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Lipe secondo trimestre 2023: trasmissione entro il 2 ottobre

I dati delle liquidazioni periodiche riferite al secondo trimestre 2023 devono essere trasmessi all’Agenzia delle Entrate, con l’apposito modello, entro il prossimo 2 ottobre.

 

Per il secondo trimestre, l’art. 21-bis del Dl 78/2010 fissa il termine del 30 settembre, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 3 del Dl 73/2022 (in precedenza, infatti, la scadenza era quella del 16 settembre).

Essendo il 30 settembre 2023 un sabato, l’adempimento è differito al 2 ottobre 2023, ossia al primo giorno feriale successivo, come prevede l’art. 7 comma 2 lett. l) del Dl 70/2011.

Sono chiamati alla comunicazione tutti i soggetti passivi Iva, con la sola esclusione di coloro che non sono tenuti a presentare la dichiarazione Iva annuale o a effettuare le liquidazioni periodiche.

Nel caso in cui i dati siano stati omessi ovvero siano incompleti o inesatti, la sanzione è compresa tra 500 e 2.000 euro, dimezzabile purché i dati siano trasmessi regolarmente entro 15 giorni dalla scadenza (17 ottobre 2023).

La sanzione può essere ridotta beneficiando del ravvedimento operoso se, oltre al pagamento della sanzione, è presentata una comunicazione sostitutiva (ris. Agenzia delle Entrate n. 104/2017).

È bene sottolineare che, ad alcuni soggetti passivi, è data la possibilità di effettuare la comunicazione avvalendosi del programma di assistenza on line offerto dall’Agenzia delle Entrate, mediante il quale sono messe a disposizione la bozza di comunicazione delle liquidazioni periodiche Iva e il servizio di pagamento delle somme eventualmente dovute.

La bozza precompilata e il modello F24 per l’eventuale pagamento sono resi disponibili anche ai soggetti che non hanno convalidato o integrato i registri Iva precompilati (provv. Agenzia delle Entrate n. 9652/2023, punto 4).

La facoltà di fruire del programma di assistenza dell’Agenzia riguarda i soggetti passivi che adottano la liquidazione trimestrale per opzione o per natura (questi ultimi solo a partire dalle LIPE dell’ultimo trimestre 2022). 

Sono, inoltre, stati ammessi ad avvalersi del programma anche gli operatori per i quali nell’anno di riferimento è stato dichiarato il fallimento o la liquidazione coatta amministrativa, nonché coloro che si avvalgono di specifici metodi di determinazione dell’Iva ammessa in detrazione, quali i produttori agricoli o coloro che svolgono le attività agricole connesse, le aziende di agriturismo, le aziende enoturistiche od oleoturistiche (provv. n. 9652/2023, punto 2).

Oltre ai soggetti passivi che adottano la liquidazione periodica mensile, non possono, invece, avvalersi dei documenti Iva precompilati gli altri operatori già esclusi dal provv. n. 183994/2021, cioè a dire: i soggetti che esercitano attività per cui sono previsti regimi speciali, i soggetti che applicano l’Iva separatamente, coloro che aderiscono all’Iva di gruppo o che partecipano a Gruppi Iva, le Pubbliche Amministrazioni e gli enti soggetti alla disciplina dello split payment, i commercianti al minuto che adottano il metodo della ventilazione dei corrispettivi, i soggetti che trasmettono i dati dei corrispettivi relativi alle cessioni di benzina e gasolio da utilizzare come carburanti per motori, i soggetti che trasmettono i dati dei corrispettivi relativi alle operazioni tramite distributori automatici e coloro che erogano prestazioni sanitarie.

Qualora ci si accorga, dopo l’invio della comunicazione convalidata o integrata, che i dati in essa contenuti sono incompleti o inesatti, è possibile inviare una comunicazione sostitutiva, entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale Iva (30 aprile 2024 per l’anno 2023), ferme restando le sanzioni applicabili.

Acquisti in reverse charge nel campo VP3

In merito alla compilazione del modello delle liquidazioni periodiche, un aspetto degno di interesse concerne gli acquisti relativi a operazioni con il meccanismo del reverse charge.

Nel caso di reverse charge “interno” (ad es., servizi nel settore edile), l’imponibile è riportato nel rigo VP3 (operazioni passive), mentre la relativa imposta nei righi VP4 e VP5 (in quest’ultimo rigo solo se detraibile).

Se l’inversione contabile avviene in via elettronica (trasmettendo i dati al SdI), nel rigo VP3 sarà indicato l’imponibile contenuto nella fattura e non l’ammontare del documento integrato con codice “TD16” (si vedano le FAQ nel portale “Fatture e Corrispettivi”).

Tanto vale anche per il reverse charge “esterno” (ad es. prestazioni ricevute da soggetti non stabiliti in Italia), per il quale è necessario indicare l’imponibile nel rigo VP3 del modello e la relativa imposta nei campi VP4 e VP5, a prescindere dall’integrazione elettronica via SdI.

In tema di reverse charge, è da rammentare che un singolo acquisto con lo speciale meccanismo comporta l’obbligo di presentare la comunicazione con i dati del periodo, anche per coloro che altrimenti ne sarebbero esonerati, come i soggetti passivi che effettuano solo operazioni esenti, mentre qualche dubbio vi è per i forfetari.

(MF/ms)




L’adozione dell’E-fattura nei paesi Ue

Una raffica di proroghe sull’adozione dell’e-fattura nei paesi Ue, mentre aumenta il pericolo di sistemi di rendicontazione digitale che non comunicano.

La fretta di adottare sistemi di rendicontazione digitale per l’Iva aiuterà le amministrazioni fiscali nella lotta contro l’evasione dell’imposta, ma esiste il rischio di una proliferazione di soluzioni nazionali sviluppate in modo indipendente senza riguardo per l’interoperabilità con i sistemi di altri stati membri dell’Ue.

Ciò, a sua volta, potrebbe non solo incidere negativamente sulla cooperazione tra le amministrazioni fiscali nella lotta alle frodi transfrontaliere e all’evasione fiscale, minando potenzialmente i futuri progressi nella lotta alle frodi carosello, ma anche creare costi aggiuntivi per le imprese che operano in diversi stati membri e andare contro la obiettivo del mercato interno.

Lo riporta la Commissione europea nella Relazione annuale in materia di fiscalità del 2023, in cui vengono analizzati i dati più recenti dei sistemi fiscali dell’Ue e vengono individuate le modalità di miglioramento della politica fiscale.

In questo contesto, paesi come la Francia, la Germania, la Spagna e il Belgio hanno preso la decisione di posticipare l’introduzione dello strumento (perlopiù al 2026 rispetto al 2024), con lo scopo di superare le difficoltà tecniche ma anche di aspettare la delineazione della fatturazione elettronica intracomunitaria che sarà implementata a livello Ue.

Per affrontare questi rischi e sfruttare al meglio i vantaggi della digitalizzazione per l’Iva, l’8 dicembre 2022 la Commissione europea aveva presentato l’iniziativa sull’Iva nell’era digitale che cambierà il modo in cui le transazioni intracomunitarie vengono segnalate dal 2028, allo stesso tempo armonizzando le principali caratteristiche della segnalazione per le operazioni domestiche.

Le fatture tra stati membri saranno comunicate su un portale centrale (Vies) ma gli stati membri dovranno attenersi agli standard minimi Ue se desiderano implementare la fatturazione elettronica nazionale, un punto che rappresenta una sfida per l’Italia.

La nascita dei sistemi di rendicontazione digitale per l’Iva.

La riforma della direttiva Iva del 2006, che ha introdotto nuove norme comuni per la fatturazione elettronica, è stato uno dei fattori che ha sostenuto la crescita della fatturazione elettronica tra le imprese dell’Ue a partire dal 2014.

Secondo uno studio segnalato dalla commissione europea, ciò ha portato a una riduzione degli oneri amministrativi per le imprese di circa 920 milioni di euro nel periodo 2015-2017, di cui circa 540 milioni di euro nel 2017

L’Italia è stata il primo paese dell’Ue ad aver reso obbligatoria la fatturazione elettronica per le transazioni business-to-business nel 2019 e attualmente 12 stati membri impongono obblighi di rendicontazione digitale.

La maggior parte di questi sta procedendo con l’implementazione della fatturazione elettronica obbligatoria, sia per business-to-government (B2G) che per business-to-business (B2B), con alcune che lanciano programmi pilota e altre che mirano a una nuova legislazione sulla fatturazione elettronica entro il 2024.

 

Esiste il rischio di una moltiplicazione di soluzioni nazionali indipendenti senza riguardo per l’interoperabilità con i sistemi di altri stati membri dell’Ue
I diversi sistemi.
Dato che gli stati membri hanno un ampio margine di manovra nella progettazione del controllo e dell’applicazione dell’Iva, i requisiti di rendicontazione digitale non sono stati finora soggetti ad alcuna armonizzazione o ad alcun coordinamento significativo a livello di Ue.

Ciò si traduce nella scelta di un’ampia varietà di soluzioni.

Si possono distinguere due tipi di obblighi di rendicontazione digitale in base al momento in cui le informazioni devono essere presentate.

Il primo richiede un controllo periodico delle transizioni (Periodic transaction controls – Ptc), in cui i dati sulle transazioni vengono segnalati alle autorità fiscali a intervalli regolari.

Tra questo, i modelli più comuni sono il registro Iva – richiede la trasmissione periodica di dati da compilare e trasmettere secondo un formato definito a livello nazionale – e i requisiti Saf-T (Standard Audit File for Tax) che si basano sulla definizione nazionale di uno standard Ocse, il Saf-T.

Il secondo richiede un controllo continuo delle transazioni (Continuous transaction controls – Ctc), in cui i dati sulle transazioni vengono presentati elettronicamente alle autorità fiscali subito prima, durante o subito dopo l’effettivo scambio di tali dati tra le parti.

Tra questo esistono in alternativa i sistemi in tempo reale e di fatturazione elettronica. In un sistema in tempo reale, il contribuente deve presentare determinati dati subito dopo aver effettuato una transazione, ma non è obbligato a utilizzare e condividere obbligatoriamente l’intera fattura elettronica con l’amministrazione fiscale.

Nell’ambito di un sistema di fatturazione elettronica, invece, i soggetti passivi sono tenuti a utilizzare per le loro transazioni una fattura strutturata preparata in un formato predeterminato e leggibile da una macchina, condividendo automaticamente l’intera fattura (o un sottoinsieme di dati) con l’amministrazione fiscale.

Al momento sei stati membri dell’Ue prevedono il sistema del registro Iva, mentre il Saf-T è stato adottato da Lituania, Polonia, Portogallo e Romania. Il Saf-T va anche oltre il campo dell’Iva, in quanto viene utilizzato per riportare tutte le informazioni fiscali.

Per quanto riguarda il Ctc, tre stati membri hanno introdotto la rendicontazione continua delle transazioni: l’Italia è l’unico ad utilizzare il sistema di liquidazione della fatturazione elettronica, che richiede l’autorizzazione preventiva da parte dell’amministrazione fiscale per l’emissione della fattura al cliente, mentre Spagna e Ungheria utilizzano la rendicontazione in tempo reale.
 

(MF/ms)




Regime forfettario: l’addebito del bollo rientra nella base imponibile

Con la risposta a interpello n. 428/2022, l’Agenzia delle Entrate ha affermato il principio secondo cui l’importo dell’imposta di bollo richiesta a rimborso dal contribuente che si avvale del regime forfetario di cui all’art. 1 commi 54-89 della L. 190/2014 costituisce parte integrante del suo compenso; non rileva, a tal fine, il fatto che l’art. 22 del Dpr 642/72 disponga che le parti siano tenute in solido al versamento del tributo.

A norma dell’art. 6 della Tabella B allegata al Dpr 642/72 sono esenti in modo assoluto dall’imposta di bollo le fatture che riguardano operazioni soggette a Iva, a condizione che sia presente “l’indicazione che trattasi di documenti emessi in relazione al pagamento di corrispettivi di operazioni assoggettate ad imposta sul valore aggiunto” (cfr. art. 6 della Tabella B del Dpr 642/72). 

In caso contrario, il tributo si applica in misura pari a 2 euro, qualora il documento superi la somma di 77,47 euro (art. 13 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr 642/72), fatte salve specifiche esenzioni.

I soggetti aderenti al regime forfetario non addebitano l’Iva in rivalsa e non esercitano il “diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta, dovuta o addebitata sugli acquisti” ex art. 19 e seguenti del Dpr 633/72, pertanto le fatture da loro emesse dovranno essere assoggettate a imposta di bollo sin dal momento della formazione.

Nell’ipotesi in cui il documento sia emesso in formato elettronico, il soggetto forfetario dovrà valorizzare il campo “Bollo Virtuale”, indipendentemente dalla decisione di richiederne il rimborso al cessionario/committente.

Qualora, invece, ciò avvenisse, tale riaddebito costituirebbe, come detto, ricavo o compenso per il cedente o prestatore. L’Amministrazione finanziaria sottolinea, infatti, come l’obbligo di apposizione del contrassegno sulle fatture o sulle ricevute sia a “carico del soggetto che consegna o spedisce il documento”, dal momento che su tale tipologia di atti “l’imposta di bollo è dovuta fin dall’origine, vale a dire dal momento della loro formazione” (risposta a interpello 20 febbraio 2020 n. 67).

Considerato, quindi, che l’obbligo di corrispondere l’imposta grava, “in via principale”, in capo al prestatore d’opera, la somma che questi richiede a titolo di rimborso del tributo “fa parte integrante del suo compenso”, concorrendo, conseguentemente, “al calcolo volto alla determinazione forfetaria del reddito” (risposta a interpello n. 428/2022).

L’Agenzia delle Entrate aveva già assunto tale posizione in passato, benché con riferimento alla fruizione dei contributi a fondo perduto erogati nell’ambito dell’emergenza sanitaria.

Nella circolare n. 5/2021 si affermava, infatti, che le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto del cliente, purché regolarmente documentate, non dovessero essere computate nel reddito; all’opposto, sarebbero state “considerate rilevanti ai fini del calcolo dell’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi (…), i rimborsi spese (viaggio, vitto alloggio, ecc.) addebitati in fattura al committente”; a tali ipotesi risultavano assimilate “anche le spese addebitate al cliente da parte dei professionisti per l’imposta di bollo” (circ. n. 5/2021, § 3.3).

L’orientamento dell’Amministrazione finanziaria trova peraltro riscontro anche nella citata procedura utilizzata per il versamento tramite i servizi dell’Agenzia delle Entrate.

Spetta, infatti, al soggetto che forma il documento (cedente o prestatore) l’onere di valorizzare nel file XML il campo “Bollo virtuale” e di procedere, poi, al pagamento entro le scadenze prestabilite.

Posto che, come sottolineato, l’imposta di bollo sulle fatture è dovuta “fin dall’origine”, il chiarimento contenuto nella risposta a interpello n. 428/2022, riferito ai contribuenti in regime forfetario, potrebbe trovare applicazione anche con riguardo ad altri soggetti. Il regime di franchigia comporta, infatti, esclusivamente un particolare metodo di calcolo del reddito, assoggettato a imposta sostitutiva, ma non contiene alcuna specifica deroga alle ordinarie disposizioni in tema di determinazione della base imponibile di cui all’art. 13 del Dpr 633/72, limitandosi a disporre che non venga esercitata la rivalsa ex art. 18 del Dpr 633/72 (art. 1 comma 58 della L. 190/2014).

Si pensi, a titolo esemplificativo, ai professionisti del settore sanitario, i quali emettono fatture esenti da Iva ai sensi dell’art. 10 comma 1 n. 18 del Dpr  633/72.

Posto che il documento riguarda corrispettivi non assoggettati a Iva, qualora il compenso superi l’ammontare di 77,47 euro, l’imposta di bollo si applicherà in misura pari a 2 euro.

Obbligato in via principale al pagamento del tributo è il prestatore; pertanto, l’eventuale riaddebito del costo della marca da bollo inserita nel documento (cartaceo, se emesso nei confronti di persona fisica, in considerazione del divieto di emissione di e-fattura), costituirebbe parte integrante dei corrispettivi dovuti, così incrementando la base imponibile.

A ben vedere, non potrebbe operare, nel caso di specie, l’esclusione da Iva applicabile al rimborso di spese anticipate in nome e per conto (art. 15 del Dpr 633/72); proprio in ragione del principio di solidarietà, non sarebbe, infatti, sostenibile la tesi secondo cui l’imposta di bollo pagata dal cedente/prestatore sia a esclusivo carico del cessionario/committente.

(MF/ms)




Riforma fiscale: legge delega in Gazzetta Ufficiale

Sulla Gazzetta Ufficiale del 14 agosto è stata pubblicata la L. 9 agosto 2023 n. 111, ovvero la legge delega per la riforma fiscale, che contiene numerose linee guida a cui l’Esecutivo dovrà attenersi per l’emanazione dei decreti delegati, alcune di principio, altre molto di dettaglio, sulle quali risulta esserci poco margine di manovra a opera dei decreti.

Si tratta di un obiettivo ambizioso nonché opportuno, considerando che i decreti legislativi, come indicati nell’art. 21, dovranno effettuare una codificazione della materia tributaria, distinta in una parte generale e in una parte speciale.

Per quanto riguarda l’IRPEF, si prevede una revisione del sistema di imposizione che mira a una sua graduale riduzione.

Ciò avverrà con il riordino di aliquote e scaglioni di reddito, di deduzioni, detrazioni e crediti di imposta, applicando la stessa area di esenzione fiscale (c.d. “no tax area”) e lo stesso carico impositivo tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione.

Ci sarà un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali sulle retribuzioni corrisposte a titolo di straordinario che eccedono una determinata soglia, sui redditi di lavoro dipendente e assimilati riferibili alla tredicesima mensilità e sui premi di produttività.

Per le imprese in regime di contabilità ordinaria, ci sarà la facoltà di avvalersi di un’imposta proporzionale simile all’IRES. È in cantiere anche la graduale abrogazione dell’IRAP.

Relativamente all’IVA, saranno rivisti le aliquote e il sistema delle operazioni esenti, prevedendo la possibilità di optare per l’imponibilità.

Varie sono le novità in tema di accertamento, basti pensare alla previsione di un contraddittorio preventivo generalizzato per ogni imposta, al rafforzamento della motivazione degli atti impositivi e alla necessità di accertare il primo anno fiscalmente rilevante per perdite di impresa e componenti pluriennali di reddito.

I decreti delegati dovranno introdurre una speciale forma di adempimento collaborativo (la cui struttura ricorda quello del DLgs. 128/2015) con possibilità di certificazione da parte di “professionisti qualificati” del sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, anche in ordine alla conformità ai princìpi contabili.

In caso di certificazione e salvo condotte fraudolente o simulate, sono previste: l’ulteriore riduzione, fino all’eventuale esclusione, delle sanzioni per i rischi di natura fiscale comunicati preventivamente; la riduzione di almeno due anni dei termini per l’accertamento (rispetto ai cinque previsti).

Si prevede poi l’esclusione delle sanzioni penali con riguardo al reato di dichiarazione infedele, qualora il contribuente abbia tenuto comportamenti collaborativi e abbia comunicato preventivamente l’esistenza dei relativi rischi fiscali.

Potrà essere introdotto un adempimento collaborativo per chi trasferisce la residenza in Italia nonché per chi la mantiene all’estero ma possiede in Italia un reddito mediamente pari o superiore a un milione di euro.

L’adempimento collaborativo va visto in sintonia con il concordato preventivo biennale che dovrà anch’esso essere introdotto dai decreti delegati, il quale si attua in una sorta di reddito concordato che mette al riparo, entro determinati limiti, da future contestazioni delle Entrate. Per i soggetti di minori dimensioni, la proposta di concordato preventivo biennale potrà essere influenzata dal risultato degli ISA.

Relativamente al contenzioso, spicca il divieto di produzione di documenti nuovi in appello, l’impugnabilità delle ordinanze cautelari, il rafforzamento della conciliazione e la previsione (a oggi mancante) sulle conseguenze delle irregolarità telematiche.

Anche la fase di riscossione non è indenne da criteri direttivi: balza all’occhio la necessità di rendere più efficiente il pignoramento presso terzi pur senza automatismi e il superamento del ruolo, che con ogni probabilità sarà sostituito dall’atto accertativo (accertamento di valore, recupero del credito di imposta o avviso di liquidazione) o dall’avviso bonario.

La dilazione dei ruoli potrà, per tutti, essere estesa a 120 rate mensili.

Le sanzioni, sia amministrative sia penali, saranno riviste alla luce della proporzionalità e della reale offensività della condotta, attribuendo, in certe circostanze, effetto tributario al giudicato penale assolutorio e, in via speculare, imponendo, sempre entro limiti predeterminati, al giudice penale di considerare la riduzione dell’imponibile scaturente ad esempio da un accordo di adesione.

Molte novità potranno interessare il federalismo fiscale e la fiscalità locale.

Con riguardo a quest’ultimo aspetto si mira alla razionalizzazione e al riordino dei singoli tributi locali (soggetti passivi, base imponibile, aliquote, esenzioni e agevolazioni fiscali), alla modernizzazione del sistema di rilevazione dei dati per ridurre i fenomeni di evasione ed elusione fiscale, alla semplificazione degli adempimenti dichiarativi e delle modalità di versamento a carico dei contribuenti e all’incentivazione dell’adempimento spontaneo.

Invece, nella delega non compare la revisione del Catasto.

 

Principali novità della delega fiscale
Versamenti IRPEF per professionisti e imprenditori Progressiva introduzione della periodicità mensile dei versamenti ed eventuale riduzione della ritenuta d’acconto
Cedolare secca Estensione alle locazioni di immobili non abitativi ove il conduttore eserciti un’attività d’impresa o una professione
Redditi agrari Nuove classi e qualità di coltura per le attività agricole di coltivazione ex art. 2135 comma 1 c.c.
Redditi di natura finanziaria Previsione di una sola categoria di reddito
Compensazione delle perdite
Obbligo dichiarativo
Redditi di lavoro autonomo Esclusione dalla formazione del reddito dei rimborsi spese
Dichiarazione dei compensi quando sono operate le ritenute
Neutralità di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali
Redditi diversi Imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni e dei terreni
Per la plusvalenza da cessione immobiliare si assume come prezzo di acquisto quello pagato dal donante
Plusvalenze per cessioni di oggetti d’arte, antiquariato e collezione
Reddito d’impresa Le imprese in contabilità ordinaria potranno optare per un’imposta proporzionale
IRES Riduzione dell’aliquota in caso di investimenti o di assunzione di personale
Limiti alla deducibilità degli interessi passivi con franchigie
IRAP Graduale superamento e introduzione di un’addizionale determinata con le medesime regole dell’IRES
IVA Revisione delle aliquote
Riforma delle operazioni esenti con opzione per l’imponibilità
Applicabilità del pro rata ai soli beni e servizi a uso promiscuo
Imposta di successione e di registro Autoliquidazione
Dichiarazione di successione Imposta sostitutiva del bollo, delle tasse ipotecarie, dei tributi speciali e delle ipocatastali
Società non operative Nuovi parametri per identificare le società senza impresa
Cause di esclusione che tengano conto di un congruo numero di dipendenti e dello svolgimento di attività regolate
Interpelli Riduzione delle richieste
Contributo per la presentazione
Adempimenti dei contribuenti Sospensione per i mesi di agosto e dicembre
Contraddittorio tra le parti Previsione generalizzata a pena di nullità
Termini di decadenza Per i componenti pluriennali e le perdite sarà necessario accertare il primo anno fiscalmente rilevante
Presunzione di distribuzione degli utili extracontabili Solo per ricavi e costi inesistenti
Cumulo giuridico delle sanzioni Estensione all’accertamento con adesione e alla conciliazione
Dilazione dei ruoli Estensione generalizzata a 120 rate mensili
Processo tributario telematico Disciplina delle conseguenze delle irregolarità
Conciliazione giudiziale Estensione al processo in Cassazione
Giudicato penale di assoluzione del contribuente Effetto in sede tributaria
Effetto penale dell’accordo di adesione o conciliazione Il giudice penale dovrà tenerne conto

 
(MF/ms)




Regime forfettario: decadenza dal beneficio

La perdita di uno dei requisiti per l’applicazione del regime forfetario di cui alla L. 190/2014, o il verificarsi di una causa ostativa, comporta la fuoriuscita dal regime agevolato a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in cui l’evento si verifica.

La legge di bilancio 2023, integrando l’art. 1 comma 71 della L. 190/2014, ha tuttavia introdotto un’ipotesi al verificarsi della quale il regime forfetario viene disapplicato relativamente all’anno in corso; in particolare, se i ricavi o compensi percepiti sono superiori a 100.000 euro, il regime cessa di avere applicazione dall’anno stesso in cui tale condizione si verifica.

L’inserimento di una fattispecie di disapplicazione istantanea al superamento del limite di 100.000 euro è in linea con la Direttiva (Ue) 18 febbraio 2020 n. 285, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2024; secondo quanto previsto dall’art. 288-bis inserito nella direttiva 2006/112/Ce, infatti, l’esenzione IVA collegata al regime forfetario può essere concessa “senza alcun massimale durante l’anno civile in cui avviene il superamento della soglia. Tuttavia, l’applicazione di tale […] opzione non può comportare la concessione di una franchigia al soggetto passivo il cui volume d’affari […] sia superiore a 100 000 EUR”.

La causa di decadenza scatta al superamento della soglia di ricavi o compensi “percepiti”; di conseguenza, ricavi o compensi fatturati nel 2023, ma percepiti nel 2024, non rilevano ai fini della soglia relativa al periodo di imposta 2023.

La disapplicazione del regime in corso d’anno ha effetti diversi a seconda dell’imposta interessata; l’IRPEF dovrà essere infatti calcolata in modo ordinario, prendendo a riferimento l’intero periodo di imposta, mentre l’IVA sarà dovuta solo a partire dalle “operazioni effettuate che comportano il superamento del predetto limite”.

In assenza di chiarimenti in merito, l’IVA dovrebbe essere dovuta a partire dall’operazione (inclusa) che determina il superamento del limite. Ragionando in questi termini, nel caso di ricavi percepiti pari a 90.000 euro a novembre 2023 ed emissione di un’ulteriore fattura per 20.000 euro, quest’ultima dovrebbe già recare l’addebito dell’imposta.

Il quadro si complica, però, se si considera che l’emissione della fattura e l’incasso del ricavo o del compenso possono non coincidere. Riprendendo il caso testé esemplificato, ove la fattura da 20.000 euro non sia incassata nell’anno non si verificherebbe alcuna decadenza immediata dal regime (in quanto i ricavi percepiti sono pari a 90.000 euro) per cui, in costanza di regime, non sarebbe stato necessario l’addebito dell’IVA.

La fuoriuscita dal regime porta con sé ulteriori conseguenze, relative, in particolare:

  • agli obblighi di tenuta delle scritture contabili, che scattano sin dall’inizio dell’anno;
  • all’applicazione delle ritenute.
In merito all’ultimo punto, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le ritenute non possono essere applicate retroattivamente, rendendosi applicabili al momento della corresponsione dei compensi; analogamente, il professionista che decade dal regime forfetario in corso d’anno non assume retroattivamente il ruolo di sostituto d’imposta.

In altre parole, le ritenute dovranno essere applicate secondo i criteri generali, vale a dire sui compensi che saranno corrisposti dopo la fuoriuscita dal regime.

L’art. 1 comma 71 della L. 190/2014 si limita a stabilire che il regime forfetario “cessa di avere applicazione dall’anno stesso in cui i ricavi o i compensi percepiti sono superiori a 100.000 euro”, senza disciplinare esplicitamente i casi in cui l’attività sia iniziata o termini nel corso dell’anno; potrebbero quindi sorgere alcuni dubbi in merito alla necessità o meno di ragguagliare ad anno tale limite.

In linea generale, i limiti di ricavi o compensi devono essere ragguagliati ad anno solo nel caso in cui la norma lo preveda espressamente; si pensi, ad esempio:

  • all’art. 1 comma 54 lett. a) della L. 190/2014, secondo cui possono applicare il regime forfetario i contribuenti che “hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 85.000”;
  • all’art. 18 commi 2 e 3 del DL. 36/2022, che estende l’obbligo di emissione di fattura elettronica a partire dal 1° luglio 2022 ai contribuenti forfetari che “nell’anno precedente abbiano conseguito ricavi ovvero percepito compensi, ragguagliati ad anno, superiori a euro 25.000”.
La chiusura dell’attività non ha effetti sul limite

L’assenza di un’esplicita indicazione normativa e di uno specifico chiarimento ufficiale inducono a escludere il ragguaglio ad anno del limite di 100.000 euro. Aderendo a tale impostazione, nessuna decadenza dal regime dovrebbe operare rispetto all’attività chiusa a metà anno con ricavi e compensi percepiti per 90.000 euro. Analogamente dovrebbe ragionarsi nel caso in cui l’attività sia stata iniziata in corso d’anno.
 

(MF/ms)




“Fringe Benefit” dipendenti: il trattamento delle auto elettriche

rimborsi erogati dal datore di lavoro al proprio dipendente per le spese di energia elettrica finalizzata alla ricarica degli autoveicoli assegnati in uso promiscuo costituiscono reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione, non rientrando quindi nel fringe benefit di cui all’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR. È quanto emerge dalla risposta a interpello n. 421 del 25 agosto, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate.

Nella fattispecie in esame, la società ha una flotta aziendale di autovetture assegnate in uso promiscuo ai dipendenti, con addebito del “fringe benefit” in busta paga.

La società sta rinnovando il parco auto con automezzi elettrici o ibridi e intende riconoscere ai dipendenti il rimborso delle spese per l’energia elettrica sostenute per la ricarica effettuata presso le relative abitazioni (spese collegate agli spostamenti lavorativi, tranne che per i dirigenti per i quali è previsto il rimborso totale). Viene, inoltre, precisato che l’azienda si farà carico delle spese di installazione e di manutenzione ordinaria delle infrastrutture necessarie (wallbox, colonnine di ricarica, contatore a defalco).

Il dubbio posto è se tali rimborsi possano essere considerati esclusi da imposizione ex art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR.

Tanto premesso,  la lettera a) del citato comma 4, lettera a), dell’art. 51 del TUIR, nel definire il regime fiscale degli autoveicoli, motocicli e ciclomotori concessi in uso promiscuo ai dipendenti, prevede per gli stessi, in deroga al generale criterio di tassazione dei fringe benefit basato sul loro ’’valore normale’’, un criterio di determinazione forfetaria del quantum da assoggettare a tassazione (cfr. C.M. n. 326/1997, §§ 2.3.2 e 2.3.2.1).

In relazione ai veicoli concessi in uso promiscuo con contratti stipulati dal 1° luglio 2020, per i veicoli di nuova immatricolazione con valori di emissione di anidride carbonica non superiore a 60 g/km si assume il 25% (importo poi elevato a seconda dell’emissione di CO2) dell’importo corrispondente a una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle ACI, al netto degli ammontari eventualmente trattenuti al dipendente.

Il legislatore, con la legge di bilancio 2020 (L. 160/2019), ha previsto, ai fini dell’imponibilità, un valore forfetario del benefit più basso per i veicoli meno inquinanti, aumentando, invece, gradatamente la base imponibile del valore dei veicoli con emissioni di anidride carbonica superiori ai 160 g/km.

In relazione ai veicoli ad uso promiscuo, nella C.M. n. 326/1997 è stato chiarito che la determinazione del valore imponibile sulla base del totale del costo di percorrenza esposto nelle tabelle ACI costituisce una determinazione dell’importo da assoggettare a tassazione del tutto forfetaria, che prescinde da qualunque valutazione degli effettivi costi di utilizzo del mezzo e anche dalla percorrenza che il dipendente effettua realmente. È del tutto irrilevante, quindi, che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall’ACI.

Nel medesimo documento di prassi è stato altresì chiarito che il datore di lavoro, oltre a concedere la possibilità di utilizzare il veicolo in modo promiscuo, può fornire, gratuitamente o meno, altri beni o servizi (es. l’immobile per custodire il veicolo), che andranno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi affermato che nella fattispecie in esame l’installazione delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica e contatore a defalco) effettuata presso l’abitazione del dipendente rientri tra i beni che vanno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente.

Il consumo di energia non è fringe benefit

Per quanto riguarda il consumo di energia, l’Agenzia delle Entrate ha però rilevato che lo stesso non rientra tra i beni e servizi forniti dal datore di lavoro (c.d. “fringe benefit”), ma costituisce un rimborso di spese sostenuto dal lavoratore.

Al riguardo, l’Agenzia ricorda che le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso spese costituiscono, per quest’ultimo, reddito di lavoro dipendente, ad eccezione delle spese rimborsate nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, anticipate dal dipendente per snellezza operativa, quali ad esempio l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore (es. carta della fotocopia o della stampante, pile della calcolatrice, ecc.), e fatte salve specifiche deroghe previste dal medesimo art. 51 comma 5 del TUIR per il rimborso analitico delle spese per trasferte.
 

(MF/ms)




Appalti pubblici: aggiornamenti sull’imposta di bollo sui contratti

Il nuovo Codice degli appalti pubblici (Dlgs. 31 marzo 2023 n. 36) contiene, all’art. 18 comma 10 e nella tabella allegata, alcune disposizioni in materia di assolvimento dell’imposta di bollo sui contratti di appalto che rappresentano rilevanti novità.

Con la circolare n. 22, pubblicata il 28 luglio, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sulle nuove disposizioni, con particolare riferimento a modalità di calcolo e versamento, nonché sulla decorrenza. 

Il contesto è quello degli appalti pubblici, ovvero, secondo la definizione normativa, “i contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più stazioni appaltanti e aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi”.

Come anticipato, l’art. 18 comma 10 del Dlgs. 36/2023 ha disposto che l’imposta di bollo, su tali contratti, sia assolta dall’appaltatore “una tantum al momento della stipula del contratto e in proporzione al valore dello stesso”.

In base alla Tabella A, contenuta nell’Allegato I.4 al Codice degli appalti, l’imposta di bollo dovuta al momento della stipula del contratto va parametrata all’“importo massimo previsto” dal contratto (ivi comprese eventuali opzioni o rinnovi esplicitamente stabiliti). Tale importo – spiega l’Agenzia – va considerato al netto dell’IVA.

La tabella in calce all’articolo individua la misura dell’imposta di bollo dovuta.

Inoltre, a norma dell’art. 2 comma 1 dell’allegato I.4, il pagamento dell’imposta di bollo “ha natura sostitutiva dell’imposta di bollo dovuta per tutti gli atti e documenti riguardanti la procedura di selezione e l’esecuzione dell’appalto, fatta eccezione per le fatture, note e simili” di cui all’art. 13 punto 1 della Tariffa, Parte I, allegata al Dpr 642/72.

Ciò significa – spiega l’Agenzia – che le fatture e gli altri documenti di cui al citato art. 13 continuano a essere ordinariamente assoggettate a imposta di bollo.

Inoltre, l’effetto sostitutivo non opera per gli altri atti e documenti, diversi da quelli appena citati, che precedono la stipula del contratto e ciò con riferimento a tutti gli operatori economici coinvolti nella procedura di selezione, salvo quanto previsto per l’aggiudicatario.

Infatti, in base alle nuove norme del Codice dei contratti pubblici, l’imposta di bollo assolta dall’aggiudicatario alla stipula del contratto sostituisce l’imposta di bollo dovuta in base al Dpr 642/72 sugli atti riguardanti l’intera procedura (dalla selezione dell’operatore economico fino alla completa esecuzione del contratto).

Quindi, l’aggiudicatario:

  • al momento della stipula del contratto, paga l’imposta di bollo complessivamente dovuta, calcolata sull’importo massimo previsto nel contratto, in base agli scaglioni riportati nella tabella in calce all’articolo, “considerando a scomputo l’imposta di bollo già assolta nella fase precedente alla stipula del contratto” in base alla disciplina dettata dal DPR 642/72 “fino a concorrenza dell’importo già dovuto”;
  • nella fase successiva alla stipula del contratto non è tenuto a effettuare ulteriori versamenti.
Con riferimento ai soggetti obbligati, la circolare chiarisce che, sebbene il Codice ponga l’onere esclusivamente a carico dell’aggiudicatario, resta operante il principio di solidarietà passiva nel pagamento del tributo e delle sanzioni previsto dall’art. 22 del DPR 642/72. In ogni caso, ove stazioni appaltanti siano Amministrazione dello Stato, l’imposta di bollo è sempre a carico degli appaltatori.

Per quanto concerne le modalità di versamento, come già illustrato, il provv. n. 240013/2023 e la ris. n. 37/2023 hanno rispettivamente:

  • disposto il versamento con modalità telematiche dell’imposta di bollo di cui all’art. 18 comma 10 del DL 36/2023 con modello F24 ELIDE;
  • istituito i relativi codici tributo per il versamento.
Successivi provvedimenti potranno prevedere l’utilizzo della piattaforma Pago PA.

Nel caso in cui il contratto sia redatto in forma notarile, il pagamento avviene con le modalità telematiche adottate per gli atti pubblici o autenticati (art. 3-bis del DLgs. 463/97), mentre non è possibile l’assolvimento in modo virtuale. 

La nuova disciplina riguarda i procedimenti avviati dal 1° luglio

Infine, la circolare evidenzia che le nuove norme in materia di imposta di bollo sui contratti di appalto hanno acquistato efficacia dal 1° luglio 2023, mentre la disciplina previgente continua ad applicarsi con esclusivo riferimento ai procedimenti in corso.

Ne deriva che le nuove disposizioni in materia di imposta di bollo sui contratti pubblici, di cui all’art. 18 comma 10 del DLgs. 36/2023 e all’allegato I.4 al Codice medesimo, trovano applicazione solo con riferimento ai procedimenti avviati dal 1° luglio 2023.

 

Imposta di bollo Importo massimo previsto per il contratto
Esente Inferiore a 40.000 euro
40 euro maggiore o uguale a 40.000 euro inferiore a 150.000 euro
120 euro maggiore o uguale a 150.000 euro inferiore a 1.000.000 euro
250 euro maggiore o uguale a 1.000.000 di euro inferiore a 5.000.000 di euro
500 euro maggiore o uguale a 5.000.000 di euro inferiore a 25.000.000 di euro
1.000 euro maggiore o uguale a 25.000.000 di euro
 

(MF/ms)




Split payment: misura prorogata fino al 30.06.2026

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 27 luglio (L 188), la decisione del Consiglio dell’Ue n. 1552 del 25 luglio 2023 che autorizza l’Italia a continuare a prevedere il meccanismo dello split payment (art. 17-ter del Dpr 633/72) sino al 30 giugno 2026.

La decisione si applica con effetto dal 1° luglio 2023, dunque, è stata garantita la continuità giuridica della misura.

Si è finalmente concluso l’iter per la proroga dell’autorizzazione concessa all’Italia con la decisione Ue n. 784/2017, il cui termine finale di applicazione era ormai scaduto il 30 giugno scorso.

Con il comunicato stampa del Ministero dell’Economia e delle finanze n. 75, pubblicato il 9 maggio 2023, era stato reso noto che la procedura Ue per il rinnovo dell’autorizzazione si stava concludendo.

Come esposto nel “Considerando” n. 6 della decisione, l’Italia ha chiesto la proroga della misura, in quanto sostiene che, in assenza del meccanismo della scissione dei pagamenti, potrebbe risultare impossibile recuperare le somme dovute da autori di frodi o evasori fiscali individuati tramite il controllo incrociato derivante dalla fatturazione elettronica obbligatoria.

In altri termini, lo split payment rappresenta una misura preventiva complementare rispetto alla fatturazione elettronica che costituisce una misura ex post.

Si ricorda che il meccanismo della scissione dei pagamenti prevede che l’IVA gravante sull’operazione sia indicata in fattura dal cedente o prestatore, ma versata direttamente all’Erario dal cessionario o committente, scindendo quindi il pagamento del corrispettivo da quello della relativa imposta (circ. Agenzia delle Entrate n. 1/2015).

Sulla base della decisione ora approvata, l’Italia dovrà trasmettere alla Commissione europea, entro il 30 settembre 2024, una relazione sulla situazione generale dei rimborsi IVA ai soggetti passivi interessati dalle misure previste dagli artt. 1 e 2 della decisione Ue n. 784/2017 e, in particolare, sulla durata media della procedura di rimborso nonché sull’efficacia di tali misure e di ogni altra misura attuata per ridurre l’evasione fiscale nei settori interessati.

Come riportato sempre nei “Considerando” della decisione, si è ritenuto opportuno concedere l’autorizzazione con effetto dal 1° luglio 2023, in modo da assicurare l’applicazione ininterrotta della misura speciale e garantire la certezza del diritto per quanto riguarda il periodo d’imposta.

La salvaguardia della continuità giuridica della misura era stata da noi auspicata, in modo da evitare ai soggetti passivi che applicano la scissione dei pagamenti di dover cambiare i loro sistemi di fatturazione ripetutamente e per un breve intervallo temporale.

L’applicazione retroattiva di una misura di deroga è considerata ammissibile dalla Corte di Giustizia dell’Ue (causa C-434/17), quando la decisione precisa la data della sua entrata in vigore o la data iniziale di applicazione.

Società quotate escluse dal 1° luglio 2025

Sulla base della decisione, l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’autorizzazione rimane invariato, almeno in una prima fase.

Dunque, la scissione dei pagamenti continua a riguardare le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dei soggetti previsti (amministrazioni pubbliche, enti pubblici economici nazionali, regionali e locali, società controllate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dai Ministeri, ecc.), per le quali i cessionari o committenti non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia di IVA.

A decorrere dal 1° luglio 2025, però, saranno escluse le società quotate nell’indice FTSE MIB della Borsa Italiana identificate ai fini IVA (art. 17-ter comma 1-bis lett. d) del Dpr 633/72). Questa modifica risponde all’impegno assunto dall’Italia di eliminare gradualmente la misura speciale in esame.

Da questa data, pertanto, i cedenti e prestatori che effettuano operazioni nei confronti delle predette società incasseranno dalle stesse l’imposta in via di rivalsa, salvo nei casi in cui si applica il meccanismo del reverse charge.
 

(MF/ms)




Black list persone fisiche: eliminata dalla lista la Confederazione elvetica

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 28 luglio 2023, il decreto 20 luglio 2023 del Ministero dell’Economia e delle finanze che elimina la Confederazione Elvetica dalla black list delle persone fisiche di cui al Dm 4 maggio 1999.

La base giuridica di tale intervento è l’art. 12 comma 3 della L. 83/2023, il quale ha demandato a un apposito decreto, da emanare entro il 31 luglio 2023, l’eliminazione della Svizzera dall’elenco.

Ciò trova fondamento nel rafforzamento dei rapporti tra i due Stati, tradottosi nella ratifica dell’Accordo sui frontalieri del 23 dicembre 2020, avvenuta con la stessa L. 83/2023, oltre che nelle nuove disposizioni in tema di scambio di informazioni sui redditi di lavoro dipendente prodotti da tali soggetti previste dell’art. 7 dello stesso Accordo.

Si tratta di un ulteriore step del processo di “normalizzazione” dei rapporti tra i due Stati, iniziato con la firma, avvenuta il 23 febbraio 2015, del documento Roadmap on the way forward in fiscal and financial issues between Italy and Switzerland, e che si avvia verso una conclusione definitiva.

Un primo effetto dell’eliminazione della Svizzera dalla black list delle persone fisiche riguarda la residenza fiscale.

A norma dell’art. 2 comma 2-bis del Tuir si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dall’Anagrafe della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori appartenenti alla lista del DM 4 maggio 1999.

La rimozione della Svizzera dalla lista comporta l’eliminazione di questa presunzione posta a favore del Fisco, per cui per i cittadini italiani emigrati in Svizzera la prova della eventuale residenza italiana dovrà essere fornita dall’Amministrazione finanziaria.

Per espressa previsione normativa, l’efficacia della modifica decorre dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di pubblicazione in G.U. del suddetto decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze.

L’efficacia dell’eliminazione della Svizzera dai Paesi listati è, quindi, differita al 2024.

Tuttavia, restano ferme, ai sensi dell’art. 12 della citata L. 83/2023, tutte le disposizioni dell’ordinamento nazionale applicabili fino al periodo di imposta di pubblicazione del decreto (il 2023), nonché ogni attività di accertamento effettuata in conformità di tali disposizioni.

In altre parole, con riferimento al 2023 continua a gravare sul contribuente l’onere della prova circa la residenza in caso di trasferimento in Svizzera.

Anche a fronte dell’efficacia delle nuove regole continueranno, in ogni caso, a trovare applicazione, in caso di conflitto di residenza, le c.d. tie-breaker rules previste dall’art. 4 della Convenzione Italia-Svizzera, che individuano, quali criteri per la valutazione della residenza, l’abitazione permanente, il centro degli interessi vitali, il luogo di soggiorno abituale, ecc.

Altri effetti riguardano il monitoraggio fiscale, posto che le sanzioni ex art. 5 del Dl 167/90 per i beni e le attività finanziarie non dichiarate nel quadro RW saranno quelle ordinarie, senza che sia più applicabile il loro raddoppio.

L’eliminazione della Svizzera dalla black list italiana avrà, infatti, effetto sulle seguenti normative:
– presunzione per cui gli investimenti e le attività finanziarie detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al DM 4 maggio 1999 si considerano costituite, salvo prova contraria, con redditi sottratti a tassazione (art. 12 comma 2 primo periodo del DL 78/2009);
– raddoppio dei termini di accertamento per le violazioni di cui al punto precedente e, più in generale, per le violazioni sul monitoraggio fiscale (art. 12 commi 2-bis e 2-ter del DL 78/2009);
– raddoppio delle sanzioni da quadro RW (che possono, quindi, arrivare sino a un massimo del 30%) per gli investimenti e le attività finanziarie detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al DM 4 maggio 1999.

Tali disposizioni non troveranno, quindi, più applicazione per gli investimenti e le attività finanziarie localizzate nella Confederazione Elvetica.

La Svizzera rimarrebbe inclusa nella lista recata dal DM 21 novembre 2001, che in passato riguardava l’imputazione per trasparenza del reddito delle CFC ex art. 167 del TUIR.

In realtà, dopo una serie di interventi non sempre coordinati (l’ultimo di essi è costituito dall’art. 1 comma 143 della L. 208/2015, così come modificato dall’art. 5 comma 5 del DLgs. 142/2018), in pura teoria, ai fini della sussistenza delle suddette penalizzazioni in tema di monitoraggio fiscale, si dovrebbe fare anche riferimento al livello effettivo di tassazione svizzero calcolato secondo i criteri dell’art. 47-bis comma 1 del TUIR (il quale sostituisce il parametro, ancora formalmente presente nei testi di legge, della presenza dello Stato estero nella black list del DM 21 novembre 2001).

Per quello che vale, le comunicazioni di irregolarità inviate dall’Agenzia delle Entrate precisano che il raddoppio delle sanzioni da quadro RW opera solo se lo Stato in cui si trovano i beni è menzionato nella black list di cui al DM 4 maggio 1999, senza ulteriori specificazioni, e ciò dovrebbe essere sufficiente a sgombrare i dubbi.
 

(MF/ms)




Registratori telematici: modalità operative in caso di inutilizzo

Nessun obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate per i periodi di chiusura o interruzione del registratore telematico.
Trattasi di un adempimento superfluo e in contrasto con il processo di semplificazione, con la conseguenza che la gestione dei detti periodi dovrà essere gestita autonomamente e senza ulteriori aggravi burocratici per gli esercenti.

Così i contenuti del punto posto all’ordine del giorno del Governo, approvato alla Camera nel corso della discussione sulla legge di conversione del dl 75/2023 (PA2), su specifica richiesta dei deputati Gusmeroli – Bagnai – Cavandoli e Centemero (Lega), sul tema dell’obbligo introdotto, a partire dallo scorso 1° luglio e con le specifiche tecniche allegate al provvedimento direttoriale (n. 15943/2023 ) dell’Agenzia delle entrate, aventi a oggetto l’adeguamento dei registratori di cassa telematici per la gestione della “Lotteria istantanea”, della comunicazione per l’inattività del registratore telematico (Rt).

Il tema è ancora oggi oggetto di discussioni social da parte dei professionisti.

Con il citato provvedimento, l’Agenzia delle Entrate ha approvato la nuova versione (release 11) delle specifiche tecniche dei registratori telematici e, come indicato in apposito paragrafo (§ 2.7), è stata inserita una nuova funzionalità di evento (“fuori servizio” – codice 608) nel caso di interruzione superiore a dodici giorni.

Infatti, nel caso in cui l’interruzione dell’attività risulti superiore a dodici giorni (per esempio, per ferie lunghe, chiusura stagionale, inutilizzo temporaneo o quant’altro) o se l’esercente non è in grado di conoscere la durata del periodo di inattività e di comunicarla, il registratore telematico “deve” prevedere la possibilità di predisporre l’invio di un evento del tipo “fuori servizio”, al fine di comunicare l’inizio del periodo di inattività con un ritorno “in servizio” alla successiva accensione.

Il provvedimento conferma (§ 1.2) che le dette specifiche devono essere rispettate obbligatoriamente dai nuovi modelli di registratore telematico e di server RT che hanno presentato istanza di approvazione dopo il 30 giugno scorso, mentre per i modelli già approvati e/o in commercio o in uso (§ 1.2 del provvedimento) è stato stabilito che le dette specifiche tecniche devono essere rispettate obbligatoriamente solo nel caso di presentazione di istanza di variazione successiva al 30/06/2023.

Resta comunque obbligatorio, per entrambe le versioni (vecchie e nuove) e a prescindere dall’aggiornamento o meno del software, l’obbligo di comunicare il periodo di inattività anche accedendo al cassetto fiscale, tramite SPID, o tramite installatore abilitato o, in ultima istanza, a mezzo intermediario abilitato, pena l’invio di una comunicazione (pec) da parte dell’Agenzia delle entrare per la richiesta dei relativi chiarimenti.

Si ricorda che l’adempimento appare senza alcun dubbio obbligatorio, che non sono previste sanzioni specifiche anche se i dodici giorni fanno pensare immediatamente al termine di emissione delle fatture elettroniche ma che, in caso di mancata o non tempestiva memorizzazione o per mancata o non tempestiva trasmissione dei corrispettivi o quando gli stessi vengono trasmessi con dati non veritieri o incompleti, si rende applicabile la disciplina sanzionatoria, di cui ai commi 2-bis e 3 dell’art. 6, commi 2-quinquies, 5 e 5-bis dell’art. 11 e comma 2 dell’art. 12 del dlgs 471/1997.

Sul punto, quindi, a sostegno del dibattimento posto all’ordine del giorno, è stato evidenziato che la comunicazione è da ritenersi un adempimento superfluo e in totale contrasto con il processo di semplificazione in atto, con la conseguenza che si rende necessario valutare l’opportunità di consentire agli utenti di gestire autonomamente e senza ulteriori aggravi e adempimenti burocratici e/o amministrativi la trasmissione dei corrispettivi nei periodi di chiusura o di interruzione, con il conseguente esonero dall’invio della comunicazione indicata all’Agenzia delle entrate.
 

(MF/ms)