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Buoni pasto: trattamento fiscale

L’Allegato II.17 dell’art. 131 del D.Lgs. n. 36/2023, definisce i buoni pasto il documento di legittimazione, anche in forma elettronica, avente le caratteristiche di cui all’art. 4, che attribuisce, al titolare, ai sensi dell’art. 2002 del Codice civile, il diritto a ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono e, all’esercizio convenzionato, il mezzo per provare l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione.

Dal punto di vista delle imposte sui redditi ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. c) del TUIR, è confermato che restano escluse dalla formazione del reddito di lavoro dipendente le somministrazioni di vitto e le relative prestazioni sostitutive (c.d. “buoni pasto”) entro i limiti giornalieri di:

  • 4 euro per i titoli cartacei e
  • di 8 euro per quelli elettronici – soglie destinate, secondo le anticipazioni riferite al DdL di Bilancio 2026 bilancio a salire a 10 euro per i ticket digitali.
Il trattamento fiscale in parola riguarda i lavoratori subordinati e per estensione i collaboratori e, in determinate circostanze, gli amministratori che percepiscono compensi qualificabili come redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente, ferma restando la tassabilità dell’eccedenza rispetto ai limiti normativi.

Più nello specifico rispetto alla figura dell’amministratore è possibile distinguere due situazioni differenti:

  • se l’amministratore è collaboratore oppure è inquadrato come lavoratore dipendente trova piena applicazione la disciplina sopra citata, ex art. 51 del TUIR;
  • laddove invece l’attività dallo stesso prestata rientri nella sua attività professionale i compensi rientrano tra quelli di lavoro autonomo ex art. 53 e seg del TUIR.
Tale distinzione impatta anche dal punto di vista della deducibilità del costo da parte dell’azienda; nello specifico, nel primo caso si applicheranno le disposizioni di cui all’art. 95 del TUIR; nel secondo caso operano le regole ordinarie di deducibilità.
 
Rapporto amministratore-azienda Inquadramento reddituale per l’amministratore Deducibilità dal reddito dell’azienda
Collaboratore/lavoratore dipendente Applicabilità esenzione parziale art. 51, comma 2, lett. c), TUIR Deducibilità integrale ex art. 95 TUIR
Professionista Reddito di lavoro autonomo, ex art. 53 del TUIR, fermo restando le disposizioni di cui all’art. 54, comma 2-bis e 3, del TUIR Limitazione del 75% ex art. 109, comma 5, TUIR
Si ricorda che in materia di buoni pasto c’è stato un intervento normativo molto recente.

In particolare, con effetti dal 1° settembre entrano in vigore le nuove disposizioni in materia di buoni pasto così come previste dall’art. 37 della Legge n. 193/2024, Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, norma che ha esteso il limite del 5% alle commissioni a carico degli esercenti (previsto dal Codice dei contratti pubblici) a tutti gli accordi, comunque denominati, stipulati dalle imprese che emettono i buoni pasto, in forma cartacea o elettronica, e gli esercenti.

Nei fatti anche per il settore privato vale il limite del 5%.
 

(MF/ms)




Contributo ambientale Conai: regole, autodenuncia e sanzioni nel 2025

Il Contributo Ambientale CONAI (CAC) è uno strumento fondamentale per garantire la corretta gestione dei rifiuti di imballaggio in Italia e coinvolge tutte le imprese che producono, importano o utilizzano imballaggi nel sistema produttivo nazionale.

Attraverso una serie di regole stringenti, il sistema CONAI prevede obblighi dichiarativi e contributivi precisi, nonché procedure e sanzioni in caso di inadempimenti.

L’ultimo aggiornamento sulle modalità di autodenuncia, controlli e sanzioni, così come delineato nel documento ufficiale “Guida al contributo ambientale 2025”, offre un quadro dettagliato degli strumenti a disposizione delle aziende per regolarizzare la propria posizione e delle conseguenze in caso di violazioni.

Tipologie di infrazione e sanzioni – Il Regolamento CONAI individua come gravi violazioni, ad esempio, la mancata applicazione del contributo, dichiarazioni incomplete o tardive, l’omissione delle comunicazioni annuali, o l’utilizzo fraudolento delle esenzioni. Le sanzioni economiche sono così articolate:​

  • 50% delle somme dovute in caso di prima infrazione,
  • 150% delle somme dovute in caso di successive infrazioni, con la perdita del diritto all’utilizzo della procedura semplificata per tre anni,
  • altre infrazioni agli obblighi consortili possono portare a sanzioni fino a 250.000 euro.
Tuttavia, queste sanzioni possono essere ridotte: alla metà in caso di rinuncia alla contestazione o per omissioni inferiori al 10% del contributo dovuto su base annua; ad un terzo se il pagamento avviene entro 60 giorni dalla comunicazione della sanzione.

Procedura di autodenuncia e regolarizzazione – Uno dei punti di forza dell’attuale regolamentazione è la possibilità di regolarizzare spontaneamente la propria posizione tramite la procedura di autodenuncia. Questa misura tutela le aziende che, prima dell’avvio di controlli, dichiarano l’infrazione, calcolano e liquidano il contributo dovuto entro 30 giorni dalla presentazione dell’autodenuncia, evitando così l’applicazione di sanzioni (restando dovuti solo gli interessi di mora).

Dal 2019 è attiva anche una procedura agevolata che consente:

  • la limitazione degli accertamenti agli ultimi 5 anni (anziché 10), purché non siano già stati avviati controlli,
  • la possibilità di rateizzare le somme dovute (contributo e interessi) fino a 36 mesi,
  • la non applicazione delle sanzioni a condizione di invio delle dichiarazioni mancanti entro 30 giorni dalla autodenuncia e pagamento regolare di tutti gli importi.
Se l’azienda è già sottoposta a controllo, la procedura può applicarsi accettando senza riserve gli esiti dell’accertamento, ma la sanzione viene commisurata solo sulle somme accertate e resta il limite temporale dei 5 anni.

Condizioni e decadenza delle agevolazioni – Per beneficiare delle agevolazioni, l’impresa deve:

  • presentare l’autodenuncia e tutte le dichiarazioni periodiche mancanti entro 30 giorni,
  • eseguire regolarmente tutti i pagamenti dovuti.​ 
La decadenza dalle agevolazioni avviene automaticamente se anche solo una di queste condizioni viene meno.

È importante sottolineare che le agevolazioni non costituiscono una rinuncia preventiva di CONAI a pretendere quanto dovuto sull’intero decennio, fuori dai casi esplicitamente normati.
 

(MF/ms)




Start up innovative: aggiornati i requisiti e le proroghe di permanenza

Le start-up innovative sono state contemplate nel nostro ordinamento con l’art. 25 del D.L. n. 179/2012 (c.d. “Start-up Act”), che ne stabilisce natura giuridica, requisiti di attività, anzianità (non più di 5 anni) e valore massimo della produzione (non superiore a 5 milioni di euro), nonché benefici come esenzioni fiscali, semplificazioni burocratiche, work-for-equity, agevolazioni sul personale qualificato.

Al fine di dare un maggiore impulso al quadro normativo, con un doppio intervento normativo (Legge n. 162/2024 e n. 193/2024) sono stati introdotti rilevanti cambiamenti, che aggiornano, tra l’altro, i criteri di definizione, iscrizione, mantenimento e incentivi per le start-up innovative.

Le principali novità riguardano:

  • la definizione di start-up innovativa, precisando che deve trattarsi di una micro, piccola o media impresa in osservanza a quanto previsto dalla Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione Europea. Si impone quindi il rispetto dei seguenti parametri dimensionali: fino a 250 addetti, fatturato ≤ 50 milioni di euro o bilancio ≤ 43 milioni di euro;
  • nuovi criteri relativi all’iscrizione delle start-up innovative nella sezione speciale del Registro delle imprese, specificando che l’attività prevalentemente svolta non deve consistere in attività di agenzia o consulenza ma piuttosto avere come oggetto sociale esclusivo o principale lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.
Si noti che la permanenza, dopo la conclusione del 3° anno, è consentita fino a complessivi 5 anni, purché venga soddisfatto almeno uno dei seguenti requisiti:
  • incremento al 25% della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo (già previsto dalla normativa previgente);
  • stipulazione di almeno un contratto di sperimentazione con una pubblica amministrazione;
  • registrazione di un incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o dell’occupazione superiore al 50% dal secondo al terzo anno;
  • costituzione di una riserva patrimoniale superiore a 50.000 euro mediante finanziamento convertendo o aumento di capitale con sovrapprezzo (che porti ad una partecipazione non superiore a quella di minoranza da parte di un investitore terzo professionale, di un incubatore o di un acceleratore certificato, di un investitore vigilato, di un business angel ovvero attraverso un equity crowdfunding svolto tramite piattaforma autorizzata) e un incremento al 20% della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo;
  • ottenimento di almeno un brevetto.
Il termine di 5 anni complessivi per la permanenza nella sezione speciale del Registro delle imprese di cui sopra potrà adesso essere esteso per ulteriori 2 anni (sino ad un massimo di 4 anni complessivi) per il passaggio alla fase di c.d. “scale-up”, ove intervenga almeno uno dei seguenti requisiti:
  • aumento di capitale, con sovrapprezzo, da parte di OICR di importo superiore ad 1 milione di euro per ciascun periodo di estensione;
  • incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa superiore al 100% annuo.
Le start-up che evolvono in scale-up possono rimanere, quindi, nella sezione speciale del Registro delle imprese per un massimo di 9 anni complessivi.
 
Schema proroghe permanenza
Periodo Durata Requisiti aggiuntivi
Ordinario 3 anni Solo requisiti base
Proroga Fino a 5 anni Almeno uno tra: R&S 25%, contratto con PA, incremento ricavi/occupazione ≥+50%, riserva patrimoniale > € 50k, brevetto registrato
Scalabilità Fino a 9 anni Maggiori investimenti, incremento ricavi/occupazione, aumento capitale
 

(MF/ms)




Super bollo auto: termini per l’accertamento

Il super bollo auto è un’addizionale erariale istituita dal 2011 ai sensi dell’art. 23 comma 21 del DL 98/2011, per le autovetture e per gli autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose di maggior potenza (dal 2012 è pari a 20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 185 chilowatt ex art. 16 comma 1 del DL 201/2011).

A fronte dell’istituzione di tale nuovo tributo non è stata, però, prevista una disciplina organica relativa alle modalità accertative, né tantomeno un regime specifico circa il termine decadenziale e prescrizionale.

In assenza di ciò nulla è scontato, quindi non è chiaro se gli Uffici delle Entrate possano procedere mediante avviso di accertamento, oppure direttamente con la cartella di pagamento; ancora meno scontato è il termine entro cui tale attività debba esplicarsi.

Per quanto ci consta, l’Agenzia delle Entrate pare procedere mediante avviso di accertamento a cui segue l’iscrizione a ruolo e successiva notifica della cartella di pagamento.

Se si limita l’analisi alla sola attività accertativa, viene da chiedersi se, dal punto di vista della natura, si applica un termine di prescrizione o di decadenza e, in secondo luogo, quale termine operi.

Va ricordato che il termine di decadenza dell’attività accertativa è legato al tempo entro cui l’ente impositore può pretendere il tributo, in mancanza non ha più il diritto di pretenderlo; la prescrizione è un modo di estinzione del rapporto tributario fondato sull’inerzia del titolare del diritto e riguarda generalmente la fase di riscossione.

La Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Roma del 9 dicembre 2022 n. 13929/10/22 ebbe a stabilire con riguardo all’impugnazione dell’avviso di accertamento che: “Per quanto riguarda la maturazione della prescrizione, va condiviso l’assunto della convenuta in quanto il termine per l’azione di recupero dell’imposta straordinaria sui beni di lusso, prevista dall’art. 8 del DL 384/92, deve essere individuato applicando analogicamente la disciplina in materia di imposta di registro, il cui recupero è soggetto a termine quinquennale, e non la disciplina in materia di imposta di bollo sul possesso di autoveicoli e motoveicoli, il cui recupero è soggetto a termine triennale”.

In questo caso sembra corretto parlare di decadenza più che di prescrizione, specie in quanto la Corte richiama i termini per l’imposta di registro di cui all’art. 76 del DPR 131/86, per loro natura decadenziali.

La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con sentenza n. 994/14/24 del 13 febbraio 2024, con riguardo, però, all’impugnazione della cartella di pagamento preceduta dall’avviso di accertamento, ha stabilito che: “per il mancato pagamento dell’addizionale erariale dovuta, l’Agenzia delle Entrate, per il recupero delle somme non versate dagli interessati, è tenuta alla notifica dell’avviso di accertamento entro il termine di decadenza di cinque anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto di imposta (art. 76 comma 1 del DPR n. 131/1986)”.

Opera la decadenza per omessa registrazione

Il richiamo all’imposta di registro deriva dalla disciplina di un tributo straordinario valevole per il 1992 sulle autovetture (vedasi l’art. 8 del DL 384/1992), la cui competenza accertativa fu demandata ai vecchi uffici del registro ex art. 8 comma 5 del DL 384/1992.

Fu la Cassazione con sentenza n. 4569 del 1° marzo 2006, citata dalle predette Corti di secondo grado, che ritenne di risolvere la questione sul termine di decadenza richiamando per analogia il tributo straordinario di cui all’art. 8 del DL n. 384 del 1992, anziché applicare la disciplina del bollo auto.

La Cassazione ritenne, condivisibilmente, che bollo auto e super bollo auto sono tributi totalmente diversi per la natura del prelievo: il bollo auto è una tassa automobilistica che trova la sua causa giuridica nella controprestazione che lo Stato fornisce mediante iscrizione al PRA, che ne consente la circolazione; il super bollo auto è un’imposta straordinaria sui c.d. beni di lusso dovuta perché essi sono espressione di capacità contributiva.
Inoltre, la potestà impositiva è rimessa ad enti diversi: per il bollo alle Regioni, per il super bollo all’Agenzia delle Entrate.

È quindi da escludere che si possa applicare al super bollo auto la disciplina dei termini decadenziali/prescrizionali di tre anni prevista per il bollo auto.
 

(MF/ms)




Chiarimenti sulla PEC degli amministratori di società

La Commissione paritetica Unioncamere e Consiglio nazionale del Notariato, istituita per garantire standard di comportamento e modalità uniformi per il deposito degli atti societari al Registro delle imprese, ha reso noti i nuovi orientamenti.

Alcuni di essi attengono al comma 860 dell’art. 1 della L. 207/2024 (legge di bilancio 2025) che, apportando modifiche all’art. 5 comma 1 del DL 179/2012 convertito, ha esteso anche “agli amministratori di imprese costituite in forma societaria” l’obbligo di dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) – o domicilio digitale – così come già previsto per le imprese individuali e per le società.

Si forniscono indicazioni su ambito di applicazione oggettivo e soggettivo, decorrenza e caratteristiche del domicilio digitale.

Quanto all’ambito oggettivo di applicazione, ossia alle imprese costituite in forma societaria, si sottolinea come occorrano entrambi i requisiti; quindi, non solo che si sia in presenza di una attività di impresa, ma anche che essa sia svolta in forma societaria.

Sono, di riflesso, escluse le società che non svolgano attività d’impresa (ad esempio, le STP, le STA e le società di mutuo soccorso) i consorzi e altri enti che, pur svolgendo attività d’impresa, non siano società, nonché le reti di imprese (secondo la nota MIMIT n. 43836/2025, peraltro, possono essere ricomprese le reti di imprese che, in presenza di un fondo comune e dello svolgimento di un’attività commerciale rivolta ai terzi, si iscrivano al Registro delle imprese acquisendo soggettività giuridica).

Nulla si dice delle società consortili, in relazione alle quali la nota MIMIT n. 43836/2025 e Unioncamere (lettera del 2 aprile 2025) hanno assunto posizioni contrastanti. Sul tema la circ. Assonime n. 15/2025 osserva come la ricostruzione prevalente attribuisca alle società consortili natura di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c. Poiché la norma riguarda le imprese costituite in forma societaria, quindi, vi dovrebbero rientrare anche le “società” consortili, in quanto anch’esse – seppure aventi lo scopo di svolgere fasi delle imprese partecipanti (ex art. 2602 c.c.) – sono da considerare imprese di natura societaria.

Con riguardo all’ambito soggettivo di applicazione, si osserva come siano da includere tutti coloro che ricoprano la carica di amministratore, anche se non muniti di deleghe e non operativi. Sono inclusi, inoltre, i liquidatori, in quanto amministratori della società in liquidazione. Sono, invece, esclusi i procuratori, i direttori generali e i preposti di società estere con sede secondaria in Italia.

Quanto alla decorrenza, si sottolinea come l’obbligo riguardi le richieste di iscrizione della nomina presentate (anche per conferma o rinnovo o modifica dei patti sociali di società di persone) a decorrere dal 1° gennaio 2025 e relative a società costituite da tale data o già costituite a tale data. In quest’ultimo caso la comunicazione non prevede un termine di scadenza.

L’orientamento, quindi, sembra porsi contro la fissazione di un termine entro il quale gli amministratori di società già costituite al 1° gennaio 2025 dovrebbero provvedere alla comunicazione degli indirizzi PEC.

La nota MIMIT n. 43836/2025, infatti, aveva imposto il termine del 30 giugno 2025. Nella nota 25 giugno 2025 n. 127654, invece, rivedendo tale orientamento, il MIMIT ha rinviato il termine in questione al 31 dicembre 2025. Soluzione che, in assenza di un espressa precisazione normativa, non è condivisa da Unioncamere (lettera del 2 aprile 2025) e da Assonime (circ. n. 15/2025).

Le ultime precisazioni attengono alle caratteristiche del domicilio digitale, ossia di un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata e valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale.

Si afferma che esso, come tale, assume, ove previsto dalla legge, la stessa funzione del domicilio regolato e definito dal codice civile (art. 43 c.c.). Di conseguenza – posto che non è possibile indicare un domicilio digitale di altra società o riferito ad altro amministratore/liquidatore – sono riconosciute le seguenti alternative:

  • indicare il proprio domicilio digitale personale;
  • indicare lo stesso domicilio digitale personale per le cariche ricoperte in diverse società;
  • indicare diversi domicili digitali per le cariche ricoperte in diverse società;
  • “eleggere domicilio speciale” elettronico, ai sensi dell’art. 47 c.c., presso il domicilio digitale della società nella quale si ricopre la carica (nel medesimo senso si vedano la lettera Unioncamere del 2 aprile 2025 e la circ. Assonime n. 15/2025; in senso contrario si è, invece, espresso il MIMIT nella nota n. 43836/2025).
 

(MF/ms)




Valute estere agosto 2025

Si comunica l’accertamento delle valute estere per il mese di Agosto 2025 (Provv. Agenzia delle Entrate del 26 settembre 2025)

Art. I

Agli effetti delle norme dei titoli I e II del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, che vi fanno riferimento, le medie dei cambi delle valute estere calcolati a titolo indicativo dalla Banca d’Italia sulla base delle quotazioni di mercato sono accertate per il mese di agosto 2025 come segue:

 

  Per 1 Euro
Dinaro Algerino 150,9934
Peso Argentino 1544,4007
Dollaro Australiano 1,792
Real Brasiliano 6,3439
Dollaro Canadese 1,6057
Corona Ceca 24,5166
Renminbi (Yuan)Cina Repubblica Popolare 8,3442
Corona Danese 7,4638
Yen Giapponese 171,7895
Rupia Indiana 101,8425
Corona Norvegese 11,8653
Dollaro Neozelandese 1,9721
Zloty Polacco 4,2613
Sterlina Gran Bretagna 0,86528
Nuovo Leu Rumeno 5,0651
Rublo Russo 0
Dollaro USA 1,1631
Rand (Sud Africa) 20,623
Corona Svedese 11,161
Franco Svizzero 0,9387
Dinaro Tunisino 3,3591
Hryvnia Ucraina 48,1911
Forint Ungherese 396,4543
 

 
Sul sito dell’Agenzia delle Entrate, al seguente link, cambi di agosto, sono a disposizione i dati sui cambi relativi alle restanti valute riportate nel decreto in oggetto.

(MP/ms)
 




Emissione nota di variazione e concordato preventivo: chiarimenti

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 234, ha fornito alcuni chiarimenti in tema di emissione della nota di variazione IVA ex art. 26 commi 3-bis e 10-bis del DPR 633/72, in pendenza di concordato preventivo.

Nel documento di prassi si precisa che, laddove il cedente/prestatore scelga di non avvalersi della facoltà di emettere la nota di variazione al momento in cui il cessionario/committente è “assoggettato” al concordato, la variazione sarebbe possibile, sulla scorta dell’art. 26 comma 2 del DPR 633/72, anche in un momento successivo, quando il piano di riparto attesti l’infruttuosità della procedura.

Nel caso di specie, il soggetto debitore – dopo una prima istanza di accesso al concordato ex art. 161 del RD 267/42, sfociata in un provvedimento di ammissione e successivamente nella revoca della procedura – presentava una nuova istanza per un concordato in continuità, anch’essa accolta.

Si poneva, in particolare, il quesito relativo alla possibilità da parte del cedente/prestatore (soggetto creditore) di procedere, per la parte di credito falcidiata in base al decreto di omologa, all’emissione della nota di variazione, non al momento di apertura della procedura, ma in seguito all’adempimento degli obblighi concordatari da parte del debitore.

Più precisamente, si tratta di comprendere, in primo luogo, se in una fattispecie come quella in esame ricorrano o meno i presupposti per la c.d. consecuzione tra procedure e, in secondo luogo, se, vigenti i nuovi termini di emissione della nota di variazione ex art. 26 comma 3-bis del DPR 633/72 (introdotto dall’art. 18 del DL 73/2021, per le procedure aperte dal 26 maggio 2021), possa “posticiparsi” l’emissione della nota al momento in cui la procedura risulti divenuta infruttuosa.

Si ricorda, al riguardo, come la nuova disciplina abbia determinato il dies a quo per la nota di variazione in diminuzione “a partire dalla data” in cui il debitore “è assoggettato a una procedura concorsuale”. Nel caso d’interesse, secondo il successivo comma 10-bis, il debitore si considera assoggettato alla procedura dalla data del decreto di ammissione al concordato.

Come rilevato nella circ. Agenzia delle Entrate n. 20/2021, il termine entro cui emettere la nota di variazione è rappresentato dalla presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione, ossia, con riferimento alle procedure, entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui viene emanato il provvedimento di apertura. Il termine ultimo per esercitare il diritto alla detrazione è, invece, individuato con la dichiarazione IVA relativa all’anno di emissione della nota.

La risposta a interpello n. 234, nell’esaminare la fattispecie, esclude in primo luogo che possa sussistere una consecuzione tra procedure di concordato preventivo.

Ciò rileva ai fini della corretta individuazione della disciplina applicabile ai fini IVA (la prima procedura, infatti, era assoggettata alla disciplina previgente, anteriore al 26 maggio 2021, a differenza della seconda).

Il principio della “consecuzione tra procedure” (art. 69-bis comma 2 del RD 267/42, ora art. 170 comma 2 del DLgs. 14/2019) si riferisce all’ipotesi di “confluenza” di una procedura nel successivo fallimento (ora liquidazione giudiziale), sul presupposto della comunanza dell’insolvenza irreversibile già con la prima procedura.

Tuttavia, nella specie, l’autonomia tra le due procedure escludeva un fenomeno di consecuzione, essendo necessario focalizzare l’attenzione solo sulla seconda.

Si ricorda, allora, come nella risposta ad interpello n. 216/2022, l’Agenzia, per una ipotesi di conversione tra amministrazione straordinaria – aperta prima del 26 maggio 2021 – in successivo fallimento (post DL 73/2021), aveva invece escluso l’avvio di una nuova procedura ai fini dell’applicazione della nuova disciplina IVA.

In secondo luogo, la risposta a interpello n. 234 esamina il momento in cui deve essere effettuata la variazione in diminuzione.

Viene, sostanzialmente, confermata la tesi interpretativa del creditore di optare per l’emissione della nota a partire dall’effettiva conclusione della procedura, poiché essa attesta il definitivo mancato pagamento del corrispettivo.

Nel caso di specie, quindi, segnando un sostanziale ritorno alla disciplina previgente, il diritto alla detrazione sarebbe subordinato alla “infruttuosità” della procedura, poiché è solo al verificarsi di tale condizione che si ha una ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore.

In definitiva, secondo l’Agenzia, il cedente/prestatore che decide di insinuarsi al passivo e non emettere la nota di variazione in diminuzione, ai sensi dell’art. 26 commi 3-bis e 10-bis, è tenuto ad attendere l’esito infruttuoso della procedura. Resta reclusa la possibilità di effettuare la variazione una volta decorso il termine per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, correlato al “dies a quo” individuato dai predetti commi.

 

(MF/ms)




Istat indice agosto 2025

Comunichiamo che l’indice Istat di Agosto 2025, necessario per l’aggiornamento dei canoni di locazione è pari a + 1,4 % (variazione annuale) e a + 2,3 % (variazione biennale).
 
Entrambi gli indici considerati nella misura del 75% diventano rispettivamente + 1,050 % e + 1,725 %.

(MP/ms)
 




LIPE 2 trimestre 2025: scadenza il 30 settembre

Il prossimo 30 settembre scade il termine di presentazione della comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA (c.d. LIPE), relativa al secondo trimestre 2025.

Il modello di Comunicazione deve essere presentato esclusivamente per via telematica, direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati. 

Le LIPE – art. 21-bis, D.L. n. 78/2010 – sono comunicazioni da trasmettersi esclusivamente tramite piattaforma Fatture e Corrispettivi, nel rispetto del tracciato XML stabilito dall’Agenzia delle Entrate.

Riepilogano i dati salienti delle operazioni IVA compiute nel trimestre di riferimento: totale delle operazioni attive fatturate o soggette a fatturazione e totale delle operazioni passive registrate.

Un maggior grado di dettaglio è richiesto con riferimento all’aspetto specifico della liquidazione dell’imposta. Dovranno pertanto essere indicate l’IVA esigibile di periodo e l’IVA detratta, e tutti quegli elementi che concorrono alla determinazione del saldo finale (a debito o a credito) del periodo:

  • Debito del periodo precedente riportato a nuovo in quanto di valore inferiore ad euro 25,82 – rigo VP7 -;
  • Credito del periodo precedente – rigo VP8 – che deve categoricamente coincidere con il rigo VP14, colonna 2, della LIPE del mese o trimestre precedente;
  • Credito annuale – rigo VP9 – che riepiloga il credito IVA dell’anno precedente.
Inoltre, posto che la principale funzione della comunicazione delle liquidazioni periodiche è quella di verificare la regolarità dei versamenti, trovano anche accoglimento le somme dovute a titolo di IVA per immatricolazione auto UE (rigo VP10) ed eventuali crediti di imposta utilizzati a scomputo dell’IVA (rigo VP11), nonché, per i trimestrali “normali”, gli interessi di liquidazione, pari all’1%, da esporsi al rigo VP12.

La comunicazione in scadenza il 30 settembre dovrà riepilogare quanto avvenuto nei mesi di aprile, maggio e giugno 2025, con distinta compilazione di altrettanti moduli da parte dei contribuenti a liquidazione IVA mensile, oppure, con un unico modulo, i dati del II trimestre per i contribuenti a liquidazione IVA trimestrale.

 

Liquidazioni IVA mensili 2025 Liquidazioni IVA trimestrali Scadenza
Gennaio 2025  
 
I trimestre 2025
 
 
3.6.2025
Febbraio 2025
Marzo 2025
Aprile 2025  
 
II trimestre 2025
 
 
30.9.2025
Maggio 2025
Giugno 2025
Luglio 2025  
 
III trimestre 2025
 
 
1.12.2025
Agosto 2025
Settembre 2025
Ottobre 2025  
IV trimestre 2025
 
2.3.2026
Novembre 2025
Dicembre 2025
 
(MF/ms)



Fringe benefit: chiarimenti sulla ricarica auto elettrica

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 237 del 10 settembre, ha affermato che la ricarica elettrica delle auto in uso promiscuo ai dipendenti, effettuata presso colonnine pubbliche utilizzando una card con addebito del costo a carico della società, non costituisce fringe benefit tassato in capo al dipendente.

Nel caso di specie, i dipendenti che sceglieranno un’autovettura elettrica o ibrida plug in dal parco auto aziendale avranno a disposizione un’apposita card per ricaricare l’auto presso colonnine pubbliche, con addebito del costo complessivo alla società, anche per l’uso privato del mezzo, ma entro un determinato limite annuo.

Superato un certo limite massimo di chilometri per anno effettuati per ragioni private, la società addebiterà al dipendente, tramite fattura, l’importo del costo chilometrico del carburante (elettricità) relativo all’uso privato della vettura, per la quota eccedente il limite stabilito.

La società ha quindi chiesto chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR alla fattispecie.

L’Agenzia, dopo aver richiamato l’attuale versione della norma e riportati i chiarimenti della C.M n. 326/97 (§ 2.3.2.1), nonché la risposta a interpello n. 421/2023 (in relazione alla tassazione dei rimborsi spese per la ricarica elettrica domestica delle auto), ha rilevato che l’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR disciplina esclusivamente la determinazione forfetaria del valore da assoggettare a tassazione del veicolo nell’ipotesi in cui lo stesso sia concesso in uso promiscuo al dipendente, ancorandola al costo chilometrico d’esercizio individuato in base alle tabelle ACI.

Nella determinazione di tali valori, l’ACI tiene conto dei costi annui non proporzionali alla percorrenza, ovvero di tutti i costi che in ogni caso l’automobilista deve sostenere, indipendentemente dal grado di utilizzazione del veicolo, e dei costi annui proporzionali alla percorrenza, ovvero dei costi che direttamente o indirettamente sono connessi al grado di utilizzazione del veicolo stesso.

Al riguardo, l’Agenzia rappresenta che nelle “Considerazioni metodologiche” predisposte dall’ACI a supporto dell’elaborazione delle citate tabelle, ivi incluse quelle relative agli autoveicoli elettrici e ibridi plugin, risulta che le stime sul calcolo del carburante sono effettuate per le seguenti tipologie di carburante: benzina senza piombo, gasolio, GPL, metano ed elettricità.

Ai fini del calcolo del costo chilometrico d’esercizio dei veicoli elettrici e plugin, le tabelle ACI considerano, quindi, anche il costo dell’energia elettrica.

L’Agenzia afferma quindi che nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca l’energia elettrica per la ricarica dei veicoli concessi in uso promiscuo ai propri dipendenti, la stessa non genera reddito imponibile, in quanto già considerata ai fini della determinazione del valore forfetario riportato nelle tabelle ACI.

Venendo al caso di specie, in relazione alla possibilità di attribuire ai dipendenti una card per effettuare la ricarica elettrica della vettura assegnata in uso promiscuo presso colonnine pubbliche, con addebito del costo a carico della società, l’Agenzia delle Entrate ritiene che tali ricariche, riconosciute entro un certo limite annuo, non costituiscono fringe benefit tassabile in capo al dipendente, a prescindere dall’utilizzo aziendale o privato del veicolo assegnato.

La società ha fatto poi presente che ciascun dipendente sarà tenuto a comunicare i chilometri effettuati per uso aziendale, così da poter individuare, per differenza, i chilometri percorsi per ragioni private e che, nell’ipotesi in cui sia superato il limite massimo di chilometri per anno per ragioni private riconosciuto dalla società, la stessa provvederà ad addebitare al dipendente, tramite fattura, l’importo del costo chilometrico dell’energia elettrica relativo all’uso privato della vettura, per la parte corrispondente al superamento del suddetto limite.

Sul punto, l’Agenzia ribadisce che l’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR prevede una determinazione forfetaria del valore da assoggettare a tassazione per i veicoli concessi in uso promiscuo e che, come chiarito nella C.M. n. 326/97, è del tutto irrilevante che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall’ACI, dovendosi comunque fare riferimento, ai fini della determinazione dell’importo da assumere a tassazione, al totale costo di percorrenza esposto nelle relative tabelle.

Ne consegue che le somme addebitate al dipendente in relazione all’energia elettrica per l’uso privato del veicolo non potranno essere portate in diminuzione del valore forfetariamente determinato in base alle tabelle ACI, al fine di abbattere il valore del fringe benefit da assoggettare a tassazione ai sensi dell’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR.

Eventuali somme corrisposte dal dipendente per la ricarica elettrica per l’uso privato del veicolo assegnato dovranno quindi essere trattenute dall’importo netto corrisposto in busta paga.
 

(MF/ms)