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Calamità naturali e documenti distrutti: cosa fare

L’accidentale distruzione di beni e di documenti contabili, dovuta al verificarsi di calamità naturali, è un avvenimento significativo che necessita di un’accurata gestione, al fine di non incorrere in gravose conseguenze.
L’avvicendarsi sempre più frequente di episodi calamitosi all’interno del nostro territorio nazionale rende più che mai doveroso sottolineare la disciplina in materia e, su tale filone, dopo gli eventi metereologici che hanno interessato l’Emilia Romagna, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con una comunicazione per rispolverare le procedure da rispettare da tutti coloro che hanno subito la perdita di documenti contabili e di beni. Vengono fornite, in particolare, le indicazioni che i contribuenti devono adottare per certificare, ai fini fiscali, la distruzione di beni e di documenti contabili.
La perdita di beni o di documenti contabili, ove non certificata debitamente, è infatti foriera di importanti conseguenze, ovverosia:
  • la prima, è che l’Agenzia delle entrate potrebbe desumere dalle differenze inventariali e/o delle incongruenze desumibili tra i beni giacenti in magazzino, presupponendo così la cessione di merce in evasione di imposta;
  • la seconda, è che la perdita, per eventi fortuiti o accidentali, di documenti probatori a favore del contribuente, non esonera quest’ultimo dall’onere della prova poiché, a norma dell’articolo 39, comma 2, lettera c), D.P.R. 600/73, l’accertamento induttivo è sempre possibile anche “quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore”.
Con particolare riferimento alla perdita di beni, la possibile applicazione da parte degli accertatori della presunzione secondo cui i beni non rivenuti siano stati venduti (o acquistati) in evasione di imposta, pone a carico del contribuente accertato l’onere di provare che, in verità, i beni non rinvenuti siano stati utilizzati nel ciclo produttivo, ovvero siano andati dispersi per causa di forza maggiore.
Ciò posto diviene dunque fondamentale per i contribuenti conoscere i corretti adempimenti fissati dal legislatore per superare la presunzione di cessione del D.P.R. 441/1997 ed evitare così il potenziale rischio di un recupero fiscale.
L’articolo 1, D.P.R. 441/1997, è chiaro e possiamo semplificarlo in tal modo: un’intera produzione eseguita, ovvero i molteplici acquisti di merci, se non sono rinvenuti e/o presenti nelle rimanenze di magazzino, possono presuntivamente essere ritenuti ceduti a terzi. In assenza di relativa fatturazione, l’Amministrazione finanziaria ha nel proprio “arco” la freccia della presunzione legale relativa insita nella norma, con totale inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale è chiamato a dimostrare che non ha ottenuto alcun introito non dichiarato.
Soccorre allo scopo il successivo comma 2 che, alla lettera a), precisa che la presunzione di cui al comma 1 non opera se è dimostrato che i beni stessi, alternativamente, sono stati impiegati per la produzione, oppure risultano distrutti o sono andati perduti. Le regole procedurali sono poi disciplinate dall’articolo 2, che distingue a seconda delle diverse fattispecie. In particolare, per la distruzione fortuita di beni strumentali la norma di riferimento è l’articolo 2, comma 3, D.P.R. 441/1997, a mente del quale “La perdita dei beni dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del soggetto è provata da idonea documentazione fornita da un organo della pubblica amministrazione o, in mancanza, da dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, resa entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza, dalle quali risulti il valore complessivo dei beni perduti, salvo l’obbligo di fornire, a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, i criteri e gli elementi in base ai quali detto valore è stato determinato”.
In sintesi, la perdita fortuita dei beni deve essere provata:
  • attraverso la documentazione fornita da un organo della Pubblica Amministrazione (es. il verbale di accertamento della distruzione dei beni redatto da parte dei Vigili del fuoco) o, in mancanza;
  • da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, da rendersi entro i trenta giorni dal verificarsi dell’evento (o dalla data in cui se ne ha conoscenza), dalla quale risulti il valore complessivo dei beni mancanti indicato in contabilità e la data certa.
Stando ai chiarimenti forniti con la circolare n. 31/E/2006, la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non deve essere inviata all’Agenzia delle entrate, ma deve essere esibita, se richiesta, agli organi di controllo dell’Amministrazione finanziaria.
Passando alla disamina delle procedure necessarie per documentare la distruzione involontaria di documenti contabili a causa dei predetti eventi calamitosi, il contribuente dovrà presentare denuncia alle competenti autorità di pubblica sicurezza; specificando i luoghi ove le scritture si trovavano al momento dell’evento calamitoso. Dovrà poi ricostruire, per quanto possibile, i dati e gli elementi contenuti nelle scritture andate distrutte, provvedendo:
  • al recupero degli stessi da eventuali server o cloud utilizzati per la memorizzazione e registrazione dei fatti e documenti aziendali;
  • al recupero, anche attraverso il sistema di interscambio, delle fatture elettroniche;
  • alla eventuale nuova stampa dei registri contabili danneggiati, qualora la contabilità sia tenuta su supporti informatici ancora disponibili e solo qualora la stampa sia obbligatoria;
  • a contattare fornitori, clienti, banche, professionisti, associazioni, ecc., per acquisire la copia della documentazione a sostegno delle operazioni commerciali e dei fatti gestionali (lettere, contratti, ecc.), se la distruzione ha interessato anche tali elementi probatori.
Infine, occorre evidenziare come sia importante che il contribuente sia consapevole di dover eseguire determinate e specifiche procedure per certificare la distruzione accidentale dei beni e documenti contabili, onde evitare di ricadere nel coacervo delle presunzioni più volte ivi richiamate.

(MF/am)




In partenza la certificazione delle attività R&S

Con un comunicato stampa pubblicato il 19 settembre 2023, il Ministero delle Imprese e del made in Italy (MIMIT) ha annunciato la firma del DPCM che regola il funzionamento della procedura di certificazione delle attività R&S ex art. 23 commi 2–5 del DL 73/2022.
L’art. 23 comma 2 del DL 73/2022 ha previsto che le imprese possano richiedere una certificazione che attesti la qualificazione degli investimenti (effettuati o da effettuare), ai fini della loro classificazione tra le attività ammissibili al credito d’imposta ricerca, sviluppo e innovazione ex art. 1 commi 200-202 della L. 160/2019 (applicabile dal 2020) e al credito d’imposta ricerca e sviluppo ex art. 3 del DL 145/2013 (applicabile fino al 2019).
Analoga certificazione può essere richiesta per l’attestazione della qualificazione delle attività di innovazione tecnologica finalizzate al raggiungimento di obiettivi di innovazione digitale 4.0 e di transizione ecologica ai fini dell’applicazione della maggiorazione dell’aliquota del credito d’imposta prevista dall’art. 1 commi 203, 203-quinquies e 203-sexies della L. 160/2019.
A tal fine, doveva essere emanato un apposito DPCM, teoricamente entro 30 giorni dal 22 giugno 2022 (data di entrata in vigore del DL 73/2022).
L’emanazione del DPCM è quindi attesa da parecchio tempo dagli operatori, posto che l’ottenimento di tale certificazione consentirà alle imprese di applicare i crediti R&S in condizioni di certezza operativa.

La certificazione, infatti, esplica effetti vincolanti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, con la conseguenza che eventuali atti a contenuto impositivo o sanzionatorio, difformi da quanto attestato nella certificazione, dovranno essere dichiarati nulli.
In base alla bozza del DPCM in circolazione, il decreto entrerà in vigore decorsi 15 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta.
Per l’effettiva operatività della certificazione occorrerà, in ogni caso, attendere un decreto direttoriale del MIMIT, da emanarsi entro 90 giorni dalla entrata in vigore del DPCM, che dovrà definire alcuni aspetti procedurali.
Con riguardo ai soggetti abilitati al rilascio della certificazione, viene prevista l’istituzione di un apposito albo, tenuto presso il MIMIT, al quale potranno iscriversi le persone fisiche in possesso di un titolo di laurea idoneo rispetto all’oggetto della certificazione, le imprese che svolgono professionalmente servizi di consulenza aventi ad oggetto progetti di ricerca sviluppo e innovazione, oltre ai centri di trasferimento tecnologico in ambito Industria 4.0, i centri di competenza ad alta specializzazione, i poli europei dell’innovazione digitale (EDIH e Seal of Excellence), le università statali, le università non statali legalmente riconosciute e gli enti pubblici di ricerca.
Il decreto direttoriale del MIMIT dovrà stabilire le modalità e i termini per la richiesta di iscrizione, nonché le regole per la gestione di tale albo.
Il DPCM definisce, inoltre, il contenuto della certificazione, la quale dovrà riportare informazioni sull’adeguatezza delle capacità organizzative e delle competenze tecniche dell’impresa rispetto agli investimenti effettuati o programmati, la descrizione analitica dei progetti e sotto progetti realizzati o in fase di realizzazione, oltre alle motivazioni tecniche sulla base delle quali vengono attestati i requisiti per l’ammissibilità ai crediti R&S.

Con riferimento agli aspetti procedurali, stando alla bozza del DPCM, è previsto che l’impresa che intenda avvalersi della procedura di certificazione in relazione agli investimenti ammissibili ai crediti R&S ne faccia richiesta al MIMIT, utilizzando l’apposito modello e secondo le modalità di invio che saranno definiti con successivo DM. In particolare, l’impresa dovrà indicare il soggetto incaricato dell’attività di certificazione e la dichiarazione di accettazione dell’incarico da parte dello stesso.
La richiesta potrà essere inoltrata solo a condizione che le violazioni relative all’utilizzo dei crediti R&S non siano già state constatate con un processo verbale o con un atto impositivo.
La certificazione dovrà poi essere inviata al MIMIT dal soggetto certificatore, entro 15 giorni dalla data in cui è rilasciata all’impresa, secondo le modalità informatiche che saranno definite con il successivo decreto direttoriale.

Linee guida dal MIMIT entro fine anno
La certificazione dovrà essere predisposta dal soggetto certificatore sulla base dei criteri e delle regole previsti negli artt. da 2 a 5 del DM 26 maggio 2020, nonché in coerenza con le Linee guida che dovrebbero essere elaborate e pubblicate dal MIMIT entro il prossimo 31 dicembre. Sempre al MIMIT spetterà il compito di vigilare e verificare la correttezza delle certificazioni rilasciate.
 
(MF/am)