Un bonus welfare pari a 250 euro dalla Ita a ciascun suo dipendente
La Provincia del 24 febbraio 2022, articolo sul "bonus energia" erogato dalla nostra associata Ita Spa ai dipendenti.
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La Provincia del 24 febbraio 2022, articolo sul "bonus energia" erogato dalla nostra associata Ita Spa ai dipendenti.
La holding di cui Ita Spa fa parte autoproduce energia elettrica tramite un impianto di cogenerazione, in un anno l’impresa di Calolziocorte consuma 60 gigawatt/ora di energia e ne autoproduce 25. L’energia autoprodotta che avanza viene venduta e il ricavato, al netto dei costi, viene destinato ai 128 dipendenti per il “Bonus energia”. Quest’ultima iniziativa va ad aggiungersi al welfare aziendale che la Ita Spa eroga normalmente ai suoi lavoratori tramite la piattaforma TreCuori.
“Stiamo vivendo un periodo di forti tensioni economiche e di grande impatto– spiega Andrea Beri – il sistema di autoproduzione di energia nella nostra azienda ha portato dei benefici e quindi ho deciso di venire incontro ai miei dipendenti con il “Bonus energia”, così potranno usufruire anche loro di questi vantaggi portati dal nostro impianto. So bene che 250 euro non sono la soluzione, ma sono qualcosa nel deserto. Purtroppo temo che i prezzi di energia e gas non scenderanno nemmeno ad aprile e vedo che le iniziative attuali del Governo non sono risolutive, con questa iniziativa ho cercato di venire incontro ai miei dipendenti in un momento difficile da affrontare per tutti”.
Il “Bonus energia” non è una novità per la famiglia Beri che qualche settimana fa ha già presentato nell’altra azienda di proprietà in Veneto, la CB trafilati acciai: “Sì, l’iniziativa è stata accolta con molto favore, avviene con lo stesso medesimo meccanismo che attueremo alla Ita”, conclude Andrea Beri.
Ita SpA – Scheda azienda
L’azienda viene fondata nel 1956 a Calolziocorte, fa parte di Steelgroup Italy Holding, come le altre aziende CB trafilati acciaio e F.A.R. SpA, industrie specializzate nella lavorazione di fili in acciaio e trefoli che occupano in totale 270 persone.
Lo spirito imprenditoriale della famiglia Beri è l’essenza stessa dell’azienda che si distingue per l’orientamento alla “qualità totale” che rappresenta la base della sua strategia aziendale.
Oggi I.T.A. SpA è una realtà tra le più dinamiche del settore, con costanti investimenti in ricerca e sviluppo volti alla massima soddisfazione del cliente per la fornitura di fili d’acciaio trafilati lucidi e zincati per armatura di cavi energia e telecomunicazioni, funi di sollevamento, funi per trasporto persone, funi pesca, applicazioni off-shore Oil & Gas, mining, armatura di rinforzo tubi, trasmissioni e produzione di molle e particolari piegati per il settore automobilistico e per la meccanica in generale.
Anna Masciadri
Ufficio Stampa
Gli adempimenti ivi previsti sono posticipati all’assemblea che approva il bilancio 2026.
L’emendamento non fa altro che sostituire, nel primo comma dell’art. 6 del Dl 23/2020 convertito, l’attuale riferimento al 31 dicembre 2020 con quello al 31 dicembre 2021.
Rispetto a tale ultima disposizione appare rimasta isolata la posizione assunta dalla circ. Assonime n. 3/2021, § 4, secondo la quale, a prescindere dalla lettera della norma, sarebbe preferibile una interpretazione che ritenga qualsiasi eventuale incremento delle perdite negli esercizi successivi al 2020, sia esso autonomamente rilevante o meno, assorbito dalla disciplina di posticipazione delle misure di riduzione e ricapitalizzazione dettata dall’art. 6, determinando l’attivazione dei rimedi a tutela del capitale soltanto alla chiusura del quinto esercizio successivo.
A favore di tale soluzione deporrebbe, a giudizio dell’Associazione, il fatto che la previsione intende attribuire alle società un idoneo percorso temporale per uscire dallo stato di difficoltà, non affidando la tutela del ceto creditorio e il potenziale recupero di redditività della gestione ad una meccanica applicazione della disciplina del codice, ma ad una attività gestionale sì ordinaria, ovvero non meramente conservativa, ma responsabilizzata anche alla luce dei nuovi obblighi sanciti dal riformato art. 2086 c.c.
Come segnalato dalla dottrina in modo quasi unanime, invece, la disciplina di cui all’art. 6 del Dl 23/2020 convertito, così come ancora attualmente disegnata, non troverebbe applicazione alle perdite maturate nel 2021 (e negli esercizi successivi), con la conseguenza che le perdite maturate nel 2021 e che “autonomamente” portano il capitale sotto il minimo, devono essere ripianate “senza indugio”, mentre quelle che non intacchino il capitale sociale avrebbero il 2022 come anno di grazia, con obbligo di ripianamento nel 2023.
Si veda, ad esempio, la massima T.A.7 del Comitato Triveneto dei Notai che afferma: “verificandosi negli esercizi successivi a quello 2020 perdite che, da sole o sommate a quelle di esercizi precedenti all’esercizio 2020 (dovendosi sempre escludere dal calcolo il risultato negativo dell’esercizio che comprende il 31 dicembre 2020 se il loro ripianamento è stato rinviato), eccedono di oltre un terzo il capitale sociale riducendolo al di sotto del minimo legale, troveranno piena applicazione le disposizioni contenute negli artt. 2447, 2482-ter e 2484, comma 1, n. 4, c.c.”.
Tutto ciò, si sottolineava, in assenza di un nuovo intervento normativo.
Intervento che è ora in procinto di concretizzarsi e che, se dovesse trovare conferma definitiva, comporterebbe tutte le conseguenze indicate dal citato art. 6 del Dl 23/2020 convertito.
E, quindi, il termine entro il quale la perdita 2021 dovrà risultare diminuita a meno di un terzo, ex artt. 2446 comma 2 e 2482-bis comma 4 c.c., sarà posticipato al quinto esercizio successivo (esercizio 2026); l’assemblea che approverà il bilancio di tale esercizio dovrà ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate (art. 6 comma 2 del Dl 23/2020 convertito).
Nelle ipotesi previste dagli artt. 2447 o 2482-ter c.c. l’assemblea convocata senza indugio dagli amministratori, in alternativa all’immediata riduzione del capitale e al contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo legale, potrà deliberare di rinviare tali decisioni alla chiusura del quinto esercizio successivo (esercizio 2026).
L’assemblea che approverà il bilancio di tale esercizio dovrà procedere alle deliberazioni di cui agli artt. 2447 o 2482-ter c.c. Fino alla data di tale assemblea, non opererà la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484 comma 1 n. 4 e 2545-duodecies c.c. (art. 6 comma 3 del Dl 23/2020 convertito).
Le perdite in questione dovranno essere distintamente indicate nella Nota integrativa con specificazione, in appositi prospetti, della loro origine nonché delle movimentazioni intervenute nell’esercizio (art. 6 comma 4 del Dl 23/2020 convertito).
Si tenga presente, infine, che le perdite da considerare saranno quelle emerse “nell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2021”.
L’arco temporale preso in considerazione dalla norma, per quanto coincidente per tutte le società con un unico esercizio sociale, non è uguale per ciascuna di esse, ma dipende dalle scelte statutarie individuali sulla data di chiusura dell’esercizio (cfr. la massima Comitato Triveneto dei Notai T.A.2).
Saranno, di conseguenza, da considerare non solo gli esercizi che hanno chiuso al 31 dicembre 2021, ma anche quelli a cavallo d’anno che comprendano la suddetta data (in primis 1 luglio 2021 – 30 giugno 2022).
(MF/ms)
Si tratta del primo invio nel quale si rendono applicabili le numerose novità previste per l’adempimento con la determinazione Agenzia delle Dogane n. 493869 del 23 dicembre 2021.
A tal fine, è stato adeguato anche il programma informatico, disponibile sul sito della stessa Agenzia, per la compilazione, il controllo formale e l’invio telematico degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari di beni e servizi.
Tra gli aspetti di maggiore impatto della nuova disciplina, a seguito della determinazione n. 493869/2021, si segnala la modifica della soglia di esonero per la presentazione, su base mensile, del modello INTRA-2 bis.
La soglia è, difatti, stata incrementata da un importo di 200.000 euro a 350.000 euro, per gli acquisti effettuati in almeno uno dei quattro trimestri precedenti.
Il nuovo limite massimo per la presentazione mensile del modello INTRA-2 bis va, dunque, monitorato su base trimestrale.
Esso si applica, come detto, a partire dalle operazioni effettuate nel 2022, fermo restando che le informazioni contenute nel modello INTRA-2 bis sono rese per finalità statistiche.
Rimane confermata la soglia pari a 100.000 euro per la presentazione, su base mensile, del modello INTRA-2 quater, relativamente alle prestazioni di servizi intracomunitarie “generiche”, i cui committenti siano soggetti passivi stabiliti in Italia.
È, invece, abolito l’obbligo di presentare gli elenchi riepilogativi acquisti (INTRA-2) su base trimestrale, sia con riferimento ai beni che ai servizi.
Tra le altre novità che investono gli elenchi INTRA acquisti (al pari degli elenchi relativi alle vendite) si evidenziano:
Di particolare rilievo, in base alle istruzioni aggiornate lo scorso dicembre, è l’identificazione del momento in cui il modello INTRA-2 va presentato.
Per quanto concerne gli acquisti intracomunitari di beni, essi vanno inseriti negli elenchi INTRASTAT in relazione:
È prevista però un’eccezione se l’intervallo di tempo tra l’acquisto dei beni e il fatto generatore dell’imposta è superiore a due mesi di calendario: in tale circostanza, il periodo di riferimento ai fini INTRASTAT è il mese in cui i beni acquistati entrano nel territorio italiano.
Non sono da considerare le fatture per acconti
Nell’ipotesi in cui siano state emesse fatture per acconti e nella più generale ipotesi di fatturazione anticipata rispetto alla consegna o spedizione delle merci, gli acquisti devono essere inseriti negli elenchi riferiti al periodo di consegna o spedizione dei beni, così come avviene per le movimentazioni a scopo di lavorazione.
Si pensi alle fatture ricevute a gennaio 2022 per beni che giungono in Italia nel mese di febbraio 2022: l’operazione sarà rilevata negli elenchi INTRA relativi agli acquisti di febbraio.
Le nuove istruzioni alla compilazione precisano che non sono oggetto di comunicazione dei modelli INTRASTAT le operazioni di acquisto di beni in cui gli stessi non entrano nel territorio italiano, come per le operazioni triangolari ove il soggetto residente è il promotore dell’operazione e la merce non arriva sul territorio nazionale.
(MF/ms)
A prevederlo è il Ddl. di conversione del Dl 228/2021 (“Milleproroghe”), nel testo predisposto dalle Commissioni Bilancio e Affari costituzionali a seguito del rinvio deliberato dall’Assemblea, su cui oggi la Camera voterà la questione di fiducia, che interviene sull’art. 49 comma 3-bis del Dlgs. 231/2007.
In base a questa disposizione, infatti, “a decorrere dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, il divieto di cui al comma 1 e la soglia di cui al comma 3 sono riferiti alla cifra di 2.000 euro.
A decorrere dal 1° gennaio 2022, il predetto divieto di cui al comma 1 è riferito alla cifra di 1.000 euro”.
La modifica inserita nel Ddl. di cui si è detto sostituisce, ora, le parole “31 dicembre 2021” con “31 dicembre 2022” e le parole “1° gennaio 2022” con “1° gennaio 2023”.
Il limite in questione, quale che ne sia la causa o il titolo, vale anche quando il trasferimento sia effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia che appaiano artificiosamente frazionati (per operazione frazionata si intende un’operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal Dlgs. 231/2007, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi e in un circoscritto periodo di tempo fissato in 7 giorni, ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale).
Dal momento che non sembra essersi in presenza di un innalzamento della soglia, ma di una previsione che, “retroattivamente”, lascia invariata la soglia stessa, nessun rischio sanzionatorio si dovrebbe porre per coloro che, tra il 1° gennaio 2022 e la data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl “Milleproroghe”, dovessero aver utilizzato contanti per importi compresi tra 1.000 e 1.999,99 euro.
Si ricorda, infatti, che, in materia, in assenza di differenti indicazioni normative (cfr., in particolare, l’art. 69 comma 1 primo periodo del Dlgs. 231/2007), le violazioni sono assoggettate alla legge del tempo del loro verificarsi, ex art. 1 della L. 689/81 (cfr., tra le altre, Cass. n. 1693/2007).
Sempre dal punto di vista sanzionatorio, si ricorda che, ai sensi dell’art. 63 comma 1 del Dlgs. 231/2007, fatta salva l’efficacia degli atti, alle violazioni della disciplina dei contanti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 a 50.000 euro. Per le violazioni che riguardano importi superiori a 250.000 euro, invece, la sanzione è quintuplicata nel minimo e nel massimo edittali (art. 63 comma 6 del Dlgs. 231/2007).
L’improvvisa marcia indietro rispetto ai limiti all’utilizzo del contante, peraltro, è, al momento, priva di coordinamento con le indicazioni fornite in ordine ai minimi edittali. Per esigenze di coerenza sistematica rispetto alla progressiva riduzione sopra ricordata, infatti, si è stabilito che, per le violazioni commesse e contestate dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 il minimo edittale è pari a 2.000 euro. Per le violazioni commesse e contestate a decorrere dal 1° gennaio 2022, invece, il predetto minimo edittale è ulteriormente abbassato a 1.000 euro (art. 63 comma 1-ter del Dlgs. 231/2007, come inserito dall’art. 18 comma 1 lett. b) del Dl 124/2019 convertito). Questa norma non risulta (ancora) modificata.
Per le violazioni commesse dal 1° gennaio 2022, quindi, nonostante la soglia sia stata riportata a 2.000 euro, appare operativo il minimo edittale di 1.000 euro.
Restano immutate tutte le ulteriori previsioni che attengono a tale materia. In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2022, per l’attività dei cambiavalute iscritti nell’apposito registro resta la soglia di 3.000 euro, essendo stata dissociata dalla soglia relativa all’utilizzo del contante. È pari a 999,99 euro, invece, il limite di utilizzo di contanti per il servizio di rimessa di denaro (c.d. “money transfer”).
I turisti stranieri (anche appartenenti alla Ue o allo Spazio economico europeo), inoltre, possono effettuare acquisti in contanti entro il limite di 15.000 euro. I commi da 1 a 2-bis dell’art. 3 del Dl 16/2012 convertito, infatti, prevedono una deroga al divieto di trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori al limite generale e fino all’importo di 15.000 euro, per l’acquisto di beni e di prestazioni di servizi legate al turismo, effettuati da persone fisiche di cittadinanza diversa da quella italiana presso i commercianti al minuto, i soggetti equiparati (di cui all’art. 22 del Dpr 633/72) e le agenzie di viaggio e turismo (di cui all’art. 74-ter del Dpr 633/72).
Si ricorda, infine, che i limiti all’utilizzo del denaro contante presentano ricadute anche per i professionisti, che sono obbligati a comunicare alle competenti Ragionerie territoriali dello Stato le infrazioni alle violazioni dei limiti di utilizzo del denaro contante delle quali acquisiscano notizia nello svolgimento della propria attività ex art. 51 comma 1 del Dlgs. 231/2007.
(MF/ms)
I dubbi nascono da una non chiarissima illustrazione, ad origine, della materia da parte dell’Amministrazione finanziaria, e dalla sempre più frequente propensione ad acquistare tali prodotti in canali diversi da quelli di commercio al dettaglio.
Partiamo da un dato di fatto: il settore è da sempre stato interessato da frodi Iva, in tutto il territorio europeo, di svariati miliardi.
A livello pratico, la frode significativa non avviene quando il singolo prodotto viene ceduto da un dettagliante ad un soggetto che spesso si qualifica come consumatore finale (e che quindi non può detrarre l’Iva), ma quando consistenti quantitativi di beni vengono ceduti ad un soggetto che ha diritto alla detrazione dell’Iva.
Quando, infatti, il venditore non versa l’Iva che ha incassato, il danno erariale è molto maggiore nel caso in cui il cliente ha la possibilità di detrarre l’Iva, rispetto al caso in cui si qualifica come consumatore finale.
Detto ciò, a livello comunitario la Direttiva Iva consente agli Stati membri l’introduzione del meccanismo del reverse charge per settori che sono ritenuti ad alto rischio di frode, quali ad esempio le cessioni di telefoni cellulari, di dispositivi a circuito integrato, di console di gioco, tablet PC e laptop.
Altri Stati hanno introdotto il meccanismo del reverse charge in questi settori, e per stabilire in modo chiaro che tale modalità speciale di applicazione dell’imposta è limitata al commercio all’ingrosso, hanno fatto una cosa semplicissima: hanno inserito un limite di importo al di sotto del quale il reverse charge non trova applicazione.
Troviamo infatti dei limiti di importo nella normativa tedesca (euro 5.000) ed in quella britannica (GBP 5.000), istituita quando il Regno Unito era ancora un Paese aderente alla Ue ed ancora oggi in vigore.
Dal canto suo, il legislatore italiano non ha introdotto alcun limite di importo, né ha scritto la norma in modo tale che si potesse evincere che il reverse charge trova applicazione solo nel commercio all’ingrosso.
La norma, infatti, prevede semplicemente che il reverse charge trovi applicazione per le vendite di telefoni cellulari (per la cui definizione viene fatto un rimando ad una norma del 1972, modificata da ultimo nel 1995…), e per le cessioni di console da gioco, tablet PC e laptop, senza specificare in quali fasi della commercializzazione o se per quantitativi minimi.
In uno Stato di diritto, dove le norme si interpretano in primo luogo per come sono scritte, tutte le cessioni di tali prodotti, effettuate verso un soggetto passivo Iva, sarebbero assoggettate a reverse charge.
Se il legislatore poi ravvisa che la norma non raggiunge gli scopi che si proponeva, viene cambiata la norma.
In Italia, invece, l’Agenzia delle Entrate, con documenti di prassi, modifica radicalmente la interpretazione della norma, e, ad esempio, con circolare 59/E/2010 affermò che “si ritiene che l’obbligo del meccanismo dell’inversione contabile alle fattispecie in esame, ai sensi del citato articolo 17, comma 6, del DPR n. 633 del 1972, trovi applicazione per le sole cessioni dei beni effettuate nella fase distributiva che precede il commercio al dettaglio. Le cessioni al dettaglio, infatti, si caratterizzano per la destinazione del bene al cessionario-utilizzatore finale, ancorché soggetto passivo”.
Nella successiva risoluzione 36/E/2011 precisò inoltre che “il riferimento al commercio al dettaglio deve intendersi finalizzato a individuare i soggetti che esercitano attività di commercio al minuto e attività assimilate di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972.
Ne consegue che sono escluse dall’obbligo di reverse charge le cessioni dei beni in argomento effettuate da “commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, in spacci interni, mediante apparecchi di distribuzione, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante“.
In tale risoluzione chiarì anche che “L’esclusione dall’obbligo di reverse charge torna, altresì, applicabile anche a soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 22 del DPR n. 633 del 1972 che, tuttavia, effettuano le cessioni dei beni in argomento direttamente a cessionari-utilizzatori finali.
Tale circostanza può ritenersi sussistere esclusivamente nelle ipotesi in cui la cessione del telefono cellulare sia accessoria alla fornitura del c.d. “traffico telefonico””.
Evidentemente, in molti limitarono la lettura del chiarimento alla prima frase, e si formò un certo orientamento secondo cui l’acquirente di un grossista, che si qualificava come “utilizzatore finale” del telefono, dichiarando cioè che non lo acquistava per rivenderlo, avrebbe dovuto pagare l’Iva al proprio fornitore.
Tale interpretazione è stata recentemente smentita dall’Agenzia delle Entrate, la quale ad una istanza di interpello presentata da un grossista, ha chiarito che “non condivide la soluzione prospettata dall’Istante, secondo la quale l’applicazione del reverse charge non è dovuta, a seguito delle richieste dei cessionari e dall’uso che questi faranno del bene acquistato”.
In sostanza, quando un soggetto passivo Iva acquista un cellulare, un tablet, o un laptop da un dettagliante (in particolare presso un punto vendita aperto al pubblico, o per corrispondenza), troverà sempre applicazione l’Iva, mentre quando lo compra da un grossista, troverà sempre applicazione il reverse charge, salvo il caso disciplinato dalla risoluzione 36/E/2011 di cellulare ceduto come accessorio al traffico telefonico.
(MF/ms)
Sono interessate le disposizioni di contrasto alle frodi nel settore delle agevolazioni fiscali ed economiche che sono state introdotte dal DL 4/2022 (c.d. decreto “Sostegni-ter”), la cui conversione è prevista entro il 28 marzo.
Preso atto della paralisi che le norme restrittive dell’art. 28 del DL 4/2022 hanno determinato sul versante delle acquisizioni di crediti di imposta anche da parte di intermediari finanziari che non sono stati minimamente toccati dal problema delle frodi fiscali e dei sequestri disposti dall’autorità giudiziaria, il Governo si è attivato per tornare, almeno in parte, sui suoi passi.
Stando alla bozza di DL, l’art. 28 comma 1 del DL 4/2022 sarebbe interamente sostituito e verrebbero modificate quindi sia la lett. a) che la lett. b) del comma 1 dell’art. 121 del DL 34/2020 per confermare, da un lato, il divieto generale di “cessioni successive alla prima”, ma “fatta salva la possibilità di due ulteriori cessioni solo se effettuate a favore di banche e intermediari finanziari iscritti all’albo previsto dall’articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, società appartenenti a un gruppo bancario iscritto all’albo di cui all’articolo 64 del predetto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ovvero imprese di assicurazione autorizzate ad operare in Italia ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, ferma restando l’applicazione dell’articolo 122-bis, comma 4, del presente decreto per ogni cessione intercorrente tra i predetti soggetti, anche successiva alla prima”.
Come confermato al termine del CdM dal comunicato stampa di Palazzo Chigi, la disposizione prevede che sarà possibile cedere il credito per tre volte e solo in favore di banche, imprese di assicurazione e intermediari finanziari e che lo stesso non possa formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle Entrate.
A tal fine viene introdotto un codice identificativo univoco del credito ceduto per consentire la tracciabilità delle cessioni.
Questo compromesso avrebbe il pregio di consentire una seconda cessione, successiva alla prima, anche da parte di un soggetto diverso da quelli “vigilati” (purché effettuata nei confronti di detti soggetti), preservando in tal modo l’organizzazione “per filiera”, prassi operativa che si caratterizza per una prima cessione, da parte del “piccolo fornitore” che applica lo sconto sul corrispettivo al cliente finale, a favore del “grossista di filiera”, il quale procede poi alla seconda cessione dei crediti di imposta alla banca.
Di contro, avrebbe però il grande difetto di non consentire successive cessioni, da parte dei soggetti “vigilati”, a favore di soggetti “non vigilati”, restringendo significativamente la capacità di assorbimento delle offerte di cessione dei crediti di imposta da parte di contribuenti che pagano le spese e imprese che applicano gli sconti, perché tale capacità di assorbimento diverrebbe limitata alla “capienza complessiva” del comparto di tutti i soggetti “vigilati” medesimi.
Porre vincoli, che “canalizzano” le cessioni successive alla prima verso i soggetti “vigilati”, è senz’altro un giusto accorgimento volto a prevenire e limitare le condotte frodatorie (ora che risulta chiaro, anche a chi ha inizialmente fatto finta di non capire, che questi soggetti hanno precisi obblighi di verificare che i crediti di imposta offerti loro in acquisto corrispondano a lavori effettivamente realizzati o in corso di svolgimento).
Prevedere invece a priori che non possa poi esserci anche una cessione dai soggetti “vigilati” anche ad altri soggetti (quali, ad esempio, gruppi industriali, ma anche semplici persone fisiche), ferma restando poi l’esclusione, per i soggetti “non vigilati” acquirenti, della possibilità di rivendere a loro volta questi crediti, è invece una chiusura del tutto inutile rispetto all’obiettivo di prevenire e limitare le condotte frodatorie.
All’art. 121 del DL 34/2020, inoltre, come anticipato verrebbe introdotto il comma 1-quater, secondo cui i crediti che sono stati oggetto delle opzioni di cui alle lett. a) e b) dell’art. 121 “non possono formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle entrate”.
In pratica, alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate dal 1° maggio 2022, il fornitore (nel caso si sia optato per lo sconto sul corrispettivo) o il primo cessionario (in caso di cessione del credito relativo alla detrazione spettante) devono obbligatoriamente cedere (ove possibile secondo le nuove disposizioni) l’intero ammontare del credito acquisito.
A tal fine, verrebbe attribuito un codice identificativo univoco, da indicare nelle comunicazioni delle eventuali successive cessioni, secondo le modalità definite da un provvedimento.
Mai come in questo caso, tuttavia, sarà opportuno attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di norme che sono ormai da settimane al centro di un dibattito politico e tecnico a dir poco tumultuoso.
(MF/ms)
La Provincia del 22 febbraio 2022, parla Mario Gagliardi, vice-direttore di Api Lecco Sondrio, sul tema della settimana lavorativa corta.
Eravamo presenti con lo stand del nostro Ufficio Estero, mentre al convegno inaugurale dedicato a "Materie prime. Energia. Mercati. Inflazione. Quale futuro per il comparto meccanico?” è intervenuto il nostro consigliere Andrea Beri.
Nei tre giorni di esposizioni erano presenti queste nostre aziende associate:
Si tratta della versione 7.0 del tracciato, la cui adozione è obbligatoria dal 1° gennaio 2022. Infatti, come ribadito nel documento di prassi, la precedente versione 6.0 non è più utilizzabile, ed eventuali file trasmessi mediante quest’ultima a partire dal 1° gennaio 2022 sono accettati soltanto se riferiti ad operazioni con data antecedente, purché in ogni caso inviati nei termini di legge, ossia entro 12 giorni dall’effettuazione dell’operazione.
In caso di invio oltre i termini, precisa l’Agenzia, si avrebbe, di fatto, un’omessa trasmissione dei corrispettivi, soggetta a sanzione.
Fra i numerosi chiarimenti resi, relativamente alle modalità di rilevazione e documentazione delle operazioni al dettaglio, si evidenziano, in primis, quelli relativi all’utilizzo dei codici natura volti a identificare le cessioni di beni e le prestazioni di servizi per le quali l’Iva non viene evidenziata sul documento commerciale, vale a dire le operazioni escluse dalla base imponibile Iva (N1), non soggette a imposta (N2), non imponibili (N3) o esenti (N4).
Viene confermato, ad esempio, che le operazioni effettuate dai soggetti in regime forfetario ex L. 190/2014 vanno identificate con codice N2, così come le operazioni considerate fuori campo Iva in applicazione del regime monofase, ai sensi dell’art. 74 comma 2 del Dpr 633/72.
L’Agenzia si sofferma anche sul metodo della ventilazione Iva, chiarendo che i soggetti che si avvalgono di tale modalità di rilevazione dei corrispettivi possono comunque indicare nel documento commerciale, in luogo dell’apposito valore “VI” (istituito allo scopo), l’aliquota Iva del bene ceduto o, eventualmente, il codice natura dell’operazione cui non si applica l’Iva.
Un’ulteriore questione concerne le cessioni della strumentazione per la diagnosi del Covid-19 (nonché le prestazioni strettamente connesse a tale strumentazione) e dei vaccini contro il coronavirus (ivi comprendendo, anche in questo caso, le prestazioni strettamente connesse).
Ai sensi dell’art. 1 commi 452 e 453 della L. 178/2020, le suddette operazioni devono ritenersi esenti da IVA ex art. 10 del Dpr 633/72 con diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi dell’art. 19 del medesimo decreto; ne consegue, pertanto, che nel documento commerciale dovrà essere riportato il codice “N4” all’interno del campo 4.1.2 “Natura”.
L’Agenzia precisa che tali beni, se diversi dai farmaci, non rientrano nell’ambito di applicazione del metodo della ventilazione dei corrispettivi. Viene richiamata la circolare n. 26/2020 (§ 2.14), nella quale era stato chiarito che i soggetti passivi che adottano tale meccanismo sono tenuti a “espungere dal totale globale dei corrispettivi la quota degli stessi che si ritiene riconducibile alle cessioni dei beni in questione e sulle quali non è stata applicata l’Iva”.
Altro chiarimento contenuto nel documento di prassi ha riguardato il campo 4.1.15 “Codice Attività”, che potrebbe essere compilato per rappresentare in via separata i corrispettivi riferibili alle attività esercitate, “anche se gestite con un’unica contabilità ai fini Iva”.
È altresì possibile l’emissione di un documento commerciale che riporti in modo “misto” le operazioni riferite a differenti attività. In questo caso, tuttavia, è necessario che il registratore telematico riesca a ricostruire correttamente “il file dei corrispettivi giornalieri da trasmettere, ad ogni chiusura, all’Agenzia delle Entrate, abbinando in modo corretto l’imponibile e l’Iva con il giusto codice Ateco”. Il campo 4.1.15 è, dunque, finalizzato proprio a ricostruire correttamente i ricavi di ciascuna attività e a determinare correttamente la liquidazione Iva.
L’Agenzia ha esaminato, poi, le modalità di documentazione delle operazioni nell’ambito della lotteria degli scontrini. Viene precisato, ad esempio, che se l’esercente rilascia un documento commerciale contenente un codice lotteria, emettendo poi fattura su richiesta del cliente soggetto passivo Iva, il documento commerciale, ove i dati siano già stati trasmessi, dovrà essere annullato (posto che la lotteria riguarda i soli acquisti da parte di privati consumatori).
Si segnalano, infine, tra i numerosi chiarimenti resi, quelli relativi alle modalità di rilevazione delle operazioni effettuate a titolo gratuito, delle operazioni con corrispettivo non riscosso collegati a fatture e di quelle effettuate mediante voucher monouso e multiuso.
Con riferimento a questi ultimi (c.d. “voucher multiuso”), l’Agenzia ha sottolineato che la relativa circolazione, antecedente alla cessione del bene o alla prestazione del servizio, non è soggetta a Iva e rientra fra le operazioni per le quali va indicato il codice N2 nel documento commerciale.
(MF/ms)