provento imponibile, da tassare ai sensi dell’art. 54 TUIR. Questo aspetto resta invariato.

Raccomandazioni pratiche – I commercialisti devono distinguere tra beneficiario originario della detrazione e cessionario del credito in relazione ai limiti posti dal D.L. n. 39/2024. Le aziende che abbiano maturato crediti tramite sconto in fattura e li detengano nel proprio cassetto fiscale possono utilizzarli per compensare debiti tributari, oppure possono ancora cederli (nei limiti delle norme vigenti). È necessario porre la massima attenzione alle modalità e ai limiti di ulteriori cessioni, che restano soggette alle restrizioni del sistema (numero massimo e soggetti abilitati alla ricezione).

Tabella di sintesi – Cessione dei crediti edilizi post D.L. n. 39/2024
 

Soggetto coinvolto Cosa può fare dopo il 29/05/2024 Limiti/Note principali
Beneficiario originario (detentore detrazione non fruita) Non può più cedere le rate residue di detrazione Divieto assoluto su rate residue
Cessionario (ad es. impresa che ha operato sconto in fattura) Può continuare a cedere i crediti presenti nel cassetto fiscale Nei limiti, secondo art. 121 D.L. n. 34/2020
Ulteriori cessionari (banche, intermediari, assicurazioni) Possono ricevere crediti secondo regole “tracciate” Consentite solo cessioni qualificate
Compensazione tramite F24 Resta sempre possibile su crediti disponibili Necessario rispetto delle regole generali

 
(MF/ms)




Assegnazione agevolata ai soci entro il 30 settembre

In vista della scadenza del 30 settembre 2025 per l’effettuazione delle operazioni di assegnazione agevolata ex L. 207/2024 è utile riepilogare le indicazioni fornite dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria e notarile con specifico riguardo ai soci assegnatari.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1 comma 31 della L. 207/2024, le agevolazioni sono concesse a condizione che i soci siano iscritti a libro soci, ove prescritto, al 30 settembre 2024, o che lo siano entro il 31 gennaio 2025, in forza di un titolo di trasferimento avente data certa anteriore al 1° ottobre 2024.

La disposizione ha la ratio di evitare che soggetti prima estranei alla compagine sociale vi possano entrare in prossimità dell’atto di assegnazione o di cessione, beneficiando così delle agevolazioni.

La norma dispone l’iscrizione a libro soci, “ove prescritto”, entro il 30 settembre 2024; per le società di persone e le altre società non obbligate alla tenuta del libro soci, secondo la circ. Agenzia delle Entrate n. 26/2026 (cap. I, Parte I, § 2) occorre che, alla data di riferimento, la qualifica di socio sia
provata con titoli idonei aventi data certa.

L’ingresso nella compagine sociale di uno o più soggetti dopo il 30 settembre 2024 non fa venir meno i benefici; questi ultimi vengono però riservati ai soci che erano tali alla data del 30 settembre 2024 (gli altri soci, scontano invece l’imposizione ordinaria).

Nel rispetto del requisito di “socio” nei termini sopra descritti, non sussistono limitazioni legate alla natura giuridica (persone fisiche o giuridiche), né al regime fiscale (IRPEF o IRES), né alla residenza fiscale (italiana o estera). È però utile prendere in considerazione alcune casistiche particolari.

Lo Studio Consiglio nazionale del Notariato n. 46-2023/T (§ C.3.1) ha precisato che il socio che può godere dell’agevolazione deve essere titolare della proprietà della partecipazione o almeno esserne nudo proprietario; l’usufruttuario di una partecipazione, invece, non essendo considerato socio dal Fisco (circ. n. 26/2016, cap. I, Parte I, § 2) non potrà godere dei vantaggi fiscali previsti (sul punto, esistono però orientamenti contrastanti della giurisprudenza).

Più in generale, in merito alle eventuali modifiche della quota di partecipazione, la circ. Agenzia delle Entrate n. 26/2016 (cap. I, Parte I, § 2) ha precisato che la percentuale a cui fare riferimento al fine di attribuire la parte corretta del patrimonio sociale all’atto dell’assegnazione è quella esistente al momento dell’assegnazione medesima.

In presenza di un socio assegnatario in comunione legale dei beni, secondo la soluzione preferibile dai notai (studio n. 46-2023/T, § C.3.2), “si potrà godere dell’agevolazione per intero e non limitatamente alla metà corrispondente all’assegnazione in suo favore”; tuttavia, proseguono i notai, qualche dubbio potrebbe emergere partendo dalla contraria posizione dell’Amministrazione finanziaria in ordine alle agevolazioni prima casa (applicabile nella misura del 50% ove uno solo dei coniugi acquirenti in comunione legale sia in possesso dei requisiti; cfr. circ. n. 38/2005, § 2.1).

Il regime agevolato, secondo la prassi notarile (studio n. 46-2023/T, § C.3.3) e dell’Amministrazione finanziaria (circ. n. 26/2016, cap. I, Parte I, § 2) è ammesso anche nel caso di subentro dell’erede nella qualità di socio successivamente alla data del 30 settembre 2024, a seguito della accettazione dell’eredità da parte dell’erede medesimo; infatti, in questa ipotesi, non si realizza una cessione volontaria della partecipazione.

Tra le casistiche particolari, è stato poi esaminato il caso del socio assegnatario in caso di subentro per fusione e per scissione, nonché il caso delle partecipazioni intestate a società fiduciarie (circ. n. 26/2016, cap. I, Parte I, § 2.1 e studio n. 46-2023/T, § C.3.4 e C.3.5).

In ossequio al principio di continuità fiscale, è ammessa l’assegnazione agevolata nei confronti dei soci delle società incorporate, fuse o scisse, purché questi siano tali alla data di riferimento, fissata, come detto, al 30 settembre 2024.

Inoltre, possono risultare assegnatarie anche le società fiduciarie purché iscritte tra i soci alla data di riferimento e sia provato che il rapporto fiduciario sia sorto in data anteriore.

Non è invece pacifica l’applicazione delle disposizioni agevolative in caso di assegnazione di beni immobili in favore di terzi, per scelta del socio. I notai (studio n. 46-2023/T, § C.3.7) specificano, infatti, che se il “terzo” non è un socio o è divenuto tale in data successiva al 30 settembre 2024, si dovrebbe, in linea di principio, concludere per la soluzione negativa stante la mancanza della qualifica di socio in capo al soggetto assegnatario. Tuttavia, una possibile apertura potrebbe delinearsi, secondo i notai, nel caso in cui tra la società e il socio sia stipulato un contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.): in tal caso, l’acquisto si perfezionerebbe medio tempore in capo al socio, fino a quando il terzo non dichiari di “volerne profittare”. Non esistono però conferme sul punto da parte del Fisco.
 

(MF/ms)




Polizze catastrofali: scadenza all’1 ottobre 2025 per le medie imprese

Si avvicina il termine ultimo, fissato al 1° ottobre, anche per le medie imprese per adeguarsi all’obbligo di stipula delle polizze catastrofali, introdotto dall’art. 1 commi 101 – 111 della L. 213/2023 (legge di bilancio 2024).

Per le grandi imprese, la polizza catastrofale doveva essere stipulata entro il 31 marzo 2025, con la previsione dell’applicazione delle sanzioni decorsi novanta giorni dalla data di decorrenza dell’obbligo assicurativo (dal 30 giugno); le piccole e micro imprese, invece, devono assicurarsi entro il prossimo 31 dicembre.

Al momento, la mancata stipula delle assicurazioni entro i termini di legge comporterà, per chi non si adegua, l’impossibilità di accedere ad alcuni incentivi di competenza della Direzione Generale per gli incentivi alle imprese del Ministero delle Imprese e del made in Italy, individuati dal DM 18 giugno 2025 del MIMIT. Si tratta, in particolare, delle seguenti misure:

  • “Contratti di sviluppo” (art. 43 del DL 25 giugno 2008 n. 112 e DM 9 dicembre 2014);
  • “Interventi di riqualificazione destinati alle aree di crisi industriale ai sensi della Legge 181/89” (DM 24 marzo 2022);
  • “Regime di aiuto finalizzato a promuovere la nascita e lo sviluppo di società cooperative di piccola e media dimensione (Nuova Marcora)“ (DM 4 gennaio 2021 e DM 30 luglio 2025);
  • “Sostegno alla nascita e allo sviluppo di start up innovative in tutto il territorio nazionale (Smart & Start)“ (DM 24 settembre 2014);
  • “Agevolazioni a sostegno di progetti di ricerca e sviluppo per la riconversione dei processi produttivi nell’ambito dell’economia circolare” (DM 11 giugno 2020);
  • “Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività d’impresa” (DM 29 ottobre 2020);
  • “Mini contratti di sviluppo” (DM 12 agosto 2024);
  • “Agevolazioni alle imprese per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale” (DM 3 luglio 2015);
  • “Sostegno per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili nelle PMI” (DM 13 novembre 2024);
    – “Finanziamento di start-up” (DM 11 marzo 2022);
  • “Supporto a start-up e venture capital attivi nella transizione ecologica” (DM 3 marzo 2022).
Il provvedimento del MIMIT che individua gli incentivi preclusi, si ricorda, riguarda i soli strumenti agevolativi di competenza della Direzione Generale disciplinati da decreti adottati dal solo Ministro delle Imprese e del made in Italy.

L’elenco degli incentivi in esso riportato non è da ritenersi quindi tassativo, essendo in corso il processo di adeguamento della disciplina degli ulteriori incentivi di competenza di altri Ministeri (così l’avviso del Ministero delle Imprese e del made in Italy del 5 agosto 2025).

Lista degli incentivi preclusi da “completare”

Per le domande di agevolazioni (quelle individuate dal MIMIT nel decreto) presentate dalle medie imprese a partire dal prossimo 2 ottobre, quindi, occorrerà indicare, come requisito d’accesso, oltre a quanto richiesto dalla normativa di attuazione di ciascun incentivo, anche l’avvenuta stipula della polizza catastrofale, pena l’impossibilità di accedere all’agevolazione.

Peraltro, l’adempimento dell’obbligo assicurativo dovrà sussistere ed essere verificato anche in occasione dell’erogazione delle agevolazioni concesse.

Si ricorda che le imprese tenute a stipulare le polizze catastrofali sono quelle con sede legale in Italia oppure con sede legale all’estero aventi una stabile organizzazione in Italia, che sono tenute all’iscrizione nel Registro delle imprese ai sensi dell’art. 2188 c.c., indipendentemente dalla sezione (FAQ MIMIT del 1° aprile 2025).

Deve trattarsi, inoltre, di imprese che hanno in proprietà o impiegano per la propria attività almeno uno dei beni elencati dall’art. 2424 comma 1 c.c., sezione Attivo, voce B-II (immobilizzazioni materiali), numeri 1), 2) e 3), vale a dire:

  • terreni e fabbricati,
  • impianti e macchinario,
  • attrezzature industriali e commerciali.
In caso contrario, l’obbligo assicurativo non sussiste.
 

(MF/ms)




Definizione di caparra e acconto nei contratti preliminari ai fini della imposizione delle imposte

In passato, si era posto il problema di qualificare correttamente le somme corrisposte al contratto preliminare, in modo da applicare l’imposizione adeguata ai fini delle imposte indirette.

Fino al 31 dicembre 2024, infatti, le somme corrisposte a titolo di acconto (non soggetto a IVA) scontavano l’imposta di registro del 3%, mentre le somme corrisposte a titolo di caparra scontavano l’aliquota dello 0,5%. Pertanto, la qualifica come “acconto” o come “caparra” poteva incidere in modo rilevante sulla tassazione.

Alla luce della riforma introdotta dal DLgs. 139/2024, che ha equiparato l’aliquota dell’imposta di registro applicabile sulle caparre e sugli acconti, fissandola in entrambi i casi allo 0,5%, la questione ha perduto rilevanza, ma è interessante notare come il tema si ponga ancora, seppur con effetti più limitati, per gli atti imponibili a IVA.

Oggi, se due soggetti privati stipulano un contratto preliminare che preveda la corresponsione di somme (prima del definitivo) queste – sia che si tratti di acconti che di caparre – sconteranno l’imposta di registro dello 0,50% oppure nella misura inferiore applicabile per il contratto definitivo.

Quindi, ipotizzando un contratto preliminare fuori campo IVA che preveda una caparra o un acconto di 50.000 euro, l’imposta di registro sarà dovuta nella misura di 250 euro, salvo che dal definitivo non derivi l’applicazione di un’imposta in misura inferiore (ad esempio, ove si trattasse dell’acquisto di un terreno con le agevolazioni per la PPC, per le quali l’imposta di registro si applica in misura fissa, al preliminare l’imposta versata sull’acconto o sulla caparra non potrebbe superare i 200 euro). Si ricorda che l’imposta pagata su caparre o acconti va imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.

Nel caso appena proposto, il fatto che le somme versate al preliminare siano qualificate come acconti o come caparre è, quindi, indifferente ai fini dell’imposizione finale. Ove, invece, il contratto definitivo sia imponibile a IVA (anche su opzione), l’imposizione (del preliminare) potrebbe mutare.

Infatti, mentre le somme corrisposte a titolo di caparra, avendo funzione di risarcimento del danno da inadempimento, sono fuori campo IVA (fino a che non siano eventualmente imputate a corrispettivo), le somme corrisposte a titolo di acconto realizzano, invece, il presupposto d’imposta. In queste ipotesi, quindi:

  • se le somme versate al preliminare hanno natura di acconto imponibile a IVA scontano l’imposta sul valore aggiunto già al preliminare (e, secondo la risposta Agenzia delle Entrate n. 311/2019, anche l’imposta di registro fissa);
  • se le somme versate al preliminare hanno natura di acconto esente da IVA scontano l’imposta di registro proporzionale se si tratta di immobili abitativi, l’imposta fissa se si tratta di immobili strumentali;
  • se le somme versate al compromesso hanno natura di caparra scontano l’imposta di registro proporzionale e sono fuori campo IVA.
In questi casi permane, quindi, la necessità di qualificare correttamente le somme versate al preliminare.

In linea di principio, se le parti qualificano espressamente e in modo chiaro le somme versate non dovrebbero sorgere dubbi. Talvolta, però, vengono utilizzate formule che possono ingenerare dubbi. Ad esempio, in passato, l’Agenzia delle Entrate (ris. n. 197/2007) era stata chiamata a chiarire la tassazione di una formula particolarmente infelice: “imputazione al prezzo a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo”. A fronte di questa formula confusa, l’Agenzia aveva affermato che, in caso di mancata qualificazione delle somme o di dubbi sulla natura delle somme, si dovesse optare per la qualifica come acconto.

Tale impostazione è stata confermata nella circolare n. 18/2013, ove si legge che “se per le somme versate in occasione della stipula del contratto preliminare manca una espressa qualificazione o è dubbia l’intenzione delle parti sulla natura delle stesse, tali somme saranno da considerarsi acconti di prezzo”.

Questa indicazione potrebbe tornare ancora utile oggi, seppur solo nei casi di contratti preliminari relativi a definitivi soggetti a IVA.

Occorre, però, chiarire che “l’incertezza” sulla qualificazione delle somme esiste solo in presenza di una mancata qualificazione o di formule “prive di significante” come quella usata nel caso esaminato dalla risposta n. 197/2007. Invece, come già rilevato a suo tempo dal Notariato (Studio n. 185-2011/T) non esiste alcun dubbio ove, ad esempio, il preliminare specifichi che le somme sono versate a titolo di caparra e saranno poi imputate ad acconto. Questa indicazione è perfettamente compatibile con la natura della caparra, che, per espressa previsione dell’art. 1385 c.c., “in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta”. L’indicazione contrattuale sulla volontà di imputare la caparra a corrispettivo (convertendola – di fatto – in acconto) non rende in alcun modo “dubbia” la qualificazione della somma versata al preliminare, ma ne conferma la natura di caparra, in coerenza con l’art. 1385 c.c.

 

Esempio: contratto preliminare che prevede la corresponsione di 50.000 euro Imposte totali sul compromesso
Preliminare che prevede 50.000 euro di acconto Se il definitivo è imponibile a IVA 200 euro per il preliminare
+
IVA sull’acconto
+
200 euro (imposta di registro su acconto per alternatività, cfr. ris. n. 311/2019)
Se il definitivo è fuori campo IVA 200 euro per il preliminare
+
250 euro sull’acconto (0,5%) o la minore imposta dovuta al definitivo
Preliminare che prevede 50.000 euro di caparra In ogni caso 200 euro per il preliminare
+
250 euro sull’acconto (0,5%) o la minore imposta dovuta al definitivo

 
(MF/ms)




Beni assegnabili ai soci con benefici: scadenza al 30 settembre 2025

Il 30 settembre 2025 scade il termine per assegnare i beni ai soci usufruendo delle disposizioni agevolative di cui alla L. 207/2024; entro lo stesso termine le società interessate sono tenute a versare il 60% dell’imposta sostitutiva dovuta mentre il rimanente 40% deve essere versato entro il 30 novembre 2025.

In vista della prossima scadenza può essere utile riassumere quali beni possano essere oggetto di assegnazione e in quali circostanze.

Si ricorda che, in linea di principio, possono formare oggetto di assegnazione agevolata ai soci solo i beni “diversi da quelli indicati nell’art. 43 comma 2 primo periodo del TUIR”, diversi cioè da quelli utilizzati direttamente per l’esercizio dell’attività. In altre parole, i beni agevolati sono rappresentati:
– dai beni immobili (terreni e fabbricati), fatta eccezione per quelli strumentali per destinazione;
– dai beni mobili iscritti nei pubblici registri non usati quali beni strumentali nell’attività propria dell’impresa.

Oltre che in relazione alla natura dei beni, la spettanza dell’agevolazione può essere subordinata alla titolarità del bene da assegnare; in relazione a tali aspetti, alcune casistiche sono state affrontate dal Fisco e dallo Studio del Notariato n. 46-2023/T, § C.2.

Tale documento prende in esame il caso degli immobili strumentali per natura e degli immobili patrimonio concessi in locazione o comodato o comunque non utilizzati direttamente, i quali sono agevolabili in quanto riconducibili ad una attività di gestione immobiliare passiva che si manifesta con la mera percezione di canoni di locazione/affitto relativi ad uno o più immobili.

Viceversa, proseguono i notai, non sono agevolabili gli immobili riconducibili alla gestione immobiliare attiva, ovvero ad una attività consistente nell’esecuzione di una serie di servizi complementari e funzionali all’utilizzazione unitaria dei beni con finalità diverse dal mero godimento (villaggi turistici, centri commerciali, gallerie commerciali ecc.); in tal caso, infatti, i beni andrebbero considerati come direttamente utilizzati nell’esercizio dell’impresa.

Lo Studio affronta poi il caso degli immobili strumentali per natura e degli immobili patrimonio liberi da utilizzi, che siano stati però locati o concessi in comodato in passato e risultino in via prospettica ancora passibili di tali destinazioni. Anche tali beni, ad avviso dei notai, possono risultare agevolati in quanto essendo idonei, anche solo potenzialmente, a produrre un reddito autonomo non dovrebbero essere considerati strumentali per destinazione. In tal caso però i notai adottano un’impostazione rigorosa, ritenendo che, ai fini probatori, sarebbe preferibile acquisire documenti specifici e far risultare (ad esempio, mediante la prova delle utenze luce, acqua, gas ecc.) anche dall’atto tali circostanze e, nei casi più dubbi, far precedere l’assegnazione agevolata da un contratto di locazione e/o comodato a favore dei soci purché si tratti di un’operazione effettiva e non solo formale.

Nell’ipotesi in cui la società si trovi in liquidazione, poiché la stessa non esercita attività d’impresa (ris. Agenzia delle Entrate n. 93/2016), sarebbe esclusa la possibilità di ritenere che gli immobili sociali possano essere qualificati come “utilizzati direttamente”, essendo quindi possibile, invece, accedere al beneficio.

Per beneficiare dell’agevolazione, la società deve essere titolare del diritto di proprietà sul bene, il quale va assegnato nella sua interezza, anche a più soci, non essendo invece ammessa l’assegnazione agevolata di una quota parte del bene ad un solo socio.

Diversamente, in base a quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria (C.M. 21 maggio 1999 n. 112), non possono accedere all’agevolazione le società che detengano diritti reali parziali; è ad esempio il caso dell’usufrutto; tale posizione è stata “mitigata” dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 26/2016 (cap. I, Parte I, § 3), secondo cui, se la società è titolare di un diritto reale parziale (ad esempio, è titolare della nuda proprietà e ha concesso l’usufrutto al socio), è possibile attribuire la nuda proprietà al socio stesso, in capo al quale si ricongiunge la piena proprietà del bene.

Con lo Studio n. 46-2023, il Notariato conferma tale soluzione anche in relazione alla proprietà superficiaria; si tratta delle situazioni in cui l’area gravata dal diritto di superficie è di proprietà del socio assegnatario, per cui l’assegnazione determina la ricostituzione della piena proprietà.

Ad avviso del Notariato, le assegnazioni della proprietà superficiaria nel contesto dei piani di edilizia economica popolare dovrebbero invece essere sempre agevolabili. Con la successiva circ. n. 37/2016 (§ 2.1), l’Agenzia ha poi ammesso la spettanza delle agevolazioni anche nei casi in cui la società attribuisca ad un socio la nuda proprietà del bene e ad un altro socio l’usufrutto (è, invece, da escludere l’agevolazione per l’attribuzione della nuda proprietà o dell’usufrutto ad un soggetto estraneo alla compagine sociale).

Da ultimo, si segnala che l’Amministrazione finanziaria ha escluso anche la possibilità di assegnare ad un socio in via agevolata i diritti edificatori.
 

(MF/ms)




Chiarimenti sul trattamento di fine mandato degli amministratori

Il trattamento di fine mandato (TFM) costituisce un’indennità, stabilita dallo Statuto o dall’assemblea, che la società si impegna a corrispondere agli amministratori alla scadenza del mandato.

A livello contabile, gli accantonamenti al fondo TFM sono rilevati in ogni esercizio con il criterio della competenza economica nella voce fondi per trattamento di quiescenza e obblighi simili del passivo dello Stato patrimoniale (cfr. appendice “Fondi di indennità per cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa” del documento OIC 31).

Sotto il profilo fiscale, gli accantonamenti effettuati al fondo TFM sono deducibili, ai sensi dell’art. 105 comma 4 del TUIR, nei limiti delle quote maturate nell’esercizio, in base al criterio di competenza.

Secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, condivisa dalla giurisprudenza prevalente, per effetto del richiamo operato dall’art. 105 comma 4 del TUIR all’art. 17 comma 1 lett. c) del TUIR, la deducibilità degli accantonamenti è subordinata alla circostanza che il diritto all’indennità risulti da “atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto”, che ne specifichi anche l’importo. Se tale condizione non si verifica, il TFM può essere dedotto nell’esercizio in cui è effettivamente corrisposto, secondo il criterio di cassa (cfr. ris. Agenzia delle Entrate 13 ottobre 2017 n. 124 e Cass. 3 luglio 2025 n. 18026).

È alquanto diffusa tra le aziende la prassi di stipulare polizze assicurative a copertura dell’indennità di fine mandato spettante agli amministratori, che consentono di ottenere, al momento della cessazione del mandato, la restituzione di un importo minimo pari ai premi corrisposti (al netto delle spese), nonché il riconoscimento di eventuali rendimenti finanziari.

Il beneficiario della polizza (ossia il soggetto a cui sono pagate le prestazioni previste dal contratto) può essere l’amministratore o la società stessa.

In entrambi i casi, secondo l’impostazione contabile prevalente, la società contraente deve imputare a Conto economico l’accantonamento al fondo TFM per la quota di competenza dell’esercizio; il premio assicurativo è invece contabilizzato nella voce “crediti verso altri” (B.III.2) dell’attivo dello Stato patrimoniale (cfr. nota operativa Fondazione Accademia Romana di Ragioneria n. 1/2017).

A livello fiscale, l’accantonamento al fondo TFM è deducibile per competenza secondo i criteri previsti dall’art. 105 comma 4 del TUIR, anche qualora la società stipuli una polizza assicurativa a copertura del medesimo, mentre i premi assicurativi, rappresentando un credito immobilizzato, non sono deducibili.

Occorre tuttavia rilevare che secondo il documento OIC 31 (§ 42) “se la società stipula una polizza per trasferire ad una compagnia di assicurazione l’intera obbligazione per la corresponsione dei trattamenti di quiescenza previsti dal piano, si imputano al conto economico i soli premi annualmente pagati, in sostituzione degli accantonamenti ad un apposito fondo”. Secondo la dottrina contabile rientra in tale fattispecie il caso in cui la polizza preveda che l’impresa di assicurazione corrisponda quanto dovuto direttamente all’avente diritto alla prestazione di quiescenza o similare. Se, al contrario, l’obbligazione per la corresponsione del trattamento di quiescenza resta in capo all’impresa, i premi pagati devono essere considerati investimenti finanziari, da contabilizzare nella voce B.III.2) dello Stato patrimoniale, come previsto per il TFR dei dipendenti (cfr. documento OIC 31, § 69).

Tale modalità di contabilizzazione sembrerebbe ammissibile anche quando si tratti di polizze TFM che prevedono il trasferimento dell’intera obbligazione per la corresponsione dell’indennità alla compagnia di assicurazione, che provvederà a liquidare le somme dovute, comprensive dell’eventuale rendimento di polizza, direttamente all’amministratore.

Quanto al trattamento fiscale dei premi assicurativi, secondo la giurisprudenza, se il beneficiario della polizza TFM è l’amministratore e la società imputa direttamente a Conto economico i premi assicurativi ad essa relativi, anche i premi assicurativi devono ritenersi deducibili per competenza secondo i criteri previsti dall’art. 105 comma 4 del TUIR.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, “la forma data, nella specie, agli accantonamenti effettuati a titolo di trattamento di fine mandato in favore dell’amministratore (…), ossia il fatto che essi siano stati fatti confluire in premi di polizze assicurative, non incide sulla disciplina applicabile, costituendo essa una mera modalità dell’accantonamento, non incidente sul titolo dell’operazione” (Cass. 16 febbraio 2021 n. 3994 e Cass. 27 febbraio 2015 n. 4042).

Nello stesso senso si è espressa la C.G.T. II Piemonte 27 febbraio 2023 n. 70/3/23, secondo la quale l’accantonamento al fondo TFM e il pagamento dei premi assicurativi relativi alla polizza TFM, contratta dalla società per costituirsi la provvista necessaria alla liquidazione al momento della cessazione dall’incarico dell’amministratore, sono equipollenti ai fini fiscali.

(MF/ms) 




Firma digitale: blocco per alcuni dispostivi di firma

InfoCamere sta inviando una nota ai possessori di firma digitale in cui avverte che per alcuni dispositivi (sia token che smart card)  il 31 dicembre 2025 scadrà la certificazione del chip crittografico (JSIGN3 e COSMOV9), poiché tale certificazione non è stata rinnovata dal produttore.
 
Pertanto, il 31/12/2025, il certificatore InfoCamere sarà tenuto a revocare il certificato di sottoscrizione presente sul dispositivo per rispettare i requisiti di sicurezza imposti dal Regolamento UE 910/2014 (come modificato dal Regolamento UE 1183/2024).

InfoCamere oltre ad informare gli utenti propone anche l’acquisto online di un nuovo dispositivo a un prezzo agevolato .

La scadenza dei microchip delle firme digitali non va confusa con la scadenza del certificato digitale che dura invece 3 anni

(MF/ms)




Applicazione regime forfettario e lavoro dipendente: dal 2026 torna il limite di 30 mila euro

Con effetti dal 1° gennaio 2026 ritorna valida la soglia limite di 30.000 euro prevista ai fini dell’applicazione del regime forfetario dalla lettera d-ter), comma 57, Legge n. 190/2014.

La norma citata dispone che non possono applicare il regime forfetario: i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui rispettivamente agli articoli 49 e 50 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato.

La Legge n. 207/2024, Legge di Bilancio 2025, al comma 12 ha elevato per l’anno 2025 il limite da 30.000 a 35.000, cosicché, visto il riferimento all’anno precedente contenuto nella norma citata, ad esempio, chi ha chiuso il 2024 (fatta salva l’applicazione principio di cassa allargato) con un reddito da lavoro dipendente/pensione pari a 32.000 euro: con le vecchie regole sarebbe stato costretto a uscire dal forfetario dal 2025, grazie al nuovo limite invece è potuto rimanere in tale regime.

Tale deroga ossia l’innalzamento del limite vale solo per il 2025 (applicazione forfetario per il 2025).

Da qui, chi chiuderà il 2025 con un reddito da lavoro dipendente/pensione superiore a 30.000 non potrà rimanere nel regime forfetario nel 2026.

Il limite in parola deve essere verificato tenendo conto che:

  • non devono essere conteggiati gli arretrati e altre somme soggette a tassazione separata (risposta n. 102/2020);
  • rilevano invece i premi di risultato da contratti collettivi, assoggettati a imposta sostitutiva del 10% (risposta n. 398/2020),
  • così come rilevano i redditi da lavoro dipendente all’estero (risposta n. 257/2021).
Dubbi sulla verifica della soglia di 30.000 euro potrebbero sorgere in ipotesi di percezione dell’indennità di disoccupazione NASpI “mensile”.

Invero, si tratta di un’indennità sostitutiva del reddito di cui all’occupazione persa, ai fini fiscali è considerata reddito assimilato a quello da lavoro dipendente e pertanto reddito imponibile (art. 6, comma 2, D.P.R. n. 917/1986, TUIR), assoggettata a tassazione IRPEF.

Tuttavia, come da circolare n. 10/E/2016, la verifica di tale soglia di 30.000 euro è irrilevante se il rapporto di lavoro risulta cessato nell’anno precedente (cfr. paragrafo 2.3 della circolare n. 10/E del 4 aprile 2016).

Nello specifico, la causa di esclusione di cui alla lettera d-ter non opera:

  • se il rapporto di lavoro dipendente è cessato nel corso dell’anno precedente, sempre che nel medesimo anno non sia stato percepito un reddito di pensione che, in quanto assimilato al reddito di lavoro dipendente, assume rilievo, anche autonomo, ai fini del raggiungimento della citata soglia;
  • rileva, invece, il citato limite nell’ipotesi in cui, nello stesso anno il contribuente abbia cessato il rapporto di lavoro dipendente ma ne abbia intrapreso uno nuovo, ancora in essere al 31 dicembre.
In tale ultimo caso la NaspI nel frattempo percepita (prima dell’attivazione del nuovo rapporto di lavoro) potrebbe rilevare ai fini della verifica del limite di 30.000 euro, ciò in attesa di nuovi chiarimenti ufficiali.

Tuttavia, ad una diversa conclusione potrebbe giungersi considerando le precedenti risposte a interpello n. 102/2020 e n. 398/2020, nelle quali è stato precisato che si assumono come rilevanti le somme percepite in via ordinaria: “senza tener conto di fattori errati che potrebbero falsare la determinazione di tali importi ai fini della predetta soglia”.
 

(MF/ms)




IMU 2024: entro il 29 settembre 2025 il ravvedimento per l’omessa dichiarazione

Entro lunedì 29 settembre 2025 è possibile ravvedere l’omessa dichiarazione IMU per l’anno 2024 con un ritardo non superiore a 90 giorni, ai sensi dell’art. 13 comma 1 lett. c) del DLgs. 472/97 (il 90° giorno cade di domenica).

È scaduto infatti lo scorso 30 giugno il termine per presentare le dichiarazioni IMU (se dovute) o IMU ENC (obbligatorie per ciascun anno) riferite all’anno 2024.

A tale riguardo, occorre richiamare l’art. 13 comma 2-ter del DLgs. 472/97 (introdotto dal DLgs. 87/2024, c.d. DLgs. “Sanzioni”), ai sensi del quale “la riduzione della sanzione è, in ogni caso, esclusa nel caso di presentazione della dichiarazione con un ritardo superiore a novanta giorni”.

La disposizione preclude pertanto, per la generalità dei tributi (compresi quelli locali), la possibilità di perfezionare il ravvedimento dell’omessa dichiarazione se è decorso un ritardo superiore a 90 giorni.

L’art. 13 comma 2-ter del DLgs. 472/97 trova applicazione per le violazioni commesse dal 1° settembre 2024, come precisato dall’art. 5 del DLgs. 87/2024, e dunque certamente opera per l’omessa presentazione della dichiarazione IMU per l’anno 2024, che si è consumata il 30 giugno 2025 (termine per la presentazione della dichiarazione).

In forza del citato art. 13 comma 2-ter del DLgs. 472/97, devono pertanto intendersi superati i precedenti chiarimenti ministeriali che, invece, avevano riconosciuto la facoltà di ravvedere la tardiva dichiarazione IMU anche oltre il termine dei 90 giorni: detti chiarimenti evidenziavano che, in materia di tributi locali, non trova applicazione la qualifica della dichiarazione presentata con ritardo superiore a 90 giorni come “omessa”, prevista ai sensi degli artt. 2 comma 7 e 8 comma 6 del DPR 322/98 limitatamente alle dichiarazioni per imposte sui redditi, IRAP e IVA.

Dunque, con riguardo alle omesse dichiarazioni IMU e IMU ENC relative al 2024, è possibile perfezionare il ravvedimento, presentando una dichiarazione tardiva, solo entro il termine del 29 settembre 2025.

Resta in ogni caso fermo che, come per gli altri tributi locali, anche per l’IMU l’avvio di un controllo fiscale da parte del Comune preclude, in ogni caso, la possibilità del contribuente di ravvedersi (art. 13 comma 1-ter del DLgs. 472/97).

Con riferimento al trattamento sanzionatorio, per l’omessa dichiarazione IMU l’art. 1 comma 775 della L. 160/2019 prevede una sanzione che va dal 100% al 200% dell’imposta non versata, con un minimo di 50 euro (se il contribuente, pur avendo omesso la dichiarazione, ha corrisposto l’IMU dovuta, la sanzione è pari a 50 euro).

Peraltro, se la dichiarazione IMU viene presentata entro 30 giorni dal termine (quindi, se la dichiarazione IMU per il 2024 è già stata presentata entro il 30 luglio 2025), la sanzione di cui al citato comma 775 è ridotta a un terzo, ai sensi dell’art. 7 comma 4-bis del DLgs. 472/97 (nella versione post modifiche del DLgs. 87/2024, operante per le violazioni commesse dal 1° settembre 2024).

Alla sanzione per l’omessa dichiarazione IMU di cui all’art. 1 comma 775 della L. 160/2019 (eventualmente ridotta ex art. 7 comma 4-bis del DLgs. 472/97) va poi applicata la riduzione da ravvedimento operoso: perfezionando il ravvedimento (con non oltre 90 giorni di ritardo), la sanzione è di importo pari ad un decimo del minimoex art. 13 comma 1 lett. c) del DLgs. 472/97.

Per il perfezionamento del ravvedimento va ricordato che nel termine di 90 giorni occorre presentare la dichiarazione, nonché versare l’IMU eventualmente dovuta con i correlati interessi legali (che maturano giorno per giorno sull’imposta dovuta, ed il cui tasso fissato a partire dal 1° gennaio 2025 è pari al 2%) e la sanzione ridotta secondo i criteri sopra illustrati.

Ipotizzando che la dichiarazione venga presentata il 29 settembre 2025, per il ravvedimento è quindi necessario versare entro tale data anche l’IMU dovuta, con i relativi interessi legali, e la sanzione pari al 10% (1/10 del 100%) dell’IMU non versata (con una sanzione di importo minimo di 5 euro); se è già stata corrisposta l’IMU dovuta, va versata, ai fini del ravvedimento, la sanzione di 5 euro (1/10 di 50 euro).

Omessa dichiarazione anche se non viene dichiarato un singolo immobile

Va evidenziato, infine, che secondo la giurisprudenza di legittimità configura un’ipotesi di omessa dichiarazione (e non di dichiarazione infedele) anche la mancata indicazione, nella dichiarazione IMU, di un singolo immobile (così, tra le altre, Cass. 17 giugno 2021 n. 17298).
 

(MF/ms)




Ires premiale: definite le disposizioni attuative

Con il DM 8 agosto 2025, pubblicato sul sito del Dipartimento delle Finanze, sono state definite le disposizioni attuative della c.d. IRES premiale di cui all’art. 1 commi 436-444 della L. n. 207/2024, che si sostanzia in una riduzione dell’IRES al 20% per il solo 2025 per le imprese che effettuano investimenti rilevanti.

Le indicazioni più significative riguardano le condizioni per accedere all’agevolazione, che risolvono alcune delle criticità che erano emerse.

Si ricorda che la riduzione dell’aliquota IRES spetta al ricorrere di entrambe le seguenti condizioni:

  • una quota non inferiore all’80% dell’utile dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2024 sia accantonata ad apposita riserva;
  • un ammontare non inferiore al 30% dei suddetti utili accantonati e, comunque, non inferiore al 24% dell’utile dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2023, sia destinato a investimenti relativi all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato, indicati negli Allegati A e B alla L. n. 232/2016.
Con riferimento alla prima condizione, l’art. 4 del DM stabilisce che si considera accantonato ad apposita riserva tutto l’utile dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2024 destinato a finalità diverse dalla distribuzione ai soci in sede di approvazione del bilancio, ivi compresa la copertura delle perdite di esercizio.

A tal fine, si considerano distribuiti ai soci anche gli eventuali acconti di cui all’art. 2433-bis c.c. relativi al medesimo esercizio.

Come rilevato nella Relazione illustrativa al DM, i soggetti che non hanno realizzato un utile nell’esercizio 2024 (soggetti “solari”) non potranno accedere all’agevolazione.

Il comma 2 del citato art. 4 introduce una presunzione in base alla quale l’utile relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2024 si considera accantonato “ad apposita riserva” se destinato a finalità diverse dalla distribuzione ai soci in sede di approvazione del bilancio. A tal fine, anche eventuali acconti sui dividendi si considerano non accantonati.

Pertanto, secondo la Relazione illustrativa, ai fini in esame costituisce utile accantonato l’utile dell’esercizio 2024 (soggetti “solari”) accantonato a qualsiasi riserva, destinato alla copertura delle perdite di esercizi precedenti e/o portato a nuovo.

Ne consegue che il vincolo fiscale è apposto alle riserve costituite o incrementate mediante destinazione dell’utile relativo al 2024 (al netto della quota parte di tale utile destinata a copertura di perdite di esercizi precedenti), a prescindere dalla “disponibilità” delle stesse e senza distinguere la quota parte di utile accantonata “spontaneamente” dalla quota parte di utile la cui destinazione a riserva deriva da una disposizione di legge o statutaria. Parimenti, è sottoposto al vincolo anche l’utile destinato ad aumento di capitale, nonché quello semplicemente portato a nuovo. Rileva quindi integralmente, ad esempio, la quota dell’utile dell’esercizio 2024 destinata a riserva legale.

In altri termini, ai fini dell’IRES premiale, la presenza di vincoli civilistici (indisponibilità o non distribuibilità) sulle riserve non osta all’apposizione del diverso vincolo avente natura esclusivamente fiscale.

In merito poi alla seconda condizione relativa alla destinazione degli utili a investimenti “qualificati”, l’art. 5 comma 5 del DM dispone che l’ammontare minimo degli investimenti rilevanti sia determinato in misura pari al maggiore fra i seguenti importi:

  • 30% dell’utile accantonato a riserva ai sensi dell’art. 4 del DM;
  • 24% dell’utile dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2023;
  • 20.000 euro.
La Relazione illustrativa al DM precisa che non è necessario che nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2023 sia realizzato un utile. Il beneficio, quindi, potrà essere fruito da soggetti in perdita nel 2023, se rispettano le altre condizioni e destinano all’acquisizione di investimenti rilevanti il 30% dell’utile accantonato nell’esercizio successivo (che deve a sua volta essere pari ad almeno l’80% di quello realizzato in tale esercizio).

Gli investimenti devono riguardare l’acquisto, anche mediante leasing, di beni indicati negli Allegati A e B alla L. 232/2016 (beni materiali e immateriali 4.0) e nell’art. 38 commi 4 e 5 del DL 19/2024, quindi, in pratica, i beni che sono oggetto del bonus investimenti 4.0 e transizione 5.0.

Gli investimenti rilevanti devono essere realizzati, a norma dell’art. 109 del TUIR, dal 1° gennaio 2025 ed entro la scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024 (31 ottobre 2026, per i soggetti “solari”).

Viene altresì espressamente stabilito, all’art. 12 del DM, che la riduzione dell’aliquota IRES è cumulabile con la fruizione di altre agevolazioni che abbiano a oggetto i medesimi investimenti, quali ad esempio, secondo la Relazione al DM, i crediti d’imposta 4.0 e 5.0.

L’art. 6 del DM definisce inoltre le modalità con cui operano le condizioni di accesso relative all’esistenza di incrementi occupazionali.
 

In allegato analisi delle condizioni richieste.

(MF/ms)