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Il diritto alla detrazione Iva e il tema della registrazione tardiva delle fatture

Il documento AIDC di settembre 2025 “Termine di registrazione delle fatture e dichiarazione integrativa” affronta una questione di rilevante impatto: se sia davvero preclusa al contribuente la possibilità di recuperare la detrazione IVA tramite dichiarazione integrativa nel caso di tardiva registrazione delle fatture passive, come recentemente espresso dall’Agenzia delle Entrate nelle risposte a interpello n. 479/2023 e n. 115/2025. Il lavoro ripercorre criticamente la posizione restrittiva dell’Amministrazione finanziaria, misurandola rispetto alla normativa unionale, nazionale e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e della Cassazione.

L’orientamento dall’Agenzia delle Entrate: preclusione integrale? – L’Agenzia delle Entrate, nelle ultime indicazioni, sostiene che la detrazione IVA può essere esercitata tramite dichiarazione integrativa solo se la fattura era stata ricevuta e tempestivamente registrata nei termini ordinari. Qualora la registrazione sia effettuata oltre i termini, la detrazione sarebbe definitivamente preclusa, senza possibilità di recupero tramite le successive dichiarazioni integrative, anche entro i limiti dell’art. 57 D.P.R. n. 633/1972 (decadenza quinquennale).
L’analisi normativa e giurisprudenziale: prevalenza dei requisiti sostanziali – Secondo il documento AIDC, questa impostazione non è conforme al quadro normativo interno e sovranazionale. L’art. 168 della Direttiva IVA 2006/112/CE e l’art. 19 D.P.R. n. 633/1972 collegano il diritto alla detrazione ai soli requisiti sostanziali: soggettività passiva e inerenza degli acquisti. La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, con sentenze costanti, ha stabilito che la detrazione non può essere negata in presenza dei requisiti sostanziali per la sola inosservanza di obblighi formali, salvo intento fraudolento o l’effettiva impossibilità di controllo da parte dell’Amministrazione (C-95/07 Ecotrade, C-272/13 Equoland, C-590/13 Idexx, C-653/18 Unitel).
La Cassazione si è allineata a questi principi, considerando la tardiva registrazione una violazione formale che può generare sanzioni, ma non la perdita automatica del diritto alla detrazione, purché sussistano i presupposti oggettivi e soggettivi. Questo punto era già stato accolto in prassi anche dall’Agenzia con la circolare n. 1/E/2018 e la storica n. 328/E/1997.

Il quadro operativo: tabella di sintesi delle differenze
La tabella seguente riassume le diverse conseguenze operative tra la posizione dell’Agenzia delle Entrate e quella fondata su normativa e giurisprudenza.
 

Fattispecie Agenzia Entrate
(interpelli 479/2023, 115/2025)
Normativa/giurisprudenza
Ricevuta e registrata entro anno Detrazione regolare entro liquidazioni periodiche o annuale Detrazione regolare entro liquidazioni/annuale
Ricevuta nel 2025, registrata 01/01-30/04/2026 Detrazione in dichiarazione 2026 (anno 2025) Detrazione fino a 31/12/2031 con integrativa
Ricevuta nel 2025 e registrata dopo 30/04/2026 Detrazione esclusa, integrativa non ammessa Detrazione fino a 31/12/2031 con integrativa
Ricevuta dicembre 2025, recapitata gennaio 2026 Detrazione liquidazioni 2026 o dichiarazione 2027 Detrazione in liquidazioni/dichiarazione o integrativa 2032
 
I precedenti di prassi e normativa nazionale – La norma nazionale (artt. 19, 25 e 57 D.P.R. n. 633/1972), interpretata già dalla circolare n. 1/E/2018, consente di esercitare il diritto alla detrazione tramite dichiarazione integrativa “a favore” entro il 31 dicembre del quinto anno successivo alla dichiarazione originaria, senza subordinare questa facoltà al fatto che la registrazione sia avvenuta nei termini dell’anno successivo alla ricezione. Anche la circolare n. 328/E/1997 aveva chiarito che l’obbligo di registrazione è presidio di controllo, non condizione dirimente per il diritto alla detrazione.
Natura e funzione dei termini di registrazione – La disposizione che impone la registrazione nel registro acquisti entro il termine della dichiarazione annuale dell’anno di ricezione è strumentale alle esigenze di controllo fiscale. Tuttavia, questo adempimento, nel sistema IVA, assume natura formale, non sostanziale rispetto al diritto di detrazione. Solo l’intento fraudolento o la impossibilità di esercitare un controllo effettivo, come ha più volte sottolineato la Corte di Giustizia, può giustificare la negazione della detrazione.
Termini di esercizio e decorrenza (“dies a quo”) – Interessante anche la sezione che distingue il momento da cui decorre il diritto alla detrazione tra acquisti interni (data ricezione SdI o presa visione) e importazioni (messa a disposizione del prospetto sul Portale Unico Dogane). Il dies a quo non si collega alla registrazione ma alla disponibilità della fattura o documento equivalente.
Implicazioni operative, rischi e comportamenti consigliati – Il contribuente che intenda seguire l’indirizzo restrittivo dell’Agenzia si vedrà preclusa ogni possibilità di recupero con dichiarazioni integrative in caso di tardiva registrazione. Tuttavia, seguendo la linea argomentativa della normativa e della giurisprudenza comunitaria e nazionale, la detrazione resta possibile tramite dichiarazione integrativa a favore fino al quinto anno successivo, purché il documento sia effettivamente ricevuto e vi sia l’inerenza all’attività imponibile, senza connotazioni fraudolente.
Di seguito una tabella riassuntiva delle tempistiche massime:
Caso Termine massimo per detrazione (interpretazione estensiva)
Fattura ricevuta/registrata in tempo Termine dichiarazione IVA (anno successivo)
Fattura registrata dopo 30 aprile 31 dicembre del quinto anno successivo (dichiarazione integrativa)
 
Considerazioni finali e questioni aperte – Il documento AIDC evidenzia il rischio di una interpretazione troppo formalistica e lesiva del principio comunitario di neutralità IVA e si auspica un chiarimento definitivo dell’Amministrazione, evitando incertezze operative che rischiano di penalizzare i comportamenti corretti ma poco “tempestivi” dei contribuenti. Solo l’accertamento di intenti fraudolenti o di ostacoli alla verifica del credito consentono, secondo un principio di proporzionalità, la negazione della detrazione su base formale.
Il suggerimento operativo è di curare comunque la tempestività della registrazione, ma di difendere il diritto alla detrazione con dichiarazione integrativa quando vi siano ragioni documentali solide e siano rispettati i requisiti sostanziali. Il confronto resta aperto in attesa di eventuali chiarimenti interpretativi dal legislatore o dall’Amministrazione.

(MF/am)




Spese di pubblicità o rappresentanza: distinzione a seconda degli obiettivi perseguiti

La distinzione tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità è legata dall’obiettivo da raggiungere, che per le prime non può che essere individuato nell’accrescimento del prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite.
Può essere così riassunto il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25143/2025 che riprende i precedenti orientamenti già espressi con le ordinanze, Corte di Cassazione: n. 10781/2023; n. 14049/2023.
“In tema di IVA, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite” (Cass. n. 10440/2021).

Il giudizio riguardava nello specifico, la contestazione da parte degli Uffici della qualificazione giuridica delle spese collegate all’organizzazione di un evento da parte di un’impresa nei periodi d’imposta 2013 e 2014.
Secondo il soggetto passivo tali spese erano da ritenersi aventi natura pubblicitaria, mentre per l’Ufficio ritenute spese di rappresentanza e come tali indetraibili oltre un limite preciso, ai sensi dell’art. 19-bis.1, comma 1, lett. h), D.P.R. n. 633/1972.
Gli avvisi venivano impugnati dalla contribuente innanzi alla CTP di Verona, che li annullava parzialmente. Proponevano appello sia l’Agenzia, in via principale, che la contribuente, in via incidentale.
La CTI del Veneto respingeva entrambi i gravami, ritenendo, in estrema sintesi, che le spese per il possedessero una forte caratterizzazione commerciale che consente di assimilarle alle spese pubblicitarie.
Tuttavia di diverso parere è la Cassazione che oltre a quanto detto sopra, ribadisce che le spese di rappresentanza (vedi art. 108, comma 2, del TUIR e D.M. MEF 19 novembre 2008), “devono necessariamente rispondere ad una finalità promozionale specificamente incentrata sui prodotti e compiuta attraverso un’attività reclamistica e organizzativa direttamente calibrata sulla loro vendita.

Mentre rientrano tra le seconde ossia tra le spese di pubblicità i costi di iniziative imperniate sull’ente e orientate a potenziarne, quale patrocinatore o sovvenzionatore di eventi culturali, il grado di conoscenza, l’immagine e il prestigio fra potenziali e selezionati clienti, ancorché da esse possa derivare, collateralmente e di riflesso, un incremento delle vendite dei prodotti” (Cass. n. 10781/2023).

Ancor più particolarmente s’è precisato che “costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite, sicché è necessaria una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese” (Cass. n. 14049/2023).

Secondo la Cassazione, i requisiti richiamati nel D.M. 19 novembre 2008, tra i quali quello della gratuità della prestazione devono essere intesi non in senso assoluto, posto che non si può prescindere dal verificare l’obiettivo primario della spesa, la natura e la sua funzione. Né la norma di riferimento né la giurisprudenza assumo il requisito della gratuità quale elemento fattuale che consente di distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità.
La gratuità integra un indice valutabile ai soli fini di una ricostruzione fattuale obiettiva e completa.

(MF/am)

 
 




Istat indice agosto 2025

Comunichiamo che l’indice Istat di Agosto 2025, necessario per l’aggiornamento dei canoni di locazione è pari a + 1,4 % (variazione annuale) e a + 2,3 % (variazione biennale).
 
Entrambi gli indici considerati nella misura del 75% diventano rispettivamente + 1,050 % e + 1,725 %.

(MP/ms)
 




LIPE 2 trimestre 2025: scadenza il 30 settembre

Il prossimo 30 settembre scade il termine di presentazione della comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA (c.d. LIPE), relativa al secondo trimestre 2025.

Il modello di Comunicazione deve essere presentato esclusivamente per via telematica, direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati. 

Le LIPE – art. 21-bis, D.L. n. 78/2010 – sono comunicazioni da trasmettersi esclusivamente tramite piattaforma Fatture e Corrispettivi, nel rispetto del tracciato XML stabilito dall’Agenzia delle Entrate.

Riepilogano i dati salienti delle operazioni IVA compiute nel trimestre di riferimento: totale delle operazioni attive fatturate o soggette a fatturazione e totale delle operazioni passive registrate.

Un maggior grado di dettaglio è richiesto con riferimento all’aspetto specifico della liquidazione dell’imposta. Dovranno pertanto essere indicate l’IVA esigibile di periodo e l’IVA detratta, e tutti quegli elementi che concorrono alla determinazione del saldo finale (a debito o a credito) del periodo:

  • Debito del periodo precedente riportato a nuovo in quanto di valore inferiore ad euro 25,82 – rigo VP7 -;
  • Credito del periodo precedente – rigo VP8 – che deve categoricamente coincidere con il rigo VP14, colonna 2, della LIPE del mese o trimestre precedente;
  • Credito annuale – rigo VP9 – che riepiloga il credito IVA dell’anno precedente.
Inoltre, posto che la principale funzione della comunicazione delle liquidazioni periodiche è quella di verificare la regolarità dei versamenti, trovano anche accoglimento le somme dovute a titolo di IVA per immatricolazione auto UE (rigo VP10) ed eventuali crediti di imposta utilizzati a scomputo dell’IVA (rigo VP11), nonché, per i trimestrali “normali”, gli interessi di liquidazione, pari all’1%, da esporsi al rigo VP12.

La comunicazione in scadenza il 30 settembre dovrà riepilogare quanto avvenuto nei mesi di aprile, maggio e giugno 2025, con distinta compilazione di altrettanti moduli da parte dei contribuenti a liquidazione IVA mensile, oppure, con un unico modulo, i dati del II trimestre per i contribuenti a liquidazione IVA trimestrale.

 

Liquidazioni IVA mensili 2025 Liquidazioni IVA trimestrali Scadenza
Gennaio 2025  
 
I trimestre 2025
 
 
3.6.2025
Febbraio 2025
Marzo 2025
Aprile 2025  
 
II trimestre 2025
 
 
30.9.2025
Maggio 2025
Giugno 2025
Luglio 2025  
 
III trimestre 2025
 
 
1.12.2025
Agosto 2025
Settembre 2025
Ottobre 2025  
IV trimestre 2025
 
2.3.2026
Novembre 2025
Dicembre 2025
 
(MF/ms)



Fringe benefit: chiarimenti sulla ricarica auto elettrica

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 237 del 10 settembre, ha affermato che la ricarica elettrica delle auto in uso promiscuo ai dipendenti, effettuata presso colonnine pubbliche utilizzando una card con addebito del costo a carico della società, non costituisce fringe benefit tassato in capo al dipendente.

Nel caso di specie, i dipendenti che sceglieranno un’autovettura elettrica o ibrida plug in dal parco auto aziendale avranno a disposizione un’apposita card per ricaricare l’auto presso colonnine pubbliche, con addebito del costo complessivo alla società, anche per l’uso privato del mezzo, ma entro un determinato limite annuo.

Superato un certo limite massimo di chilometri per anno effettuati per ragioni private, la società addebiterà al dipendente, tramite fattura, l’importo del costo chilometrico del carburante (elettricità) relativo all’uso privato della vettura, per la quota eccedente il limite stabilito.

La società ha quindi chiesto chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR alla fattispecie.

L’Agenzia, dopo aver richiamato l’attuale versione della norma e riportati i chiarimenti della C.M n. 326/97 (§ 2.3.2.1), nonché la risposta a interpello n. 421/2023 (in relazione alla tassazione dei rimborsi spese per la ricarica elettrica domestica delle auto), ha rilevato che l’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR disciplina esclusivamente la determinazione forfetaria del valore da assoggettare a tassazione del veicolo nell’ipotesi in cui lo stesso sia concesso in uso promiscuo al dipendente, ancorandola al costo chilometrico d’esercizio individuato in base alle tabelle ACI.

Nella determinazione di tali valori, l’ACI tiene conto dei costi annui non proporzionali alla percorrenza, ovvero di tutti i costi che in ogni caso l’automobilista deve sostenere, indipendentemente dal grado di utilizzazione del veicolo, e dei costi annui proporzionali alla percorrenza, ovvero dei costi che direttamente o indirettamente sono connessi al grado di utilizzazione del veicolo stesso.

Al riguardo, l’Agenzia rappresenta che nelle “Considerazioni metodologiche” predisposte dall’ACI a supporto dell’elaborazione delle citate tabelle, ivi incluse quelle relative agli autoveicoli elettrici e ibridi plugin, risulta che le stime sul calcolo del carburante sono effettuate per le seguenti tipologie di carburante: benzina senza piombo, gasolio, GPL, metano ed elettricità.

Ai fini del calcolo del costo chilometrico d’esercizio dei veicoli elettrici e plugin, le tabelle ACI considerano, quindi, anche il costo dell’energia elettrica.

L’Agenzia afferma quindi che nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca l’energia elettrica per la ricarica dei veicoli concessi in uso promiscuo ai propri dipendenti, la stessa non genera reddito imponibile, in quanto già considerata ai fini della determinazione del valore forfetario riportato nelle tabelle ACI.

Venendo al caso di specie, in relazione alla possibilità di attribuire ai dipendenti una card per effettuare la ricarica elettrica della vettura assegnata in uso promiscuo presso colonnine pubbliche, con addebito del costo a carico della società, l’Agenzia delle Entrate ritiene che tali ricariche, riconosciute entro un certo limite annuo, non costituiscono fringe benefit tassabile in capo al dipendente, a prescindere dall’utilizzo aziendale o privato del veicolo assegnato.

La società ha fatto poi presente che ciascun dipendente sarà tenuto a comunicare i chilometri effettuati per uso aziendale, così da poter individuare, per differenza, i chilometri percorsi per ragioni private e che, nell’ipotesi in cui sia superato il limite massimo di chilometri per anno per ragioni private riconosciuto dalla società, la stessa provvederà ad addebitare al dipendente, tramite fattura, l’importo del costo chilometrico dell’energia elettrica relativo all’uso privato della vettura, per la parte corrispondente al superamento del suddetto limite.

Sul punto, l’Agenzia ribadisce che l’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR prevede una determinazione forfetaria del valore da assoggettare a tassazione per i veicoli concessi in uso promiscuo e che, come chiarito nella C.M. n. 326/97, è del tutto irrilevante che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall’ACI, dovendosi comunque fare riferimento, ai fini della determinazione dell’importo da assumere a tassazione, al totale costo di percorrenza esposto nelle relative tabelle.

Ne consegue che le somme addebitate al dipendente in relazione all’energia elettrica per l’uso privato del veicolo non potranno essere portate in diminuzione del valore forfetariamente determinato in base alle tabelle ACI, al fine di abbattere il valore del fringe benefit da assoggettare a tassazione ai sensi dell’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR.

Eventuali somme corrisposte dal dipendente per la ricarica elettrica per l’uso privato del veicolo assegnato dovranno quindi essere trattenute dall’importo netto corrisposto in busta paga.
 

(MF/ms)




Cessioni crediti edilizi: chiarimenti

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 240/2025 del 15 settembre 2025, interviene su una delle principali criticità emerse dopo le recenti modifiche normative alla cessione dei crediti fiscali da bonus edilizi, chiarendo i limiti e le possibilità operative a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 39/2024 e della relativa Legge di conversione.

Nuovi divieti sulla cessione del credito: il contesto – Dal 29 maggio 2024 è stato introdotto il divieto per i beneficiari delle detrazioni previste dall’art. 121, comma 2 , D.L. n. 34/2020, di optare per la cessione delle rate residue non ancora fruite delle detrazioni stesse. Il blocco riguarda i cosiddetti “bonus edilizi” e si applica a coloro che, avendo sostenuto spese per interventi agevolati negli anni 2020-2024, intendevano cedere solo le rate residue delle detrazioni aspettanti, non ancora godute tramite dichiarazione dei redditi.

Chiarimenti operativi dell’Agenzia: chi è bloccato e chi no – L’Agenzia specifica che il divieto non si applica alle aziende o ai soggetti che abbiano già acquisito il credito tramite sconto in fattura, e che risultano cessionari dei crediti. In sostanza:

  • il beneficiario originario della detrazione non può più “smobilizzare” le rate residue cedendole a terzi dopo il 29 maggio 2024;
  • tuttavia, il cessionario che, ad esempio, abbia acquisito il credito a seguito di sconto in fattura (o altra forma di cessione), può continuare a cedere i crediti ancora presenti in piattaforma e non ancora utilizzati in compensazione, conformemente alle regole (limiti e tracciabilità) dell’art. 121 D.L. n. 34/2020.
In pratica, la “catena” successiva di cessioni dei crediti già circolanti nel sistema (purché rispettino i vincoli di numero e tipologia di cessionari previsti) NON è interrotta dal nuovo divieto, che si applica solo ai beneficiari originari e solo alle rate residue non ancora fruite.

Rilevanza fiscale per i professionisti – È confermato che la cessione dei crediti a fronte di prestazioni professionali rappresenta un provento imponibile, da tassare ai sensi dell’art. 54 TUIR. Questo aspetto resta invariato.

Raccomandazioni pratiche – I commercialisti devono distinguere tra beneficiario originario della detrazione e cessionario del credito in relazione ai limiti posti dal D.L. n. 39/2024. Le aziende che abbiano maturato crediti tramite sconto in fattura e li detengano nel proprio cassetto fiscale possono utilizzarli per compensare debiti tributari, oppure possono ancora cederli (nei limiti delle norme vigenti). È necessario porre la massima attenzione alle modalità e ai limiti di ulteriori cessioni, che restano soggette alle restrizioni del sistema (numero massimo e soggetti abilitati alla ricezione).

Tabella di sintesi – Cessione dei crediti edilizi post D.L. n. 39/2024
 

Soggetto coinvolto Cosa può fare dopo il 29/05/2024 Limiti/Note principali
Beneficiario originario (detentore detrazione non fruita) Non può più cedere le rate residue di detrazione Divieto assoluto su rate residue
Cessionario (ad es. impresa che ha operato sconto in fattura) Può continuare a cedere i crediti presenti nel cassetto fiscale Nei limiti, secondo art. 121 D.L. n. 34/2020
Ulteriori cessionari (banche, intermediari, assicurazioni) Possono ricevere crediti secondo regole “tracciate” Consentite solo cessioni qualificate
Compensazione tramite F24 Resta sempre possibile su crediti disponibili Necessario rispetto delle regole generali

 
(MF/ms)




Assegnazione agevolata ai soci entro il 30 settembre

In vista della scadenza del 30 settembre 2025 per l’effettuazione delle operazioni di assegnazione agevolata ex L. 207/2024 è utile riepilogare le indicazioni fornite dalla prassi dell’Amministrazione finanziaria e notarile con specifico riguardo ai soci assegnatari.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1 comma 31 della L. 207/2024, le agevolazioni sono concesse a condizione che i soci siano iscritti a libro soci, ove prescritto, al 30 settembre 2024, o che lo siano entro il 31 gennaio 2025, in forza di un titolo di trasferimento avente data certa anteriore al 1° ottobre 2024.

La disposizione ha la ratio di evitare che soggetti prima estranei alla compagine sociale vi possano entrare in prossimità dell’atto di assegnazione o di cessione, beneficiando così delle agevolazioni.

La norma dispone l’iscrizione a libro soci, “ove prescritto”, entro il 30 settembre 2024; per le società di persone e le altre società non obbligate alla tenuta del libro soci, secondo la circ. Agenzia delle Entrate n. 26/2026 (cap. I, Parte I, § 2) occorre che, alla data di riferimento, la qualifica di socio sia
provata con titoli idonei aventi data certa.

L’ingresso nella compagine sociale di uno o più soggetti dopo il 30 settembre 2024 non fa venir meno i benefici; questi ultimi vengono però riservati ai soci che erano tali alla data del 30 settembre 2024 (gli altri soci, scontano invece l’imposizione ordinaria).

Nel rispetto del requisito di “socio” nei termini sopra descritti, non sussistono limitazioni legate alla natura giuridica (persone fisiche o giuridiche), né al regime fiscale (IRPEF o IRES), né alla residenza fiscale (italiana o estera). È però utile prendere in considerazione alcune casistiche particolari.

Lo Studio Consiglio nazionale del Notariato n. 46-2023/T (§ C.3.1) ha precisato che il socio che può godere dell’agevolazione deve essere titolare della proprietà della partecipazione o almeno esserne nudo proprietario; l’usufruttuario di una partecipazione, invece, non essendo considerato socio dal Fisco (circ. n. 26/2016, cap. I, Parte I, § 2) non potrà godere dei vantaggi fiscali previsti (sul punto, esistono però orientamenti contrastanti della giurisprudenza).

Più in generale, in merito alle eventuali modifiche della quota di partecipazione, la circ. Agenzia delle Entrate n. 26/2016 (cap. I, Parte I, § 2) ha precisato che la percentuale a cui fare riferimento al fine di attribuire la parte corretta del patrimonio sociale all’atto dell’assegnazione è quella esistente al momento dell’assegnazione medesima.

In presenza di un socio assegnatario in comunione legale dei beni, secondo la soluzione preferibile dai notai (studio n. 46-2023/T, § C.3.2), “si potrà godere dell’agevolazione per intero e non limitatamente alla metà corrispondente all’assegnazione in suo favore”; tuttavia, proseguono i notai, qualche dubbio potrebbe emergere partendo dalla contraria posizione dell’Amministrazione finanziaria in ordine alle agevolazioni prima casa (applicabile nella misura del 50% ove uno solo dei coniugi acquirenti in comunione legale sia in possesso dei requisiti; cfr. circ. n. 38/2005, § 2.1).

Il regime agevolato, secondo la prassi notarile (studio n. 46-2023/T, § C.3.3) e dell’Amministrazione finanziaria (circ. n. 26/2016, cap. I, Parte I, § 2) è ammesso anche nel caso di subentro dell’erede nella qualità di socio successivamente alla data del 30 settembre 2024, a seguito della accettazione dell’eredità da parte dell’erede medesimo; infatti, in questa ipotesi, non si realizza una cessione volontaria della partecipazione.

Tra le casistiche particolari, è stato poi esaminato il caso del socio assegnatario in caso di subentro per fusione e per scissione, nonché il caso delle partecipazioni intestate a società fiduciarie (circ. n. 26/2016, cap. I, Parte I, § 2.1 e studio n. 46-2023/T, § C.3.4 e C.3.5).

In ossequio al principio di continuità fiscale, è ammessa l’assegnazione agevolata nei confronti dei soci delle società incorporate, fuse o scisse, purché questi siano tali alla data di riferimento, fissata, come detto, al 30 settembre 2024.

Inoltre, possono risultare assegnatarie anche le società fiduciarie purché iscritte tra i soci alla data di riferimento e sia provato che il rapporto fiduciario sia sorto in data anteriore.

Non è invece pacifica l’applicazione delle disposizioni agevolative in caso di assegnazione di beni immobili in favore di terzi, per scelta del socio. I notai (studio n. 46-2023/T, § C.3.7) specificano, infatti, che se il “terzo” non è un socio o è divenuto tale in data successiva al 30 settembre 2024, si dovrebbe, in linea di principio, concludere per la soluzione negativa stante la mancanza della qualifica di socio in capo al soggetto assegnatario. Tuttavia, una possibile apertura potrebbe delinearsi, secondo i notai, nel caso in cui tra la società e il socio sia stipulato un contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.): in tal caso, l’acquisto si perfezionerebbe medio tempore in capo al socio, fino a quando il terzo non dichiari di “volerne profittare”. Non esistono però conferme sul punto da parte del Fisco.
 

(MF/ms)




Bando Imprese Femminili 2025: valorizzare l’innovazione e la creatività

La Camera di Commercio di Como-Lecco ha avviato la prima edizione del Premio “Imprese Femminili 2025: valorizzare l’innovazione e la creatività”, un’iniziativa pensata per sostenere e valorizzare le imprese femminili del territorio che si distinguono per innovazione, creatività, sostenibilità e attenzione al benessere dei lavoratori.

Il Premio mette a disposizione una dotazione complessiva di € 15.000,00, suddivisa in cinque riconoscimenti da € 3.000,00 ciascuno, destinati alle imprese e professioniste che sapranno interpretare al meglio le potenzialità di sviluppo locale, anche in connessione con i grandi eventi e riconoscimenti che interesseranno il nostro territorio: dalle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 al Bicentenario di Alessandro Volta del 2027, fino al riconoscimento di Como come Città Creativa UNESCO.

Le candidature possono essere presentate dal 15 settembre al 10 ottobre 2025, esclusivamente via PEC, secondo le modalità indicate nell’avviso ufficiale.

Tutte le informazioni e la modulistica sono disponibili sul sito della Camera di Commercio di Como-Lecco: https://www.comolecco.camcom.it/archivio27_bandi-ed-opportunita_0_180.html

Per chiarimenti e ulteriori dettagli: progetti.strategici@comolecco.camcom.it – PEC: cciaa@pec.comolecco.camcom.it

(MP/am)




Emissione nota di variazione e concordato preventivo: chiarimenti

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 234, ha fornito alcuni chiarimenti in tema di emissione della nota di variazione IVA ex art. 26 commi 3-bis e 10-bis del DPR 633/72, in pendenza di concordato preventivo.

Nel documento di prassi si precisa che, laddove il cedente/prestatore scelga di non avvalersi della facoltà di emettere la nota di variazione al momento in cui il cessionario/committente è “assoggettato” al concordato, la variazione sarebbe possibile, sulla scorta dell’art. 26 comma 2 del DPR 633/72, anche in un momento successivo, quando il piano di riparto attesti l’infruttuosità della procedura.

Nel caso di specie, il soggetto debitore – dopo una prima istanza di accesso al concordato ex art. 161 del RD 267/42, sfociata in un provvedimento di ammissione e successivamente nella revoca della procedura – presentava una nuova istanza per un concordato in continuità, anch’essa accolta.

Si poneva, in particolare, il quesito relativo alla possibilità da parte del cedente/prestatore (soggetto creditore) di procedere, per la parte di credito falcidiata in base al decreto di omologa, all’emissione della nota di variazione, non al momento di apertura della procedura, ma in seguito all’adempimento degli obblighi concordatari da parte del debitore.

Più precisamente, si tratta di comprendere, in primo luogo, se in una fattispecie come quella in esame ricorrano o meno i presupposti per la c.d. consecuzione tra procedure e, in secondo luogo, se, vigenti i nuovi termini di emissione della nota di variazione ex art. 26 comma 3-bis del DPR 633/72 (introdotto dall’art. 18 del DL 73/2021, per le procedure aperte dal 26 maggio 2021), possa “posticiparsi” l’emissione della nota al momento in cui la procedura risulti divenuta infruttuosa.

Si ricorda, al riguardo, come la nuova disciplina abbia determinato il dies a quo per la nota di variazione in diminuzione “a partire dalla data” in cui il debitore “è assoggettato a una procedura concorsuale”. Nel caso d’interesse, secondo il successivo comma 10-bis, il debitore si considera assoggettato alla procedura dalla data del decreto di ammissione al concordato.

Come rilevato nella circ. Agenzia delle Entrate n. 20/2021, il termine entro cui emettere la nota di variazione è rappresentato dalla presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione, ossia, con riferimento alle procedure, entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno in cui viene emanato il provvedimento di apertura. Il termine ultimo per esercitare il diritto alla detrazione è, invece, individuato con la dichiarazione IVA relativa all’anno di emissione della nota.

La risposta a interpello n. 234, nell’esaminare la fattispecie, esclude in primo luogo che possa sussistere una consecuzione tra procedure di concordato preventivo.

Ciò rileva ai fini della corretta individuazione della disciplina applicabile ai fini IVA (la prima procedura, infatti, era assoggettata alla disciplina previgente, anteriore al 26 maggio 2021, a differenza della seconda).

Il principio della “consecuzione tra procedure” (art. 69-bis comma 2 del RD 267/42, ora art. 170 comma 2 del DLgs. 14/2019) si riferisce all’ipotesi di “confluenza” di una procedura nel successivo fallimento (ora liquidazione giudiziale), sul presupposto della comunanza dell’insolvenza irreversibile già con la prima procedura.

Tuttavia, nella specie, l’autonomia tra le due procedure escludeva un fenomeno di consecuzione, essendo necessario focalizzare l’attenzione solo sulla seconda.

Si ricorda, allora, come nella risposta ad interpello n. 216/2022, l’Agenzia, per una ipotesi di conversione tra amministrazione straordinaria – aperta prima del 26 maggio 2021 – in successivo fallimento (post DL 73/2021), aveva invece escluso l’avvio di una nuova procedura ai fini dell’applicazione della nuova disciplina IVA.

In secondo luogo, la risposta a interpello n. 234 esamina il momento in cui deve essere effettuata la variazione in diminuzione.

Viene, sostanzialmente, confermata la tesi interpretativa del creditore di optare per l’emissione della nota a partire dall’effettiva conclusione della procedura, poiché essa attesta il definitivo mancato pagamento del corrispettivo.

Nel caso di specie, quindi, segnando un sostanziale ritorno alla disciplina previgente, il diritto alla detrazione sarebbe subordinato alla “infruttuosità” della procedura, poiché è solo al verificarsi di tale condizione che si ha una ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore.

In definitiva, secondo l’Agenzia, il cedente/prestatore che decide di insinuarsi al passivo e non emettere la nota di variazione in diminuzione, ai sensi dell’art. 26 commi 3-bis e 10-bis, è tenuto ad attendere l’esito infruttuoso della procedura. Resta reclusa la possibilità di effettuare la variazione una volta decorso il termine per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, correlato al “dies a quo” individuato dai predetti commi.

 

(MF/ms)




Nuova classificazione delle attività economiche Ateco 2025

A seguito dell’adozione della nuova classificazione delle attività economiche Ateco 2025 predisposta dall’ISTAT, a partire dal 1° aprile 2025, alcune attività hanno cambiato codice.

Chiediamo gentilmente alle Aziende Associate che hanno cambiato codice Ateco di riferimento di comunicarcelo, se non l’hanno ancora fatto.

Lo potete fare scrivendo all’indirizzo associazione@confapi.lecco.it

(SG/am)