In questi giorni si assiste alla trasmissione tramite PEC di comunicazioni ai fornitori di esportatori abituali che hanno manifestato
indici di anomalia, secondo i criteri fissati dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 293390/2021.
Si tratta di lettere, emesse dall’Ufficio analisi e strategie antifrode dell’Agenzia delle Entrate, che hanno a oggetto la “segnalazione falsi esportatori abituali 2023” e contengono in calce la tabella con i dati identificativi dei (presunti) falsi esportatori abituali intercettati dall’Amministrazione finanziaria.
Nelle comunicazioni si attesta che le lettere d’intento, trasmesse ai fornitori destinatari della informativa, sono da considerare “ideologicamente false” in quanto rilasciate da operatori che non risultano avere i requisiti per essere qualificati “esportatori abituali”.
La lettera contiene un invito al fornitore destinatario a interrompere o a evitare per l’anno in corso di emettere fatture senza applicazione dell’imposta.
Nel contempo, l’Agenzia delle Entrate si premura di ricordare al destinatario che la provata consapevolezza della falsità della lettera d’intento comporta il recupero dell’IVA e delle relative sanzioni sul fornitore “in quanto direttamente e consapevolmente partecipe alla realizzazione di un’operazione fraudolenta (cfr. Cass. nn. 23610/2011, 9940/2015, 4593/2015, 19896/2016, 1988/2019, 14979/2020, 3306/2022)”.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate segnala che è possibile avvalersi delle disposizioni dell’art. 26 del DPR 633/72 qualora il fornitore “ritenesse” di dover “ripristinare la corretta imponibilità di fatture già emesse”: è, dunque, rimessa alla valutazione discrezionale del soggetto passivo la decisione di rettificare le operazioni già fatturate.
La regolarizzazione dovrebbe essere fatta con una nota di debito di sola imposta o, alternativamente, tramite nota di credito (anche riepilogativa) per stornare delle fatture già emesse ed emettere fatture sostitutive per operazioni imponibili.
Ci si può chiedere quale sia quindi il corretto comportamento da tenere per le operazioni concluse prima del ricevimento della comunicazione.
In assenza di colpa, non dovrebbe essere sanzionabile il comportamento tenuto dal fornitore, non verificandosi l’ipotesi di fatturazione in regime di non imponibilità in assenza della dichiarazione d’intento o in mancanza del riscontro della trasmissione telematica della stessa, per cui sono previste sanzioni dal 100% al 200% dell’imposta (art. 7 comma 3 e 4-bis del DLgs. 471/97).
Anche sotto il profilo dell’imposta sembra difficile ipotizzare una responsabilità del fornitore sul presupposto che dell’omesso pagamento del tributo risponde esclusivamente il cessionario o committente, qualora la dichiarazione d’intento sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge (art. 7 comma 3, secondo periodo, del DLgs. 471/97).
Anche nella prospettiva delle pronunce della Cassazione sopra citate, sussiste la corresponsabilità del fornitore, per l’imposta non applicata e le relative sanzioni, solo in presenza di un comportamento colpevole, ovvero quando emerge che il fornitore avrebbe potuto e dovuto riscontrare la falsità della dichiarazione, adottando gli ordinari canoni di diligenza.
Ma salvo prova contraria, il fornitore si dovrebbe ritenere non colpevole, non avendo gli strumenti per verificare la sussistenza dei requisiti per la qualifica dell’esportatore abituale della controparte. Inoltre, pare davvero difficile ipotizzare una omessa o carente diligenza, se il fornitore ha tempestivamente riscontrato la trasmissione telematica delle lettere d’intento e correttamente indicato il relativo protocollo nelle fatture emesse.
Resta il fatto che la sistemazione a cui è invitato il fornitore può esporre lo stesso al concreto rischio di non riuscire ad esercitare la rivalsa nei confronti del cliente, il quale, se realmente in frode, difficilmente provvederà a corrispondere l’IVA tardivamente addebitata.
Qualche perplessità, infine, sorge intorno alla perentorietà della comunicazione che qualifica con certezza i soggetti intercettati come falsi esportatori, non prevedendo l’ipotesi che l’anomalia riscontrata derivi da errori e non da comportamenti fraudolenti.
Infatti, la segnalazione potrebbe essere generata anche da un banale errore commesso nella compilazione della dichiarazione IVA, posto che le anomalie sono riscontrate, in prima battuta, sulla base dei controlli automatici di informazioni attinte nelle banche dati.
Tutto ciò può arrecare un evidente e immediato pregiudizio all’esportatore abituale, che viene qualificato come soggetto “frodatore”, anche nei casi in cui abbia semplicemente commesso un errore.