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Società di comodo: verifica dello status con il test sull’operatività

Dal periodo di imposta 2022 “solare”, la verifica dello status di “società di comodo” è effettuata avendo riguardo al solo “test di operatività”; è infatti abrogata la disciplina delle società in perdita sistematica.

I modelli REDDITI 2023 recano, come di consueto, nel quadro RS l’apposito prospetto in cui indicare i valori rilevanti ai fini del test e, in caso di mancato superamento, il reddito minimo da imputare ai fini IRES.

Il test è articolato nelle seguenti fasi:

  • determinazione dei ricavi minimi presunti, applicando le percentuali di legge (indicate dall’art. 30 comma 1 della L. 724/94) al costo fiscalmente riconosciuto di partecipazioni e crediti finanziari, immobili e navi, nonché altre immobilizzazioni;
  • determinazione dei ricavi effettivi, rappresentati dai ricavi, dagli incrementi di rimanenze e dagli altri proventi di natura non straordinaria risultanti dal Conto economico.
Entrambi gli importi sono determinati assumendo la media dei valori dell’esercizio di riferimento e dei due precedenti. Se dal confronto tra i due importi emerge che il primo termine eccede il secondo, la società si considera “non operativa”.

Più nello specifico, le percentuali applicabili ai fini del calcolo dei ricavi minimi presunti sono pari al:

  • 2%, per partecipazioni, titoli e crediti finanziari;
  • 6%, per immobili e altri beni;
  • 5%, per immobili A/10;
  • 4%, per immobili abitativi acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti (a partire dal terzo esercizio successivo a quello dell’acquisizione, torna ad applicarsi l’aliquota del 6%);
  • 1%, per immobili ubicati nei Comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti;
  • 15%, per altre immobilizzazioni.
Con particolare riferimento agli immobili abitativi rivalutati, i ricavi minimi continuano a essere determinati in base ai valori storici se la rivalutazione è effettuata ai soli fini civilistici; se invece la rivalutazione ha efficacia anche fiscale si assume il valore maggiorato.

Prendendo il caso di un immobile abitativo rivalutato nel bilancio 2020 ai sensi dell’art. 110 del DL 104/2020, da 100.000 a 400.000 euro con efficacia ai fini fiscali dal 1° gennaio 2021, si avrebbe:

  • per il 2020, il valore non rivalutato con coefficiente del 6%;
  • per gli anni 2021-2022-2023, il valore rivalutato con coefficiente del 4%;
  • per gli anni 2024 e successivi, il valore rivalutato con coefficiente del 6%.
Per ciascuno dei periodi agevolati al 4%, secondo le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate (ris. 20 dicembre 2013 n. 101 e circ. 27 aprile 2017 n. 14, § 6), occorre assumere il valore fiscalmente rilevante nei singoli periodi d’imposta compresi nel triennio.

Ai fini del calcolo dei ricavi effettivi, si assumono i ricavi, gli incrementi di rimanenze e i proventi, anche in tal caso, come detto, in base alle risultanze medie del Conto economico dell’esercizio e dei due precedenti.

Tra i ricavi rientrano quelli iscritti alle voci:

  • A.1 (ricavi delle vendite e delle prestazioni);
  • A.5 (altri ricavi o proventi).
Si considerano altresì gli incrementi delle rimanenze rilevati nelle seguenti voci del Conto economico:
  • A.2 (variazione delle rimanenze dei prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e prodotti finiti);
  • A.3 (variazione dei lavori in corso su ordinazione);
  • B.11 (variazione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci).
    Non rientrano, invece, i decrementi delle rimanenze.
Tra gli “altri proventi” si considerano quelli iscritti alle voci C.15 e C.16 del Conto economico (a eccezione di quelli derivanti da attività non rilevanti, quali i crediti per rimborsi di imposte).

Il riscontro dello status di società di comodo determina, tra l’altro, l’imputazione del reddito minimo, su cui applicare la maggiorazione IRES del 10,5%.

Il reddito minimo è calcolato, in via presuntiva, come somma degli importi determinati applicando ai valori di alcuni beni, le seguenti percentuali forfetarie:

  • 1,5% per azioni o quote di partecipazione in società di capitali e di persone, strumenti finanziari, obbligazioni e altri titoli, comprese quelle immobilizzate, aumentato dei valori dei crediti da operazioni di finanziamento;
  • 4,75% per immobilizzazioni costituite da beni immobili e navi, anche in leasing;
  • 4% per immobilizzazioni classificate nella categoria catastale A/10 (immobili a uso ufficio);
  • 3% per immobili a destinazione abitativa acquisiti o rivalutati nell’esercizio e nei due precedenti;
  • 0,9% per immobili (di qualunque natura) situati in un Comune con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti;
  • 12% per le altre immobilizzazioni, anche in leasing.
    In questo caso, le percentuali devono essere applicate al valore dei relativi aggregati rilevati nell’esercizio per il quale si procede al calcolo (e non alla media triennale).
Si procede, quindi, al confronto tra l’ammontare di tale reddito minimo con il reddito imponibile del quadro RN. Se il primo risulta superiore al secondo, l’adeguamento al reddito imponibile minimo può essere operato integrando il reddito imponibile di un importo pari alla differenza dei due termini.
 

(MF/ms)




Società di capitali: termini di versamento delle imposte

Le società di capitali devono convocare l’assemblea per l’approvazione del bilancio entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio.

In alcune circostanze, però, l’assemblea per l’approvazione del bilancio può essere convocata entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio.

A seconda che il bilancio venga approvato nel termine ordinario oppure nel termine lungo, varia la scadenza per il pagamento delle imposte derivanti dalla dichiarazione dei redditi, quali l’Ires, l’Irap e le relative imposte sostitutive.

Se il bilancio 2022 è stato approvato nel termine ordinario di 120 giorni, la scadenza per il versamento delle imposte a titolo di saldo 2022 e di prima rata dell’acconto 2023 è fissata per l’ultimo giorno del 6° mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta (ex articolo 17, comma 1, D.P.R. 435/2001), ossia per i soggetti solari per il 30 giugno 2023, che cade di venerdì (salvo ovviamente eventuali proroghe).

La società può avvalersi della possibilità di versare le imposte entro i 30 giorni successivi al 30 giugno 2023, quindi entro il 30 luglio 2023; tuttavia, siccome tale data cade di domenica il termine per il versamento slitta automaticamente al 31 luglio 2023. Il differimento della scadenza a fine luglio non è gratuito per il contribuente, ma va corrisposta una somma aggiuntiva pari allo 0,40% dell’importo dovuto, considerato al netto degli importi compensati in F24.

In questi casi nel frontespizio del modello Redditi va indicato che il bilancio è stato approvato entro il 30 aprile 2023, ossia entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio, in modo che l’Agenzia delle entrate possa verificare che le imposte siano versate entro il 30 giugno oppure entro i 30 giorni successivi con la maggiorazione dello 0,40%.

Ad esempio, se l’assemblea di una Srl con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare ha approvato il bilancio 2022 in data 28 aprile 2023, il termine:

  • per il deposito del bilancio era il 28 maggio 2023;
  • per il versamento delle imposte è il 30 giugno 2023;
  • per il versamento delle imposte con la maggiorazione dello 0,40% è il 31 luglio 2023.
Il frontespizio del modello Redditi 2023 SC dovrà essere così compilato.

Diversamente, se il bilancio è stato approvato, condizioni permettendo, entro il termine lungo di 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio, quindi, per quanto riguarda il bilancio 2022, entro il 29 giugno 2023, la scadenza per il pagamento delle imposte varia a seconda della data di approvazione del bilancio.

Infatti, al riguardo, l’articolo 17 D.P.R. 435/2001prevede che “i soggetti che in base a disposizioni di legge approvano il bilancio oltre il termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, versano il saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa – all’Ires e all’Irap – entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di approvazione del bilancio”.

Evidentemente è sempre possibile avvalersi del versamento differito entro i 30 giorni successivi da tale termine, maggiorando dello 0,40% l’importo dovuto. Quindi, se l’assemblea ha approvato/approverà il bilancio 2022:

  • entro il 31 maggio 2023, il termine per il versamento delle imposte è fissato in data 30 giugno 2023 oppure in data 31 luglio 2023 con la maggiorazione dello 0,40%;
  • entro il 29 giugno 2023, il termine per il versamento delle imposte è fissato in data 31 luglio 2023 oppure in data 30 agosto 2023 con la maggiorazione dello 0,40%.
Se, infine, il bilancio verrà approvato dopo il 29 giugno 2023, il termine per il versamento delle imposte rimane fermo al 31 luglio 2023 oppure al 30 agosto 2023 con la maggiorazione dello 0,40%.

Ad esempio, se l’assemblea di una Srl con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare ha approvato il bilancio in data 25 maggio 2023, il termine:

  • per il deposito del bilancio è il 24 giugno 2023;
  • per il versamento delle imposte è il 30 giugno 2023;
  • per il versamento delle imposte con la maggiorazione dello 0,40% è il 31 luglio 2023.
Nel frontespizio del modello Redditi 2023 SC:
  • al campo “Data bilancio/rendiconto o effetto fusione/scissione”, deve essere indicata la data del 25 maggio 2023;
  • al campo “Termine legale o statutario per l’approvazione del bilancio o rendiconto”, deve essere indicata la data del 29 giugno 2023.
 

(MF/ms)




Agenzia delle Entrate: chiarimenti sulla disciplina Iva dei buoni sconto

I buoni sconto immediatamente applicabili all’atto dell’acquisto di un bene o servizio, riducono il corrispettivo dovuto per un importo pari all’ammontare dello sconto.

Ai sensi dell’art. 13 del Dpr. n. 633/1972, la base imponibile ai fini Iva sarà determinata al netto degli sconti, previsti dal buono, ed applicati direttamente in fattura al cliente (Ris. 19 maggio 2008, n. 204).

Se le condizioni contrattuali che prevedono l’applicazione di sconti/ abbuoni, si verificano successivamente all’emissione della fattura, il cedente deve emettere, ai sensi dell’art. 26, comma 2, del Dpr. 26 ottobre 1972, n. 633, una nota di credito nei confronti del cliente.

L’Agenzia delle Entrate si è espressa in tal senso con la Risposta n. 341/2023 del 5 giugno, ponendo l’accento sulle caratteristiche intrinseche del buono emesso dall’impresa al di là della sua denominazione, nel caso specifico “buono spesa”.

La Direttiva UE 2016/1065 del Consiglio del 27 giugno 2016 (c.d. “Direttiva voucher”) ha regolamentato a livello unionale la disciplina Iva dei c.d. “voucher” o “buoni corrispettivi”, modificando, con l’inserimento degli artt. 30-bis, 30-ter, 73-bis, 410-bis e 410-ter, la Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006.

La disciplina sui voucher è stata recepita in Italia con il Dlgs. n. 141/2018, che ha aggiunto al Dpr. n. 633/1972 gli articoli da 6-bis a 6-quater e il comma 5-bis dell’art. 13.

L’art. 6-bis del Dpr. n. 633/1972 dispone che “Ai fini del presente decreto, per buono-corrispettivo, si intende uno strumento che contiene l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di una cessione di beni o di una prestazione di servizi e che indica, sullo strumento medesimo o nella relativa documentazione, i beni o i servizi da cedere o prestare o le identità dei potenziali cedenti o prestatori, ivi incluse le condizioni generali di utilizzo ad esso relative”.

Dunque, elementi essenziali di un buono corrispettivo, quindi, sono: i) l’obbligo di essere accettato dal potenziale fornitore come corrispettivo o parziale corrispettivo di una cessione di beni o di una prestazione di servizi; ii) l’indicazione dei beni/servizi che consente di acquistare o, in alternativa, l’identità dei potenziali fornitori.

Tali caratteristiche consentono di distinguere i buoni-corrispettivo, che rientrano nell’ambito oggettivo di applicazione della “Direttiva voucher”, da tutti gli altri documenti o strumenti che ne sono espressamente esclusi.

Sono esclusi dall’applicazione della direttiva citata, ad esempio, i buoni sconto, i titoli di trasporto, i biglietti di ingresso a cinema e musei, ecc.

La Risposta in esame riguardava proprio dei buoni sconto (anche se erano stati definiti dall’impresa istante quali buoni spesa) ossia quegli strumenti che conferiscono al titolare il diritto a uno sconto all’atto dell’acquisto di beni o servizi, ma che non danno diritto a ricevere detti beni o servizi (vedi direttiva voucher e relazione illustrativa al Dlgs. n. 141/2018).

Da qui, secondo l’Agenzia delle Entrate, i buoni sconto immediatamente applicabili all’atto dell’acquisto di un bene o servizio, riducono il corrispettivo dovuto per l’ammontare dello sconto.

Ai sensi dell’art. 13 del Dpr. n. 633/1972, la base imponibile sarà determinata al netto degli sconti, previsti dal buono, ed applicati direttamente in fattura al cliente (Ris. 19 maggio 2008, n. 204).

(MF/ms)




Imu 2023: in scadenza la prima rata

Anche quest’anno la prima rata dell’IMU per l’anno 2023 deve essere versata entro il 16 giugno e, relativamente alle modalità di computo dell’imposta, occorre riferirsi alle disposizioni contenute nell’art. 1 commi 739 e ss. della L. 160/2019.

Si ricorda anzitutto che l’imposta è dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota di possesso e ai mesi dell’anno nei quali si è protratto il possesso.

A tal fine:

  • il mese durante il quale il possesso si è protratto per più della metà dei giorni di cui il mese stesso è composto è computato per intero;
  • il giorno di trasferimento del possesso si computa in capo all’acquirente e l’imposta del mese del trasferimento resta interamente a suo carico nel caso in cui i giorni di possesso risultino uguali a quelli del cedente.
Ad esempio, se un immobile viene ceduto il 16 aprile 2023, l’intero mese di aprile (composto da 30 giorni) è a carico dell’acquirente.

Entro il 16 giugno 2023, pertanto, il venditore (ove l’immobile non sia esente da IMU, ad esempio perché destinato ad abitazione principale) dovrà versare l’acconto dell’IMU per i primi tre mesi dell’anno 2023, mentre l’acquirente (sempre che a sua volta non gli competa l’esenzione) dovrà farsi carico dell’IMU per i rimanenti nove mesi dell’anno 2023.

L’IMU per l’anno 2023, infatti, dovuta in generale per i fabbricati, le aree edificabili e i terreni agricoli (le modalità di determinazione della base imponibile dell’IMU variano in funzione della tipologia di bene immobile interessata), deve essere versata in due rate:

  • la prima entro il 16 giugno 2023, pari all’imposta dovuta per il primo semestre applicando l’aliquota e la detrazione deliberata per il 2022;
  • la seconda entro il 18 dicembre 2023 (in quanto il 16 cade di sabato), a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno 2023 e a conguaglio sulla base delle aliquote risultanti dal prospetto delle aliquote per il 2023, secondo quanto precisato dalla ris. Min. Economia e finanze 18 febbraio 2020 n. 1/DF e dalla circ. Min. Economia e finanze 18 marzo 2020 n. 1/DF. Il contribuente, tuttavia, può decidere di effettuare il versamento dell’imposta dovuta in un’unica soluzione annuale, entro la data del 16 giugno 2023.
Facoltà dei Comuni di differire i termini di versamento dell’IMU

Con riguardo ai termini di versamento dell’IMU si ricorda che nella ris. 8 giugno 2020 n. 5/DF il Min. Economia e finanze ha precisato che i Comuni possono differire autonomamente i termini di versamento dei tributi locali di propria competenza ai sensi degli artt. 52 del DLgs. 446/97 e 6 comma 3 della L. 212/2000.

Tale facoltà può essere esercitata, tuttavia, con riferimento alle entrate di esclusiva competenza dell’ente locale. Quest’ultimo, pertanto, non può prevedere interventi (nemmeno il semplice differimento dei versamenti) che riguardano la quota IMU di competenza statale che deve essere versata per gli immobili a destinazione produttiva del gruppo “D” (art. 1 comma 753 della L. 160/2019).

Per gli immobili a uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, quindi, la quota pari allo 0,76% riservata allo Stato deve in ogni caso essere versata entro il 16 giugno 2023 (per l’acconto) ed entro il 18 dicembre 2023 (per il saldo).

(MF/ms)




Credito imposta per investimenti immateriali 4.0 prenotati nel 2022: aliquota al 50% se effettuati entro il 30 giugno 2023

Scade il 30 giugno 2023 il termine “lungo” per effettuare gli investimenti in beni immateriali “4.0” prenotati nel 2022, al fine di fruire del credito d’imposta del 50%.

Ai sensi dell’art. 1 comma 1058 della L. 178/2020 (come modificato dall’art. 1 comma 44 lett. c) della L. 234/2021), alle imprese che effettuano investimenti aventi a oggetto beni compresi nell’allegato B alla L. 11 dicembre 2016 n. 232, a decorrere dal 16 novembre 2020 e fino al 31 dicembre 2023 (ovvero entro il 30 giugno 2024, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2023 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione), il credito d’imposta è riconosciuto nella misura del 20% del costo, nel limite massimo annuale di costi ammissibili pari a un milione di euro.

L’art. 21 del Dl 50/2022 (c.d. Dl “Aiuti”) ha tuttavia stabilito che “Per gli investimenti aventi ad oggetto beni compresi nell’allegato B annesso alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2022 e fino al 31 dicembre 2022, ovvero entro il 30 giugno 2023, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2022 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione, la misura del credito d’imposta prevista dall’articolo 1, comma 1058, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, è elevata al 50 per cento”.

Per effetto del combinato disposto delle citate disposizioni, il credito d’imposta è quindi pari al 50%, nel limite massimo di costi ammissibili pari a un milione di euro, per gli investimenti in beni immateriali “4.0” non solo effettuati nel 2022, ma anche per quelli effettuati entro il 30 giugno 2023 qualora siano stati “prenotati” entro il 31 dicembre 2022.

Si rileva che, a differenza di quanto disposto per i beni materiali “4.0”, per i quali il termine “lungo” è stato prorogato dapprima al 30 settembre 2023 dalla legge di bilancio 2023 (art. 1 comma 423 della L. 197/2022) e poi al 30 novembre 2023 dal c.d. Dl “Milleproroghe” (art. 12 comma 1-ter del Dl 198/2022), nessuna modifica è stata invece prevista per il termine “lungo” di effettuazione degli investimenti in beni immateriali “4.0” prenotati nel 2022.

Per tali beni resta quindi fermo il termine “lungo” del 30 giugno 2023.

In tal senso anche le istruzioni ai modelli REDDITI 2023, in cui viene confermato il diverso termine del 30 giugno per i soli beni con codice credito “3L”.

Nel caso in cui gli investimenti vengano effettuati oltre tale termine ma sempre nel 2023, la misura dell’agevolazione applicabile sarebbe quella del 20% prevista per il 2023.

La misura del beneficio si riduce progressivamente

Con riferimento alle misure previste per i periodi successivi, allo stato attuale i commi 1058-bis e 1058-ter dell’art. 1 della L. 178/2020 prevedono un’ulteriore riduzione della misura agevolativa per i beni in esame.

In particolare, è previsto che (cfr. anche circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2022):

  • per gli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2024 e fino al 31 dicembre 2024 (ovvero entro il 30 giugno 2025, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2024 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione) il credito d’imposta sia riconosciuto nella misura del 15% del costo, nel limite massimo di costi ammissibili pari a un milione di euro;
  • per gli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2025 e fino al 31 dicembre 2025 (ovvero entro il 30 giugno 2026, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2025 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione) il credito d’imposta sia riconosciuto nella misura del 10% del costo, nel limite massimo di costi ammissibili pari a un milione di euro.
Si ricorda che il credito d’imposta per gli investimenti in beni immateriali “4.0” è utilizzabile in compensazione nel modello F24, in tre quote annuali di pari importo, a decorrere dall’anno di avvenuta interconnessione, utilizzando il codice tributo “6937”.
 

(MF/ms)




Esterometro: chiarimenti sulle operazioni esenti e relativa fatturazione

La generalità delle operazioni la cui controparte non è stabilita in Italia richiede la presentazione del c.d. “esterometro” o, in alternativa, la produzione di un documento in formato elettronico trasmesso via Sistema di Interscambio.

La certificazione dell’operazione – mediante l’una o l’altra modalità – avviene, dal 1° luglio 2022, secondo lo stesso schema operativo (compilazione di un file XML in base alle specifiche tecniche della fattura elettronica).

Ciò in cui l’adempimento del c.d. “esterometro” si diversifica rispetto alla fatturazione sono, essenzialmente, le conseguenze sanzionatorie derivanti da omissioni o errori.

Fatte queste premesse, è da rilevare come siano escluse dall’obbligo comunicativo alcune operazioni transfrontaliere fuori campo IVA.

L’art. 12 del Dl 73/2022, infatti, modificando l’art. 1 comma 3-bis del Dlgs. 127/2015, ha escluso il c.d. “esterometro” per ciascun acquisto di beni e servizi non rilevante territorialmente ai fini IVA in Italia ai sensi degli artt. da 7 a 7-octies del Dpr 633/72, qualora di importo non superiore a 5.000 euro.

Nessuna deroga è prevista per le prestazioni esenti da imposta, come quelle a carattere finanziario.

Per quanto concerne le prestazioni finanziarie in regime di esenzione, rese da un soggetto passivo italiano nei confronti di privati consumatori non stabiliti in Italia, ai fini della presentazione del c.d. “esterometro”, bisogna distinguere a seconda che il committente sia:

  • domiciliato o residente nell’Unione europea;
  • domiciliato e residente al di fuori dell’Ue.
Se il fornitore è un soggetto passivo italiano, le prestazioni di servizi finanziari B2C sono in via ordinaria, rilevanti ai fini IVA in Italia, ai sensi dell’art. 7-ter comma 1 lett. b) del Dpr 633/72.

A questo criterio generale si deroga quando il committente è domiciliato e residente al di fuori dell’Unione europea: in tal caso, infatti, il servizio non è rilevante in Italia (art. 7-septies lett. d) del Dr 633/72).

Nell’ipotesi più generale (dunque, quando il cliente “privato consumatore” è domiciliato o residente nell’Ue) la comunicazione da parte del prestatore è sempre obbligatoria, a prescindere dall’importo della transazione e dalla natura esente del servizio.

È stato chiarito, infatti, che la trasmissione dei dati deve “avere ad oggetto tutte le operazioni con soggetti esteri, ivi compresi i consumatori” (circ. Agenzia delle Entrate n. 26/2022, § 1.1).

La fattura, però, non è obbligatoria se il servizio finanziario rientra tra le prestazioni esenti di cui all’art. 10 nn. 1), 2), 3), 4), 5) o 9) del DPR 633/72, né vi è l’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi (art. 2 comma 1 lett. m) e n) del DPR 696/96 e art. 1 comma 1 lett. a) del DM 10 maggio 2019).

Nella diversa ipotesi in cui il cliente sia domiciliato e residente al di fuori dell’Ue, l’operazione è, come detto, fuori campo IVA, ma risulta comunque dovuta la presentazione del c.d. “esterometro”. È, inoltre, richiesta l’emissione della fattura con l’annotazione “operazione non soggetta” ex art. 21 comma 6-bis del DPR 633/72 (o, in caso di fattura elettronica, il codice natura “N2.1”).

Diverse considerazioni valgono, invece, per i servizi finanziari in ambito B2B.

Se il servizio è reso da un soggetto passivo italiano nei confronti di un soggetto stabilito al di fuori del territorio dello Stato, la prestazione non rileva ai fini IVA in Italia (art. 7-ter comma 1 lett. a) del Dpr 633/72).

Tale elemento non comporta l’obbligo di emissione della fattura se il servizio è esente ex art. 10 nn. 1), 2), 3), 4) o 9) del DPR 633/72 ed è reso a un soggetto passivo Ue, ma richiede la compilazione del c.d. “esterometro”.

Anche nel caso dei servizi esenti che un soggetto passivo nazionale riceve da un soggetto non residente, non è contemplata alcuna esclusione dal c.d. “esterometro”. Sono, quindi, comunicati anche i dati dei servizi ricevuti di importo inferiore o pari a 5.000 euro: detti servizi sono territorialmente rilevanti ai fini IVA in Italia, ancorché esenti quando rivestono carattere finanziario ex art. 10 del DPR 633/72.

In merito all’obbligo di presentazione del c.d. “esterometro” per l’acquisto di servizi in regime di esenzione, una conferma espressa è stata fornita dalla risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 91/2020, avente a oggetto i servizi di pagamento elettronici forniti da una società del Regno Unito a una società italiana, addebitando a quest’ultima specifiche fee sulle transazioni elettroniche effettuate.

L’acquisto effettuato dal soggetto passivo nazionale richiede comunque, ai sensi dell’art. 17 comma 2 del DPR 633/72, l’“integrazione” della fattura ricevuta (se il fornitore è Ue) o l’emissione di un’autofattura (se il fornitore è extra Ue), indicando il titolo di esenzione e annotando il documento sia nel registro degli acquisti che nel registro delle vendite (circ. Agenzia delle Entrate n. 12/2010, § 3.1).

A livello gestionale, il file XML relativo all’acquisto effettuato, in quanto riferito a un’operazione esente, dovrà essere compilato con il codice “N4”.
 

(MF/ms)




Esterometro: sanzioni per omessa presentazione o errori

Ove il professionista o il contribuente si accorga successivamente della mancata registrazione in contabilità di una fattura estera, uno dei problemi a cui si dovrà porre rimedio riguarda sicuramente il mancato inserimento della stessa nella comunicazione delle operazioni transfrontaliere (c.d. “esterometro”). Come procedere allora per sanare la situazione?

Al riguardo si ricorda in primo luogo che la disciplina sanzionatoria del c.d. “esterometro” è stata riformata dalla Legge n. 178/2020 (Legge di Bilancio 2021) con efficacia dal 1° luglio 2022 (l’art. 13 del D.L. n. 73/2022 ha infatti posticipato l’entrata in vigore delle modifiche dal 1° gennaio 2022 al 1° luglio 2022).

Il novellato art. 11, comma 2-quater, del D.Lgs. n. 471/1997 prevede, quindi, nel caso di omessa o di errata comunicazione dei dati delle operazioni transfrontaliere, l’applicazione di una sanzione amministrativa pari a 2 euro per ciascuna fattura, entro il nuovo limite massimo di 400 euro mensili.

La sanzione si riduce alla metà, entro il limite massimo di 200 euro per ciascun mese, qualora la trasmissione sia effettuata entro i quindici giorni successivi alle scadenze stabilite dall’art. 1, comma 3-bis, del D.Lgs. n. 127/2015, o laddove, nel medesimo termine, sia effettuata la trasmissione corretta dei dati.

Quindi l’invio dei dati deve avvenire:

  • per le operazioni attive (nei confronti di soggetti non stabiliti in Italia), entro il termine di emissione delle fatture o dei documenti che certificano i corrispettivi;
  • per le operazioni passive (da soggetti non stabiliti in Italia), entro il quindicesimo giorno del mese successivo a quello di ricevimento del documento comprovante l’operazione o del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.
Per quanto concerne le sanzioni relative alla comunicazione delle operazioni con l’estero, dovrebbe comunque essere applicabile l’istituto del ravvedimento operoso (art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997), al pari di quanto avviene per le sanzioni in tema di fatturazione (ovvero autofatturazione).

Sebbene la prassi non si sia pronunciata espressamente in tema di “esterometro”, si ritiene valido quanto era stato indicato nella risoluzione n. 87/E/2017 in tema di comunicazione dei dati delle fatture (adempimento ormai abolito). L’istituto del ravvedimento operoso consente, tra l’altro, la riduzione della sanzione a 1/8 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il “termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore” (art. 13, comma 1, lett. b, del D.Lgs. n. 472/1997).

Al riguardo, la risoluzione n. 104/E/2017 precisa che il termine finale per il ravvedimento va computato con riferimento al termine di presentazione della dichiarazione IVA.
 

(MF/ms)




Agenzia delle Entrate: controlli sulle partite Iva

È stato pubblicato il 17 maggio il provv. 16 maggio 2023 n. 156803 dell’Agenzia delle Entrate, con il quale è data attuazione alle nuove norme relative ai controlli connessi all’attribuzione di un numero di partita IVA ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione.

Contestualmente, è stato approvato il fac-simile riportante il contenuto minimo della polizza fideiussoria o fideiussione bancaria necessaria per la richiesta di una nuova attribuzione della partita IVA, successiva all’eventuale provvedimento di cessazione da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Le disposizioni cui si riferisce il provvedimento n. 156803/2023 sono previste ai sensi dell’art. 35 comma 15-bis.1 del DPR 633/72 e sono state introdotte dalla legge di bilancio 2023 (art. 1 comma 148 ss. della L. 197/2022). 

L’intervento normativo consiste nel rafforzamento dei controlli conseguenti al rilascio del numero di partita IVA, nell’ottica di contrastare tempestivamente e prevenire fenomeni evasivi. I controlli sono, quindi, rivolti principalmente alle partite IVA di nuova attribuzione, le quali potrebbero caratterizzarsi per un breve periodo di operatività, associato ad un mancato adempimento degli obblighi dichiarativi e di versamento delle imposte.

A dispetto del tenore dell’art. 35 comma 15-bis.1, letteralmente riferito al rilascio di “nuove partite IVA”, nel provvedimento viene specificato che sono comprese nell’ambito dei controlli anche le partite IVA già esistenti e, nello specifico, quelle che, “dopo un periodo di inattività o a seguito di modifiche dell’oggetto o della struttura, riprendano ad operare con le caratteristiche innanzi dette” (ossia senza una piena operatività con l’inadempimento degli obblighi fiscali).

Ai fini in esame, le nuove disposizioni attribuiscono, dunque, all’Agenzia delle Entrate il compito di effettuare specifiche analisi di rischio sui soggetti passivi IVA, a esito dei quali questi ultimi possono essere invitati a comparire presso gli Uffici per esibire le proprie scritture contabili laddove obbligatorie.

Presentando all’Ufficio “documentazione idonea”, il soggetto invitato a comparire può attestare l’assenza dei profili di rischio che gli erano stati contestati.

Nel caso di mancata comparizione “di persona” del contribuente ovvero di esito negativo dei riscontri operati sui documenti eventualmente esibiti, l’Ufficio emana un provvedimento di cessazione della partita IVA e contestualmente irroga una sanzione pari a 3.000 euro, ai sensi del nuovo comma 7-quater dell’art. 11 del DLgs. 471/97, senza possibilità di applicare il beneficio del c.d. “cumulo giuridico”.

Il provvedimento attuativo precisa che la cessazione della partita IVA del soggetto passivo:

  • ha effetto dalla data di registrazione in Anagrafe Tributaria della notifica;
  • determina l’esclusione dalla banca dati VIES;
  • è riscontrabile (da parte di clienti e fornitore) sul sito dell’Agenzia delle Entrate, nella sezione dedicata al servizio di verifica delle partite IVA.
Sono, inoltre, fornite alcune indicazioni utili in relazione a come saranno condotti i controlli.

In particolare, sono forniti i criteri con i quali l’Agenzia delle Entrate valuterà il “rischio fiscale” dei soggetti richiedenti la partita IVA.

La valutazione sarà condotta, principalmente, su elementi di rischio:

  • riconducibili al titolare della ditta individuale, al lavoratore autonomo o al rappresentante legale;
  • relativi alla tipologia e alle modalità di svolgimento dell’attività, rispetto ad anomalie economico-contabili nell’esercizio della stessa, strumentali a gravi o sistematiche condotte evasive;
  • relativi alla posizione fiscale del soggetto titolare della partita IVA, per il quale emergano gravi o sistematiche violazioni delle norme tributarie.
Le modalità di analisi rispecchiano quelle previste dal precedente provvedimento n. 110418/2017 (§ 2), riferito però ai controlli derivanti da un diverso provvedimento di cessazione (vale a dire quello per effetto del comma 15-bis dell’art. 35 del DPR 633/72). In tale sede, diversamente dal provvedimento più recente, era attribuita la possibilità di effettuare accessi nel luogo di esercizio dell’attività.

Il provvedimento pubblicato specifica anche che i suddetti elementi di rischio sono determinati confrontando sia le informazioni derivanti dalle banche dati dell’Agenzia delle Entrate sia quelle eventualmente acquisite da altre banche dati (pubbliche e private) o, ancora, attraverso segnalazioni provenienti da altri enti, nonché “da ogni altra fonte informativa”.

È possibile richiedere una nuova attribuzione della partita IVA, da parte del medesimo soggetto, in seguito al provvedimento di cessazione. 

La riapertura è però condizionata dal previo rilascio di una polizza fideiussoria o di una fideiussione bancaria triennale e di importo non inferiore a 50.000 euro (salvo il caso di violazioni fiscali il cui importo supera 50.000 euro). La garanzia deve, quindi, riportare il contenuto minimo previsto nel fac-simile allegato al provvedimento.
 

(MF/ms)




Credito imposta beni strumentali: conteggi e utilizzo

Il Credito d’imposta beni strumentali crea sempre qualche difficoltà nel calcolo e nell’utilizzo pratico in compensazione quando le operazioni interessano il cavallo d’anno.

La data da prendere a riferimento ai fini dell’individuazione del comma da applicare per il calcolo dei crediti d’imposta beni strumentali è quella di effettuazione dell’investimento, quindi art. 109 del TUIR.

Invece l’anno da cui posso iniziare ad utilizzare il credito è quello di “entrata in funzione” per i beni ordinari e “data di interconnessione” per i beni industria 4.0.

In merito all’utilizzo del credito d’imposta, ai sensi del comma 1059, il credito d’imposta ex Legge n. 178/2020 è utilizzabile in compensazione, in generale, in 3 quote annuali di pari importo, a decorrere dall’anno di entrata in funzione dei beni “ordinari”, ovvero di avvenuta interconnessione per i beni “Industria 4.0”.

Esempio beni ordinari – Acquisto un bene materiale a novembre 2022 e viene consegnato il 30/12/2022. Il bene entra in funzione il 02/01/2023.
La normativa da applicare è quella del comma 1055 art. 1 Legge n. 178/2020, perché la consegna è il 30/12/2022 e il codice tributo sarà 6935 – anno 2023.
Quindi l’utilizzo di questo credito sarà a partire dal 2023. Investimento e credito vanno esposti nel quadro RU dell’anno imposta 2022 rispettivamente in RU130 e RU5_1.

In sostanza, rileva la data di consegna ex art 109 TUIR per il calcolo; nasce il credito nel 2022 quando il bene viene consegnato, quindi la normativa di riferimento è il comma 1055 – codice tributo 6935 anno 2022 (indicazione con codice L3 nel quadro RU DEL MODELLO REDDITI 2023) ma l’utilizzo avviene dal 2023 con CODICE TRIBUTO 6935 e anno 2023.

La risoluzione 3/E/2021 specifica che il campo “anno di riferimento” è valorizzato con l’anno di entrata in funzione o di interconnessione dei beni, nel formato “AAAA”.
 
 
 
In sintesi:

Tipologia di investimento Norma di riferimento Codice credito (rigo RU1) Codice tributo
Beni materiali e immateriali strumentali “ordinari” Art. 1, comma 1055, della Legge n. 178/2020 L3 6935
Beni materiali “Industria 4.0” Art. 1, commi 1057-1057-bis, della Legge n. 178/2020 2L 6936
Beni immateriali “Industria 4.0” Art. 1, comma 1058, della Legge n. 178/2020 3L 6937
 
Credito d’imposta spettante nel periodo Indicazione nel rigo RU5
“01” Teleriscaldamento con biomassa ed energia geotermica;
“80” Imposte anticipate (DTA);
“C4” Investimenti beni strumentali ex Legge n. 208/2015;
“L1” Ricerca, sviluppo e Innovazione 2020-2022;
“L3, 2L, 3L” Investimenti beni strumentali nel territorio dello stato 2022;
“R3” investimenti reti di imprese agricole e agroalimentari.
RU5 colonna 1
“80” Imposte anticipate (DTA);
“C4” Investimenti beni strumentali ex Legge n. 208/2015;
“L3, 2L, 3L” Investimenti beni strumentali nel territorio dello stato 2022;
“R3” investimenti reti di imprese agricole e agroalimentari.
RU5 colonna 2
“80” Imposte anticipate (DTA);
“C4” Investimenti beni strumentali ex Legge n. 208/2015;
“E5” Investimenti beni strumentali/ZES;
“R3” investimenti reti di imprese agricole e agroalimentari.
RU5 colonne B2, C2, D2 e E2
L’ammontare complessivo del credito d’imposta spettante nel periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, compresi gli importi delle colonne 1, 2, B2, C2, D2 e E2. RU5 colonna 3

Fruizione dell’agevolazione – Il credito d’imposta:

  • è utilizzabile esclusivamente in compensazione in F24 ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997 (codice tributo “6935” relativamente al credito d’imposta per i beni “ordinari”, “6936” per i beni materiali “4.0” e “6937” per i beni immateriali “4.0”; cfr. risoluzione Agenzia delle Entrate 13 gennaio 2021, n. 3 e risoluzione 30 novembre 2021, n. 68), senza necessità di preventiva presentazione della dichiarazione dei redditi;
  • spetta, in linea generale, per i beni materiali e immateriali (sia “ordinari” che “4.0”) in 3 quote annuali di pari importo; in caso di mancato utilizzo in tutto o in parte della quota di 1/3, l’ammontare residuo potrà essere utilizzato nei periodi d’imposta successivi secondo le modalità proprie del credito (Risposte Agenzia delle Entrate Telefisco 2021 e circolare Agenzia delle Entrate 9/2021, § 5.2);
  • nel caso di investimenti in beni “ordinari” è utilizzabile a decorrere dall’anno di entrata in funzione dei beni, mentre per gli investimenti nei beni “Industria 4.0” a decorrere dall’anno di avvenuta interconnessione
(MF/ms)



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(MS/ms)